di Gianni Amodeo
Squarci di storia aperti sull’Europa del XX secolo, così come si rincorrono nei processi geo-politici e nei cambiamenti istituzionali lungo il sanguinoso trentennio, racchiuso tra la Grande guerra del ’14–18, con il tragico e triste retaggio di 20 milioni di morti, e la sua cupa propaggine che nel ’39–45 toccò il culmine di Guerra totale e di massa ancor più distruttiva della precedente, investendo anche e duramente l’Asia e l’Africa, con l’epilogo dell’avvento dell’ era atomica che segnò l’annientamento di Hiroshima e Nagasaki, lasciando dietro di sé – e in sé – oltre 100 milioni di morti, un cataclisma dalle traumatiche e sconvolgenti dimensioni generato dall’ uomo contro se stesso. E quello che scaturì dalla conclusione della Grande guerra, a sua volta, era stato un trentennio non solo inframmezzato dalla guerra di conquista coloniale dell’ Etiopia compiuta dall’Italia mussoliniana, con la conseguente proclamazione dell’Impero nella falsa e mistificante retorica della romanità ritrovata, e dalla guerra civile di Spagna, ma anche attraversato integralmente e permeato radicalmente dai terrificanti sistemi totalitari del nazionalsocialismo, del fascismo e del comunismo sovietizzato con la loro scia di nefandezze e stermini consumati in lager e gulag, persecuzioni e stragi etniche, atrocità e terrorismi massificati di ogni genere e ordine, per non dire delle libertà represse, dei diritti umani e civili conculcati o annullati; sistemi totalitari sconfitti dalla storia – la cui memoria va custodita e vissuta quale monito da onorare con costante impegno e quotidiana osservanza- i primi due nello scacco politico e militare subito dall’Asse Germania – Italia – Giappone nel ’45, il terzo nel dicembre del ‘91 per l’auto-scioglimento politica dell’Urss che n’era stata interprete e alfiere, mentre falliva l’intero modello dell’economia della pianificazione statalista, imploso già negli anni ‘70–80.
E’ lo scenario delineato per rapidi e sommi capi, che fa sfondo al primo appuntamento dell’agenda degli Incroci letterari, con cui L’Incontro, all’insegna dell’impegno e del volontariato civico, si propone di concorrere alla scoperta e alla promozione delle espressioni e delle testimonianze della cultura, intesa nella più ampia valenza tematica possibile, che si sviluppano e manifestano nella realtà delle comunità e dei territori; un rendez–vous, svoltosi nei locali del sodalizio in via Luigi Napolitano e incentrato per l’esordio degli Incroci sulle correlazioni tra narrativa storica e poesia, con introduzione di Carlo Melissa che evidenziava l’importanza della socialità da recuperare e ri-vitalizzare sul piano della normalità, dopo i periodi di lockdown e le stringenti misure di sicurezza socio-sanitaria osservate e praticate di necessità, per fronteggiare e depotenziare il virus pandemico.
Conoscenza e socialità, guardando al futuro
Nel presente, in coincidenza proprio con il superamento dell’ emergenza– coronavirus, è fortemente avvertita l’esigenza di ritrovare la socialità restata a lungo sospesa, per guardare con fiducia verso il futuro, affermava Melissa; un obiettivo, in cui L’Incontro si riconosce con le sue iniziative, per proporre opportunità di discorso pubblico e suscitare stimoli di riflessione, rimuovendo, nello stesso tempo e con le cautele e prudenze dovute, le chiusure e le marginalità restrittive che hanno segnato in profondità il biennio 2020\21, riducendo a brandelli, se non vanificando, la comune vita di relazione e di aperto scambio di opinioni diretto, ch’era consueta prima del covid–19. Sono opportunità e stimoli- chiariva Melissa– che per il primo tassello di Incroci letterari sono forniti proprio dall’ arco di tempo tra i due conflitti mondiali. Un complesso e complicato percorso di storia, ri–composto e ri–visto così com’è stato vissuto nei territori dell’Istria, della Dalmazia e del Litorale adriatico; territori di confine, con popoli e popolazioni dalle lunghe storie di pacifica convivenza pur nelle matrici etniche e culturali distinte o diversificate, ma anche e spesso in aperto conflitto – prima sociale e poi militare– per i criteri e le scelte di espansionismo e dominio politico dei governi.
