di Gianni Amodeo
Tempi tormentati e di sofferenza, quelli che trascorre l’umanità nella tenaglia, in cui si ritrova ristretta, per un verso, sotto gli implacabili e troppo spesso mortali colpi che l’aggressività del covid–19 viene infliggendo nel suo ineluttabile propagarsi nel mondo, e, per l’altro, nelle avvolgenti angosce ed invasive ansie, con cui si lascia precedere e s’accompagna, appropriandosi di pensieri, emozioni e stati d’animo. Uno scenario di prolungata e diffusa tristezza, che per l’immediato presente lascia soltanto ora trapelare spiragli di luce per le speranze di guarigione e di salute che con il suo operoso fervore la medicina già infonde e consegna con le sue cure, mentre per il futuro prossimo la scienza dilata e focalizza al meglio possibile i suoi orizzonti di ardua e complessa ricerca, per approdare all’elaborazione del vaccino che debelli la crudele pandemia in atto. Sono un presente intessuto di fiduciosa attesa e un futuro palpitante d’amore e desiderio d’esistenza che fanno avvertire e vivere quell’essenza di spiritualità, a cui il sacro e il soprannaturale conferiscono la propria impronta, ravvivando e animando di calda devozione le ritualità e le tradizioni religiose, in cui le comunità si riconoscono. E si auto-rappresentano.
A darne una conferma eloquente e significativa in questi giorni, che scandiscono la Settimana santa di preparazione alla Pasqua della Rinascita e della Redenzione, sono i pannetti, su cui è impressa l’icona a dimensione integrale di Santo Stefano -con la caratteristica tunica color cremisi trapuntata da fregi indorati- protomartire della cristianità e patrono della piccola comunità cittadina; sono pannetti, spuntati in questi giorni e che si osservano in esposizione su balconi, finestre di case,corti,palazzi in alternanza con le bandiere del tricolore nazionale. Un’esposizione di buon augurio e auspicio, che,tuttavia, si carica di una singolare e spiccata valenza evocativa nel simbolico “linguaggio” dei pannetti che raffigurano il Santo Levita, segnatamente per la festa votiva che Gli è dedicata e che si rinnova di anno in anno il 26 febbraio. E’ la festa che ricorda la scomparsa del vaiolo, il terribile morbo virale che nel biennio del 1902–1903 devastò la comunità, mietendo vittime. E l’ultima- come raccontano le testimonianze e cronache d’epoca- si registrò il 25 febbraio del 1903, con la morte di un giovane che prestava servizio nell’ufficio postale locale. Un’altra tragedia si era consumata e c’era da invocare l’aiuto divino con l’intercessione di Santo Stefano.
E così fu. Il giorno successivo la statua del Santo patrono fu condotta in processione nelle ore della tarda mattinata lungo le strade cittadine. Una corale testimonianza di fede e di popolo, per invocare la protezione del Taumaturgo verso il morbo. E fu monsignor Biagio Masi, oratore e predicatore sacro tra i più eruditi del tempo nella Diocesi di Nola, a pronunciare l’atto d’intercessione. E da quel 26 febbraio il vaiolo, non tormentò più la comunità. Una vicenda ch’è parte integrante della memoria collettiva e che si tramanda di generazione con immutato senso di devozione,ricordandola.
E’-questa- la visuale, per la quale i pannetti esposti paiono rinnovare l’invocazione di oltre un secolo fa al Santo Levita, così come c’è chi proprio in questi giorni ha eretto nel giardino di casa una piccola edicola dedicata al Santo per chiedere aiuto a fronte del covid–19 che non conosce freni e ostacoli. Lo spirito dell’oggi è identico e comune a quello di ieri: invocare protezione e la salvezza per l’intera umanità, scongiurando ora le insidie del coronavirus come oltre cento anni orsono la richiesta di soccorso era per allontanare il virus del vaiolo. Sono storicamente dimensioni spaziali distinte e diverse, ma il sentire è comune e identico a se stesso.
E che il Santo Levita sia insediato radicalmente e nelle fibre intime del vivere della comunità cittadina, lo indica con nettezza di linguaggio e stile, l’avviso che da oltre un mese campeggia sulla saracinesca abbassata – in segno di tassativa chiusura secondo le ordinanze e disposizioni dei vari istituzionali competenti per il divieto di assembramenti in questa fase di emergenza sanitaria- che protegge i battenti del Centro per gli anziani, la cui vita associativa si svolge negli ampi ed accoglienti locali del Palazzo municipale affacciati su corso Garibaldi. Scritto a pennarello con caratteri in rosso, annuncia: Chiuso. Si riapre quando Santo Stefano vorrà. Speriamo presto.
Messaggio chiaro e perentorio. E quel chiuso, a riprodurlo in scrittura fonetica alla napoletana, fa quasi risuonare il classico ed efficace … stateve ‘a casa anti-assembramento per evitare insidiosi contagi, mentre per la riapertura e la ripresa delle iniziative e attività del Centro, tutto- non c’è alcuna ombra di dubbio- è nelle mani e nelle volontà di Santo Stefano. Statene certi. E la comunicazione è diretta, va da sé, agli assidui e numerosi frequentatori del Centro. Se ne facciano una ragione. E c’è, l’invito con il premuroso auspicio…. che faccia presto, a porre le cose in ordine. E’ confidenzialmente ben più di una speranza, riposta nel Santo venerato con profonda dedizione.