di Gianni Amodeo – Fotoservizio di Antonio Colucci
Il presente interpella il passato nella fervida e appassionata ricerca del senso di sé, spesso disunito e disarticolato dall’affastellarsi di situazioni ed avvenimenti che, incrociandosi e sovrapponendosi, generano inquietudini, smarrimento, il vuoto del futuro. E il passato, cristallizzato nelle narrazioni con cui si tramanda e nella storia, risponde alle domande, poste senza pre-giudiziali priorità ideologizzate o para- ideologizzate, fornendo elementi d’interpretazione esaustiva e modalità di compiuto discernimento che permettono di ricomporre eventi e fatti nella loro autentica essenzialità costitutiva. Un percorso che rischiara il presente, portando in luce con paziente scavo le lontane radici da cui si dirama.
E’ il paradigma della storia contemporanea, che richiama per sommi e sfumati capi una delle chiavi di volta dell’architettura del pensiero di Benedetto Croce, per il quale solo un interesse del presente sollecita e muove a indagare eventi e vicende del passato, per coglierne e identificare l’essenza fattuale, al di là della stessa trasfigurazione poetica e mitologica, di cui possano rivestirsi e ammantarsi; ed è la trasfigurazione del verseggiate ampio e del periodare intenso d’espressività, quale si ritrova e dispiega – tra il V e il IV secolo a.C. – nei toni dirompenti nella drammaturgia di Eschilo, Sofocle e Euripide, le cui opere costituiscono alcune delle più cospicue testimonianze del pensiero e della civiltà occidentale. Il che fa delineare le piste dell’indagine, nel cui sviluppo ed approdo s’ innescano fattori e elementi che, connettendo il presente e il passato, procurano l’onesto tributo di nitida conoscenza, permeata dalla maggiore e migliore aderenza possibile sia agli eventi accaduti, sia ai loro artefici da ri– scoprire nella loro dimensione più autentica. E’ il tributo che fa risaltare l’universale condizione dell’umanità sempre identica a se stessa, pur nel mutare dei tempi, dividendosi e contrapponendosi nelle passioni, tra bene e male, tra gli aneliti di amore per la vita e la loro negazione imposta dalla tracotanza del potere che opprime e conculca i diritti degli altri, specie quelli dei deboli e degli emarginati, soggiogati nelle più disparate forme possibili; tracotanza praticata come sistema da tirannie, autocrazie dispotiche e totalitarismi di ogni età.
Le Supplici, la polis e gli albori dell’emancipazione femminile
Le migranti e i migranti del Terzo Millennio sulle rotte del Mediterraneo
Nel tratteggio di questi elementi è la matrice, in cui si colloca la rappresentazione de Le Supplici – l’unica tragedia conservata in testo integrale tra le poche trilogie di Eschilo pervenuteci, e che, a sua volta, si completa ed integra nelle valenze di significato, con le tragedie intitolate Gli Egizi e Le Danaidi e il sigillo finale impresso dal dramma satiresco, intitolato Amimone, pure disperso- proposta dalle giovani e dai giovani interpreti del Laboratorio Proteatro sul palcoscenico del restaurato Colosseo, con testo liberamente adattato da Franco Scotto, regista ed anima del Laboratorio di piazza IV Novembre. Un impegno di preparazione e studio di considerevole portata e tempo, reso più complicato dalle restrizioni del Covid-19, per rapportarsi allo spirito e alla visione di Eschilo nel leggere l’oggi degli infiniti drammi delle migranti e dei migranti che attraversano le rotte del Mediterraneo, per sottrarsi alla miseria e alla fame, incontrando, invece e ancor più spesso, la morte.
Ed è proprio la fuga dalla terra natia, a far da anello di congiunzione tra la sorte delle migranti e dei migranti del nostro tempo, in cui l‘isola di Lampedusa di è la Hellis Island conosciuta e patita sotto mille angherie e sofferenze dai migranti di Mezza Europa diretti nel sognato Eldorado degli States, a cavallo dell’800 e del ‘900, così come le Supplici sono fuggitive dal regno d’Egitto, governato dai fratelli gemelli, Danao e Egitto,- interpretati da Vincenzo Del Prete e Andrea Zuozo– tutte figure che vivono nel mondo della mitologia. E le figlie di Danao sono destinate alle nozze con i cugini, figli di Egitto ch’è tutto proteso a consolidare il suo potere. Un destino imposto che le giovani donne non accettano e respingono con tutte le forze, sorrette e guidate dal padre Danao nella fuga che le fa approdare ad Argo, modello di polis in formazione che riconosce il diritto d’asilo e si vale dell’assemblea di auto-governo cittadino, espressione di democrazia che declina libertà, dignità umana e giustizia.
E’ l’approdo che genera il movimento scenico delle Supplici che in coro e con vigoroso slancio chiedono al re Pelasgio, interpretato dal duttile Giuseppe Guerriero, di essere accolte dalla città, in ragione dei sacri principi di vita e ospitalità. La loro misandria è soltanto volontà di libertà e giustizia, così come la fuga posta in atto è nata da sé per spontaneità e desiderio di emancipazione. Un punto cruciale, su cui s’innestano l’autorevolezza e la sensibilità di Pelasgio, per il quale l’invocazione delle Danaidi va vagliata dall’assemblea cittadina, chiamata a decidere con responsabile consapevolezza e secondo giustizia che non è mai convenienza. Un passaggio necessario e obbligato- afferma Pelasgio– che coinvolge appunto l’intera Argo, dal momento che accogliere le Danaidi supplichevoli– scelta giusta, non v’è dubbio- corrisponde alla certezza della guerra con gli Egizi esecutori inflessibili del volere di Egitto; una certezza di guerra rispetto alla quale è dovere civico essere preparati, conoscendone disagi e difficoltà da sostenere. E l’assemblea decide per l’ accoglienza ch’è libertà.
E’ il dato, a cui si rapporta il movimento scenico, affidato al ripetuto messaggio radiofonico che annuncia l’ennesimo sbarco a Lampedusa di barconi e navi-carrette con il loro carico di umanità migrante. E’ il movimento rappresentativo di tempi recenti, segnati dalla frequenza dei flussi migratori, che catalizza l’ Europa del benessere, ed ora in affanno. Una realtà amara e di sofferenza, al centro del dialogo sviluppato da osservatori che s’interrogano sul fenomeno delle migrazioni nella società globalizzata; dialogo ad alta e incalzante tensione dialettica, così com’ è caratteristica dei giovani, animato da Angela D’ Apolito e Antonio Lippiello, con Ester Ruotolo, che dà voce, sentimenti e riflessioni alla donna eritrea nell’ analisi della sua dura condizione di migrante.
C’è tanto altro ancora da porre in luce sulla performance de Le Supplici fornita con grande ed encomiabile passione dal Laboratorio– Proteatro, diretto da Franco Scotto; e si va, a puro titolo esemplificativo, dall’esibizione delle variazioni danzanti di Milonga con Nunzio Capriglione e Tonia Esposito della Comunitàngo locale alla cura per le luci e la selezione delle musiche affidata ad Alberto Tortora, includendo l’eclettica Fabrizia Giannicola nelle vesti di Ipermestra, la Danaide dalla forte personalità. Ma è appena il … minimo dovuto. Un bel segnale di animazione positiva per il territorio che viene lanciato da giovani. E sono da sostenere e incoraggiare sotto tutti i profili.