Molti i segnali della rivoluzione culturale che ha stravolto le nostre vite, soprattutto se ci riferiamo addirittura a un secolo fa. Le centinaia di messaggi di auguri che ci scambiamo su “suggerimento” della rete negli ultimissimi anni è uno dei più evidenti. Ciascuno di noi si sente “obbligato” in un qualche modo a inviare il suo augurio a un “amico” il cui compleanno è segnalato da fbk. Amici veri pochissimi; la gran parte virtuali, con i quali i rapporti sono, spesso, inesistenti o comunque prossimi allo zero. Come direbbe Totò “Ognuno ll’adda fa chesta crianza, ognuno adda tené chistu penziero. E ciascuno di noi registra con piacere le decine e spesso centinaia di auguri con soddisfazione. Anzi, addirittura se ne compiace, soprattutto se il numero è elevato, segno di attenzione e prestigio. Ebbene stamattina ho avuto il privilegio di leggere un bigliettino di auguri di esattamente un secolo fa, 28 agosto 1923. E’ stata una sorta di tuffo nel passato remoto, nel vivo di un’epoca che non c’è più, dimenticata, anzi rimossa senza lasciare la minima traccia. Sono riemersi valori ormai archiviati come inutili “sovrastrutture”: la raffinatezza di un bigliettino scritto a mano con la penna stilografica, la capacità di esprimersi con un sonetto acrostico, segno di un profondo spessore culturale, l’eleganza del pensiero espresso, la sensibilità nei confronti dell’amico, i rapporti amichevoli ma sempre improntati a codici educati di comportamenti (tu pure e chestu male t’è nfettate; io però te faccio na scusante: nun te richiammo e qualche mancanzella!) . Questo sonetto e il garbo con cui è scritto fa emergere la figura di questi due personaggi, il farmacista Agostino Masi e Giuseppe Foglia, protagonisti, all’epoca, della vita sociale e culturale della comunità baianese. (Antonio Vecchione)