Era, in particolare, la ri–visitazione, ancorata al proficuo e intenso dialogo che la professoressa Luciana Sorbini, coordinatrice dell’evento, sviluppava con Gaetana Aufiero, autrice di Anita e Nora\ due donne in fuga\ Da Wagna a Trieste, l’avvincente romanzo storico, pubblicato da Delta 3–Edizioni, con vicende che s’intrecciano tra il tramonto della belle epoque e il nuovo ordine mondiale emerso da Yalta nel ’45, configurando l’antagonismo tra Ovest ed Est. Un racconto, di cui è archetipo Trieste, città di civiltà cosmopolita, faro d’arte, musica lirica e letteratura, capitale-simbolo della Mittel Europa asburgica ed austro-ungarica, così come Vienna n’era la capitale politica, ma è anche la Trieste simbolo identificativo dell’intera Venezia Giulia, diventata tra il ’43 e il ’45, un altro dei tanti e vasti mattatoi umani disseminati in Europa dalla seconda guerra mondiale, con la comune sorte di tribolazioni e sofferenze vissuta dalle popolazioni dell’ Istria, della Dalmazia e del Litorale adriatico, in cui si susseguirono scontri e battaglie di inaudita violenza tra le truppe d’occupazione della Wehrmacht e le truppe di liberazione avanzanti dell’ Armata jugoslava e dell’esercito britannico, con cui si correlavano i partigiani slavi.
Anita e Nora, storie personali e famigliari, plasmate dalle guerre
Una realtà che Gaetana Aufiero ha il pregio di raccontare sia con il registro della documentazione di fatti ed eventi, descrivendo luoghi e città nella specificità dei contesti evocati sul piano sociale e dei costumi, in virtù delle note capacità di ricerca con importanti esperienze maturate in Irpinia, sia con il registro della quotidianità – ch’è poi lo sguardo, il sentire e il pensare tra mille vicissitudini e traversie personali e famigliari- delle protagoniste del romanzo, Anita, la bella e già celebre cantante, per quanto giovane, del Lirico di piazza Grande, e di Nora, generosa ragazza d’origine e famiglia slava. Un’amicizia, la loro, ch’era nata a Wagen, la città delle baracche di legno, uno dei tanti campi di internamento, in cui Comandi militari austro–ungarici, relegavano e isolavano le persone che erano sospettate di potenziale tradimento verso Vienna, specie se risiedevano e vivevano in città e zone d’interesse strategico per le azioni e le manovre delle truppe e della flotta militare dell’Impero.
Le storie di Anita e di Nora diventano così il filtro e lo specchio che riverbera la storia da inarrestabile macchina di quel tempo che ci si illude di vivere, ma da cui si è vissuti e con fini imperscrutabili, spesso in bizzarra casualità apparente, ora favorendo e promuovendo progetti di vita auspicati, ora facendo deviare i destini sognati dai loro itinerari immaginati. Ma quelle di Anita e di Nora sono anche storie, da cui si effonde la luce della speranza e dell’amore per la vita e il bene dell’umanità, al di là delle tragedie delle guerre, che della vita e dell’umanità sono, la mostruosa e orrenda negazione. Una luce, che con fine sensibilità ed acuta intelligenza Gaetana Aufiero trasforma in narrazione fluida e scorrevole, in cui il plastico realismo si mescola e fonde alla perfezione con elementi di verosimiglianza.
E sulla scia luce della speranza e dell’amore che rischiara l’orizzonte di Anita e Nora il dialogo tra Luciana Sorbini e Gaetana Aufiero – donne di Scuola, con lungo corso di Materie letterarie e Storia nei Licei e negli Istituti statali d’Istruzione superiore, oltre che madri e nonne rispettivamente di tre nipoti per i quali stravedono– si apriva sulla condizione attuale dell’Ucraina, invasa, aggredita ed occupata dalla Russia di Putin, riproducendo in questo scorcio di XXI secolo proprio nel cuore dell’Europa quegli scenari di morte e distruzione che hanno marchiato indelebilmente il Novecento delle ideologie assassine e delle loro derive e che sembravano finiti nell’abisso dell’oblio.
