del prof. Carmine Montella, a nome dell’Associazione Archibugieri di Baiano
Un attacco a singoli momenti della festa del Maio è un attacco alla storia e alla tradizione, ma soprattutto all’intera comunità, fatta passare per un insieme di banditi o di esseri incivili che commettono atti di vandalismo.
La nostra festa non è un evento organizzato dalle ultime due o tre generazioni per riempire il tempo delle festività di fine anno, ma ha una storia che si perde nella notte dei tempi, frutto anche del sacrifico dei nostri antenati, e per questo va rispettata.
Chi ha il compito di vigilare sulla festa per evitarne devianze e criticità non può sottovalutare la buona volontà dimostrata dai cittadini nel mettere mano ai tanti miglioramenti apportati ed ha il dovere di leggere i testi che sono stati pubblicati proprio per farne conoscere lo spirito che la anima, i valori che sono stati tramandati da molti secoli da padri in figli e che costituiscono il collante della continuità nel tempo.
Il “Maio” non è un albero qualsiasi del bosco di Arciano. È un simbolo di fede dei Baianesi per Santo Stefano. Un dono, un omaggio al Santo patrono che mette frenesia nel popolo a partire da novembre, quando si va a sceglierlo tra i tanti che elevano al cielo la loro chioma e lasciato lì fino all’alba di Natale segnato con una doppia “S” di colore rosso.
Portarlo davanti al Santuario il 25 dicembre prima a forza di braccia sul “carruocciolo” lungo i sentieri del bosco, poi sul “traino” tirato da tre maestosi cavalli, circondato dall’intera popolazione che prega, trepida, piange, balla, canta, si abbraccia, si inginocchia, spara, ha un significato profondo che se non viene colto in pieno non può essere apprezzato, col rischio di trarne valutazioni affrettate che danneggiano una manifestazione antica che ha radici profonde nel fertile humus della nostra terra. Se si resta a guardare in superficie, si commette un grave errore.
Il Natale baianese è un momento di gioia che compatta la comunità, che in esso ritrova come non mai il forte senso di appartenenza alla propria terra senza distinzione di classe sociale o di titoli di studio e rivive i passi degli antenati che hanno saputo tramandarci una testimonianza di fede e l’orgoglio dell’unicità della festa, consapevoli che [come ho sottolineato in un mio libro] «nelle cerimonie del Maggio e del fuoco la data del 25 dicembre non ricorre tanto frequentemente nel folklore europeo e per Baiano certamente l’averla adottata ha avuto il significato di un rispetto della propria storia, un ritorno all’antica religione. In considerazione poi del fatto che il Santo patrono di Baiano è Santo Stefano, ricordato dalla Chiesa quale primo martire il 26 dicembre dopo i festeggiamenti di Cristo, le due date ravvicinate del 25 e del 26 sono state per i Baianesi una vera folgorazione. Dopo la novena di Natale (dal 16 al 24 dicembre) e quella di Santo Stefano (dal 17 al 25 dicembre), essi con la processione del Bambino la notte della Vigilia, il Maio e il focarone di Natale e la processione del 26, festeggiano insieme la nascita di Gesù, quale espressione più alta della cristianità, e Santo Stefano, quale primo martire e primo testimone del Suo insegnamento. E il Maio di Natale, nello spirito delle evoluzioni della cerimonia, [dal Concilio di Trento in poi, 1545-1563] viene oramai dedicato a Santo Stefano, come il popolo grida continuamente durante la festa, come nuovo destinatario dell’evento, ma nella scia della tradizione del culto dell’albero e della sua simbologia: Evviva il Maio di Santo Stefano!».
Una fede profonda che fa tornare gli emigranti da ogni parte d’Italia, perché il Natale per loro, come per noi tutti, è la nascita del Bambino portato di notte per le strade del paese dai Vesuni alla Chiesa, il Maio e la processione di Santo Stefano. E forte è il desiderio di rivivere la festa anche con qualche sparo con la carabina presa abusivamente dalle mani di un amico o di un familiare (come però nella scia della tradizione!), in mezzo ai tracchi e davanti al focarone, con la benedizione del Santo patrono il 26 dicembre. Un tornare a casa in mezzo agli amici per fare un pieno di emozioni e ripartire con una carica di ossigeno e di gioia fino al Natale successivo. Un aspetto questo che va ricordato sempre quando si scrive della nostra festa.
