di Gianni Amodeo
Narrativa in primo piano, con variegate chiavi d’ispirazione, per dispiegarsi in coinvolgenti e intensi profili che incrociano aspetti caratterizzanti delle realtà del Sud, prospettandoli con acutezza di analisi storica e sociale per un interessante ed esaustivo approccio di conoscenza del più generale contesto, a cui si connettono nella loro essenzialità. E’ il contesto, nel quale s’innervano vicende calate negli scenari della seconda guerra mondiale, al di là della diversificazione dei percorsi che ne costituiscono la connotazione specifica. E’- questo per sommi capi- il senso delle coordinate che segnano l’itinerario del Forum letterario, in agenda domenica prossima nei locali dell’ Incontro.
Sotto i riflettori, per un verso, si colloca il tessuto narrativo de Il paese di don Riffò, il romanzo che il 28 settembre scorso è valso all’autore, Antonio Caccavale, l’importante riconoscimento premiale del Città di Taranto, prestigioso e rinomato concorso di caratura nazionale con diciotto edizioni in archivio, che ne convalidano la rilevante portata culturale e, per l’altro verso, la fine e puntuale rielaborazione storico-cronachistica de Il treno della morte, il racconto con cui Angelo Amato De Serpis rivisita la tragedia che, 80 anni orsono, si consumò nella Galleria delle Armi lunga due chilometri sulla tratta Battipaglia–Potenza, nel territorio di Balvano, con oltre seicento viaggiatori, che, senza averne la minima percezione, passarono dal sonno alla morte istantanea, respirando aria avvelenata dal micidiale e letale monossido di carbonio.
Accadeva nei caotici, confusi e convulsi mesi che seguirono l’ 8 settembre del ’43 con la dichiarazione di armistizio concesso dal generale Eisenhower, comandante in capo delle Forze alleate anglo–americane nell’area mediterranea, accogliendo la richiesta del governo italiano, presieduto dal Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio; richiesta che riconosceva …”la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione … “ Viaggiavano su un convoglio- merci, composto da 50 carri, lungo 500 metri, che utilizzava due locomotori con trazione a vapore,alimentato da carbone. Il carbone della morte in carri–merci, invasi dal monossido di carbonio, senza alcun alito d’ossigeno, per non dire dell’angusta Galleria delle Armi, priva delle necessarie bocche di ventilazione e aereazione.
Don Riffò,- diminutivo di arriffatore, inteso come organizzatore del gioco d’azzardo della riffa, un mestiere a lungo praticato con larga diffusione nell’area napoletana, specie nelle pubbliche ricorrenze festive religiose e laiche, reato dagli anni ’60,- è il personaggio, attraverso il quale Antonio Caccavale ricostruisce e configura la realtà di un microcosmo sociale, il paese senza nome, nel quale si può ravvisare e identificare qualsiasi altro paese delle galassie del Sud, piccolo, medio o grande che sia per entità demografica. Un personaggio, che, diventato ricco già negli anni del fascismo, con l’avvento della democrazia nel secondo dopo-guerra assurge nel paese innominato alla dimensione del potente notabile, al cui volere si piega-, e piega-, la comunità locale. E’ il ruolo che esercita con risolutezza, frutto dei maneggi della … politica nel gioco dei partiti, e non solo. Ma sulla strada del potere deve fare i conti con don Cesarino, anch’egli pretenzioso e arrogante signorotto locale, che, tuttavia, non regge il … confronto con don Riffò, campione di malizie e … promesse fatte e disattese a millanta, con il contorno dei brogli elettorali, in cui è ormai specialista, nelle tornate amministrative comunali che si rinnovano a scadenze fisse nell’appena nata democrazia, che si articola nelle assemblee elettive, basilari istituzioni dello Stato repubblicano.
