di Gianni Amodeo
Dallo Statuto albertino alla Costituzione che fissa l’assetto dello Stato laico ed a–confessionale, affermando il primato sia delle libertà civili e di coscienza, sia della pluralità delle confessioni religiose, quali fattori basilari dell’umana promozione e armoniosa convivenza tra uomini e popoli. E’ l’itinerario di evoluzione ed emancipazione sociale -percorso in oltre un secolo e mezzo di storia civile e politica- che segna l’approdo alla democrazia aperta, affrancata dall’ordinamento giuridico che conferiva alla religione cattolica il riconoscimento di religione di Stato, con tutti i correlati effetti normativi e regolatori della sfera dei diritti personali, inter-personali e civili.
Era il riconoscimento, che costituiva uno dei principi dello Statuto albertino presidio del Regno sardo–piemontese e recepito quale ordinamento dello Stato unitario, con la proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo del 1861, mentre Roma – dopo la presa di Porta Pia il 20 settembre del 1870– ne sarà dichiarata capitale a gennaio del 1871, innescando la “Questione romana”, per la quale lo Stato nazionale appena formatosi non era riconosciuto dalla Chiesa cattolica -che conservava forti e marcate prerogative nell’esercizio del potere temporale- nella sua pienezza d’autonomia politica e di compiuta legittimazione.
Si configurò così la condizione di separatezza che sarà superata e risolta l’11 febbraio del 1929 con i Patti Lateranensi -sottoscritti da Mussolini e dal cardinale Gasparri– che sancivano la reciprocità di riconoscimento per ruoli e funzioni distinti tra Stato e Chiesa e la connessa disciplina dei loro rapporti. Era l’intesa bilaterale che, tra le altre norme concordatarie e disposizioni di convenzione finanziaria, confermò per la religione cattolica il riconoscimento di religione di Stato che, a sua volta, pur conservando la forma monarchica, si era, intanto, venuto strutturando, in sostanza, nelle articolazioni della diarchia monarchica e fascista.
Poi, c’è la grande svolta della storia nazionale, con l’avvento dello Stato repubblicano e democratico plasmato e modellato dalla “Carta” del 1948 che regola la materia religiosa negli artt. 7 e 8; e se l’art. 7 recepisce i Patti Lateranensi, assimilandoli alle disposizioni costituzionali, con la conferma della religione cattolica quale religione di Stato, l’art. 8 delinea, invece e compiutamente, la visione della nuova società pluralistica e democratica, affermando la libertà d’ esercizio di tutte le confessioni religiose. E’ il tassello di fondamentale costituzionalità che s’integra e completa nel 1984 con l’Accordo di Villa Madama, firmato da Craxi e dal cardinale Casaroli; è il tassello della sostanziale modifica dell’art. 7 in ordine alla componente della ricezione dei Patti Lateranensi e con la conseguente abolizione del principio della religione di Stato.
La modifica fu attuata senza far ricorso alle complesse procedure di revisione costituzionale, ma solo seguendo l’applicazione di una legge ordinaria, dal momento che i Patti Lateranensi con la ricezione nell’art. 7 erano stati assimilati per rango alle norme costituzionali, senza averne, tuttavia, la natura strutturale. Era il profilo formale dell’osservanza di una legge ordinaria, quello a cui corrispondeva- e corrisponde- non solo il “senso della storia”, ma anche e soprattutto la volontà politica di dare compiutezza operativa alla pregnanza dei valori della Costituzione nella vita sociale, senza dire dei nuovi scenari aperti nella Chiesa cristiana e cattolica per impulso di Giovanni XXIII, il Papa della “Populorum progressio” e del Concilio Vaticano II
Laicità e religione: modello francese e modello italiano. Teologia del popolo e l’apertura del cristianesimo cattolico
Proficuo e interessante, sullo sfondo delle coordinate proposte per sommi capi, si dipanava il dialogo sul rapporto tra Costituzione e libertà religiosa sviluppato da Franco Manganelli, scrittore e saggista, uomo di scuola e già parlamentare della Repubblica, e da don Franco Iannone, parroco della Chiesa dell’Annunziata di Quadrelle, teologo e direttore dell’Istituto superiore di Scienze religiose della Diocesi di Nola; dialogo coordinato con la consueta e incisiva efficacia dall’avvocatessa Giusy De Laurentiis, per la “stazione” di turno del “Viaggio nella Costituzione” promosso dal Circolo “ L’Incontro”.