Certamente in una manifestazione che vede la partecipazione di migliaia di persone ci sono dei punti deboli, delle intemperanze da parte di singoli attori, ma nei limiti dell’accettazione collettiva, ci sono azioni che vanno corrette per adattarle ai nuovi bisogni della società nel rispetto delle nuove leggi. Ma questo non significa criminalizzare chi commette errori durante la festa. Il dare un fucile (nel passato) o la carabine (oggi) in mano ad un familiare o ad un amico per sparare due colpi, non è altro che un atto vissuto e rivissuto negli anni non come atteggiamento esibizionistico ma come desiderio di coinvolgimento suffragato dalla convinzione che è stato fatto sempre. Nel lontano 1986 (a titolo di esempio di una condivisione storica che si perde nella notte dei tempi!) l’allora Sindaco di Baiano Pietro Foglia prese da un amico la carabina (quindi senza esserne il proprietario e senza averne titolo per usarla!) e si esibì in piazza F. Napolitano davanti ad una folla festosa, che applaudiva ed osservava senza nessun timore. Non credo che abbia voluto sfidare la legge! Fece semplicemente ciò che da sempre abbiamo fatto un po’ tutti.
Io non voglio difendere l’illegalità, ma ciò che da un osservatore esterno può essere visto e giudicato come un reato, un’azione fuorilegge, in fondo quasi non è stato altro che una consegna della tradizione, un passaggio di mano di padre in figlio, che un po’ tutti hanno fatto nel corso della storia del nostro Natale, quale momento estemporaneo per avviarli verso il futuro, con la consapevolezza che una interpretazione estemporanea da parte anche di un minore sotto l’attenta vigilanza del maggiorenne non è stata mai causa di pericolo per chi spara e per chi guarda.
Non si dovrà più fare? Bene. Allora l’arbitro estragga un cartellino giallo e ammonisca chi commette il fallo. La comunità ne prende atto, la festa si corregge nei punti deboli e fa un passo avanti verso la modernità! E, ad onor del vero, tanti passi avanti sono stati fatti, tante sfaccettature sono state limate, dimostrando maturità collettiva che non va sottovalutata in un giudizio complessivo sulla festa.
Gli incidenti che si sono verificati a Baiano nella storia del Maio sono talmente pochi in percentuale rispetto all’enorme partecipazione di gente da non dover essere presi neppure in considerazione, altrimenti non si dovrebbe consentire nessuna festa popolare dove c’è coinvolgimento di masse.
Io, che ho scritto libri, articoli giornalistici, testi teatrali e poesie sul Natale baianese che ho pubblicizzato in vari salotti culturali della Campania ed ho rilasciato interviste ai redattori delle testate locali, urlo: «Giù le mani dalla nostra festa!». Ed oso dire: «Se vogliono incriminarne singoli atti, allora si abbia il coraggio di bloccare il Palio di Siena, i Gigli di Nola, di Barra e Ponticelli, i Carri di Mirabella e Fontanarosa, il carnevale di Ivrea con il lancio delle arance, il Maio di Accettura e i rituali del “Maggio” in Basilicata, il Palio degli asini di Alba e tanti altri eventi folkloristici su tutto il territorio nazionale, durante i quali il pericolo è costante e nascosto dietro gli angoli di ogni singola strada!»
Chiudo questo lungo intervento, sintetizzando una conversazione tratta dal mio testo teatrale «Aspettanno ‘o Bambimo».
SALVATORE: Sparando con la carabina, è un modo come un altro per stare vicino al Signore!
STEFANO: Noi preghiamo con le carabine. Ogni botto di un baianese è un pensiero a nostro Signore e a S. Stefano!
DR MONTUORI: (Gli archibugieri) Non sbagliano una battuta, un accento, un movimento, davanti ad un pubblico esigente che li segue nel teatro itinerante e li applaude alla fine di ogni scena! Un pubblico che conosce a memoria il testo, eppure lo rivede ogni anno, apparentemente sempre uguale ma recitato in modo nuovo, adattato all’atmosfera, alla tensione, all’emozione che si rinnova e si tramanda da generazione a generazione!… Evvivaddio! Un giorno di gloria non guasta mai a nessuno! Anche alla gente semplice che si esibisce con la carabina in nome di S. Stefano e del Majo! Ogni anno, quando si avvicina Natale, sento dentro di me nascere una frenesia incontrollabile, che piano piano ridiventa passione! Allora abbandono ogni cosa, preparo la carabina con molta cura, la metto a lucido e rivolgo un pensiero a S. Stefano. Lo prego di darmi la forza di affrontare il nuovo anno con la giusta carica emotiva. In cambio gli dedico per due giorni tutte le mie energie!… Fin da piccolo, quando mi portava per mano mio padre a vedere il Majo, io ho promesso di fare festa a S. Stefano con la carabina, mescolandomi in mezzo a tutte quelle persone semplici che con tanta fede contribuiscono a tenere alta la devozione verso il patrono del paese. Ed ho mantenuto la promessa!