E’ l’antagonismo, quello di cui sono interpreti e attori don Riffò– don Cesarino che fa da fulcro del romanzo. Una trama, in cui si raccontano storie di onesti e puri amori giovanili, di sofferte emigrazioni, per lo più nell’accogliente, operosa e ordinata Svizzera, di tanti giovani uomini e donne, oltre che di interi nuclei familiari, incluso il fenomeno delle bambine e dei bambini che le famiglie migranti nascondevano ai controlli degli Agenti di dogana che operavano sulle linee di frontiera, aperte verso le mete del lavoro e del benessere ambito . Era l’unico modo, per evitare i quasi certi respingimenti … in terra patria dei nuclei nella loro interezza. Cupa e triste la storia della bella Mariarosa, straziata e uccisa nel fiore dell’età giovanile. Un orrendo crimine, per il quale, in virtù di un artificioso incastro di testimonianze taroccate e addomesticate,- c’è la mano … con corposi interessi di don Riffò, nel fugare i più che fondati sospetti di colpevolezza che gravavano, invece, su Felice, il danaroso e riverito giovane rampollo di Gennaro Palumbo, tra i più ricchi possidenti del Circondario– che disponeva di una Balilla color bianco con parafanghi in nero, simbolo di stato di spiccata agiatezza che non si faceva scrupolo e rèmora nel farne … ostentazione. L’incastro si rivela congegnato alla meglio, al punto che dell’orrendo crimine- con false testimonianze, dicerie, pregiudizi e carte … a posto, come si suole dire- è accusato e condannato, Ninuccio Mezzaluna, del tutto innocente, responsabile, al più, di eccessi di … bonomia, essendo stato preso dalla luna fin dalla nascita, secondo la corrente vulgata nel paese innominato. Ed allunata era la stessa madre, l’ingenua e povera Luisella, che, vittima di atroci abusi e violenze sessuali, aveva generato Ninuccio Mezzaluna. Figlio di padre ignoto …
Il finale della storia già scritto e confezionato si traduce nella sentenza di sommaria assolutezza, per la quale Ninuccio Mezzaluna è giustiziato, secondo il Codice penale vigente, con il rituale della fucilazione. Un‘esecuzione officiata nell’immediatezza della lettura del verdetto di condanna proprio nel luogo dello strazio patito da Mariarosa . En passant, va ricordato che in Italia, la pena di morte con fucilazione, contemplata dal Codice Rocco, è stata abolita nel 1948.
Il romanzo di Antonio Caccavale offre significativi e utili squarci di ricognizione sociologica sul contesto del paese di don Riffò, specchio e metafora del Sud di ieri, che si proietta e riflette nella stagnazione e nell’immobilismo dell’ oggi. E così le modalità d’azione dei don Riffò e dei don Cesarino si conservano e alimentano ancor più nel presente, con le più disparate espressioni di camaleontismo nell’esercizio del potere politico ed amministrativo locale, a cui in simmetria corrisponde l’acquiescenza generalizzata di cittadine e cittadini, che si rinserrano nel proprio particolarismo, sottraendosi alle pur doverose responsabilità verso la civile convivenza nell’osservanza della Costituzione, per affermare la democrazia compiuta e reale. Niente di nuovo sub sole.
E’ la comoda acquiescenza che di fatto fa moltiplicare i don Riffò e i don Cesarino, con l’ossequiosa corte di bigotti e interessti manutengoli nella generalità delle realtà locali, Comuni e Regioni che siano. E’ la passiva e supina acquiescenza , per la quale sembra che il Sud preferisca rinunciare a credere in se stesso e alla sua capacità di emancipazione e di progressiva evoluzione. Nella sostanza è la comoda rinuncia, che depotenzia, se non impoverisce e annulla, i valori della giustizia e della libertà, che si alimentano con la cultura e l’onesto lavoro produttivo che rifugge da corruzione e tutte le forme di parassitismo sociale, contrastandole di netto.
Di taglio distinto, ma sotto varie prospettive del tutto complementare a Il paese di don Riffò è l’impianto de Il treno della morte, prendendo le mosse dalla configurazione dell’ io narrante della tragedia di Balvano, identificato nel giovane soldato, ch’era stato in servizio sul fronte balcanico e successivamente in Toscana, per ritrovarsi a Salerno, in coincidenza appunto con l’annuncio dell’armistizio … del liberi tutti dalla guerra. Una condizione che, però, non sarà di agevole e generale attuazione e che per l’ io narrante si … risolve nel raggiungere, con tutte le modalità e mezzi possibili, Potenza, la città natia. Una condizione che riuscirà a vivere, trovando posto in quello che sarà Il treno della morte, sulla tratta Battipaglia – Potenza, in prosecuzione della Salerno – Battipaglia. E così l’ io narrante, sull’onda dei ricordi profondamente impressi nei pensieri e nella mente, prima che nei sentimenti, diventa partecipe e testimone diretto della tragedia di Balvano, avendo trovato, a sua volta, la salvezza per una serie di fortuite circostanze e il supporto della buona sorte, per così dire.
Un racconto, intessuto di tanti dettagli e circostanze da autentico cronista, che fa avvertire le proficue esperienze maturate sulle pagine del Giornale di Napoli e del Mattino. Sono tanti tasselli, che Angelo Amato De Serpis tratteggia in organica composizione, fissando la tragedia del ‘44, a cui conferisce attualità che ancora scuote le coscienze e commuove, a distanza di 80 anni Un monito a ricordare, le rovine che generano le guerre, tutte le guerre. E la negazione dell’ umanità, di cui sono portatrici.