Sulla scia di articolate riflessioni, Manganelli focalizzava, in particolare, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, evidenziandone l’indipendenza e l’autonomia nel proprio ordine, secondo i postulati della Costituzione; e nel marcare il rapporto tra laicità e religione, sottolineava i tratti distintivi del modello francese, per il quale non sussiste alcuna compatibilità tra l’ una e l’ altra, configurandosi la laicità con caratteri irreligiosi, anti–religiosi, anti–chiesastici o anticlericali. Con diverse connotazioni- sottolineava Manganelli– si atteggia il modello italiano, per il quale tra laicità e religione corrono legami di compatibilità, nell’ambito, però, di condizioni e paradigmi specifici, per i quali la religione non va concepita né vissuta quale fonte di comando sacrale, né nella dimensione clericale, dedita alla cura degli interessi del clero riconosciuto come ceto di rango superiore, né in quella fondamentalista, quale ispiratrice e modello della società basata su testi sacri, né in quella integralista, che contempla e postula nelle norme religiose l’esclusiva e assoluta matrice della società, della politica e della cultura.
Posto in rilievo, il ruolo della Chiesa impegnata per il bene spirituale dei fedeli e quello della Comunità politica impegnata per il bene comune temporale dei cittadini, Manganelli prospettava la rilevanza della distinzione tra il profano e il sacro; una distinzione, in virtù della quale la religione semina e diffonde quegli ideali e valori di vita con la parola detta, scritta e ritualizzata che la fede raccoglie e fa propri praticandoli nella realtà sociale. E sotto questi aspetti, il Cristianesimo non costituisce un progetto di società alternativo, bensì una risorsa, di cui una testimonianza significativa è data dall’ amore–agape lasciato in eredità da Gesù. E’ l’ “ amore espansivo e non possessivo”, che attraversa e annulla la separazione tra gli esseri e permette loro- spiegava Franco Manganelli– di dimorare l’uno accanto e dentro l’altro nella solidarietà attiva. E così il comportamento dei credenti cristiani non interviene a fianco degli stili di vita già esistenti e osservati, come per aggiungerne- o imporne- uno nuovo o alternativo e migliore, ma si dispiega come fermento, risorsa, generando lo “stile di stili”.
Tra i temi analizzati da don Franco Iannone di rilievo la correlazione tra amore–agape e la trascendenza della dignità della persona umana, ch’è intrinseca e connaturata con la concezione cristiana della vita. Un passaggio, che faceva emergere gli orizzonti disegnati dal Concilio Vaticano II con cui la Chiesa si è aperta alle profonde dinamiche che regolano la società; orizzonti che s’inscrivono in quella fede autentica, evocata spesso da Papa Francesco e che “ implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra”.
In questa luce, don Franco Iannone tratteggiava aspetti significativi della Teologia del popolo affermatasi sulle tracce della Teologia della liberazione che si è venuta diffondendo in America Latina, soprattutto nel XX secolo, veicolando i valori e la spiritualità, con cui il Cristianesimo cattolico può concorrere alla diffusione e alla pratica del Bene comune e all’emancipazione di uomini e popoli in moto ascensionale dal “basso”, facendo leva sui principi del Vangelo e della fede che li rende vivi e concreti. Una capacità di concorso e di potenziale supporto, che non conosce frontiere e chiusure, connaturata e intrinseca com’è all’ecumenismo cristiano.