E’ uno riproduzione che, invece e purtroppo, parla in modo angoscioso attraverso le donne, le giovani, le madri, le bambine e i bambini- evidenziava, Gaetana Aufiero– in fuga dalle loro case e dalle loro città, devastate e rese spettrali dai bombardamenti aerei, dai missili micidiali e dagli asfissianti colpi d’artiglieria e dei tank con cui operano l’aeronautica e le forze militari russe. E verso l’ Ucraina e il suo coraggioso popolo che difende la propria storia, il proprio territorio e le proprie libertà civili e politiche, la solidarietà espressa in aiuti prima che doverosa- aggiungeva, la scrittrice- costituisce l’unica e concreta testimonianza di umana condivisione, per costruire la Pace.
Il coraggio e la dignità dell’Ucraina, trasformata in “circo sanguinario”
Un crocevia di coscienza umanitaria e civiltà -, quello della Pace da ripristinare nell’ Ucraina trasformata da una guerra abietta in un circo sanguinario, per dirla Ian McEwan, lo scrittore britannico autore di Espiazione e L’Inventore dei sogni-, su cui era calata la poesia, portatrice e messaggera, per sua intrinseca natura, dello spirito del bello e della vita. Era il rapporto Pace–Poesia, a far da chiave ispiratrice del dialogo che Luciana Sorbini sviluppava con Sabato De Luca, autore della silloge intitolata Il Recto e il Verso, pubblicata da Edizioni Sinestesie. Un percorso compiuto tra risonanze liriche ed elegiache, ravvivate da immagini di gusto classicheggiante e scelte lessicali echeggianti l’antica matrice greca e latina. Una successione e varietà di composizioni, strutturate con garbo metrico di buona fattura,con l’ineguagliabile pregio di raccontare in versi anche e soprattutto il territorio e l’incanto paesaggistico, con le gemme della Foresta demaniale di Roccarainola e dei Monti Avella, che l’imponente e sempreverde Partenio incornicia.
A rendere suggestivo l’ evento–Incrocio, la lettura di pagine scelte del romanzo Anita e Nora, eseguita da Costanza Fiore, profonda conoscitrice della cultura teatrale, e la lettura di composizioni tratte da Il Recto e il Verso, proposta con puntuali riflessioni critiche da Giusy De Laurentiis.
‘O culore d’e pparole– che si pubblica di seguito- era il sigillo finale impresso dalla dizione recitata con caldo trasporto emotivo e intensa partecipazione da Costanza Fiore. Un sigillo, quello dei versi di Eduardo De Filippo, quale omaggio al Teatro, ma soprattutto al parlare, inteso come dire espressivo, con parole coinvolgenti e veraci di sincerità, così come si ritrovano nel lessico dell’universale e composita lingua napoletana, con le tante sfumature di significato che ogni sua parola incorpora. Un dire espressivo ponderato e misurato, che richiede e racchiude in sé anche e soprattutto la bella e difficile capacità ed attitudine a saper ascoltare gli altri, senza disdegnare, potendo e volendo, il saper leggere, tralasciando le facili opinioni di prima impressione e i pre-giudizi di maniera. Sono fugaci e ingannevoli.
‘O culore d’e pparole
Quant’ è bello ‘o culore d’ ‘e pparole
e che festa addiventa nu foglietto,
nu piezzo ‘e carta –
nu’ importa si è stracciato
e po’ azzeccato –
e si è tutto ngialluto
p’ ‘a vecchiaia,
che fa?
che te ne mporta?
Addeventa na festa
si ‘e pparole
ca porta scritte
so’ state scigliute
a ssicond’ ‘o culore d’ ‘e pparole.
Tu liegge
e vide ‘o blù
vide ‘o cceleste
vide ‘o russagno
‘o vverde
‘o ppavunazzo,
te vene sotto all’ uocchie ll’ amaranto
si chillo c’ha scigliuto
canusceva
‘a faccia
‘a voce
e ll’uocchie ‘e nu tramonto.
Chillo ca sceglie,
si nun sceglie buono,
se mmescano ‘e culure d’ ‘e pparole.
E che succede?
Na mmescanfresca
‘e migliar’ ‘e parole,
tutt’ eguale
e d’ ‘o stesso culore:
grigio scuro.
Nun siente ‘o mare,
e ‘o mare parla,
dice.
Nun parla ‘o cielo,
e ‘o cielo è pparlatore.
‘A funtana nun mena.
‘O viento more.
Si sbatte nu balcone,
nun ‘o siente.
‘O friddo se cunfonne c’ ‘o calore
e ‘a gente parla cumme fosse muta.
E chisto è ‘o punto:
manco nu pittore
po’ scegliere ‘o culore d’ ‘e pparole.
Eduardo De Filippo