di Romeo Lieto
‘Ze Ndriana
Nel Dopo- guerra, nel quartiere Vesuni, operavano alcuni cestai che in piena notte, alle due e trenta circa, accendevano i forni, per cuocere i tronchetti di castagno e dopo, ancora caldi, lavorarli per quasi l’intera giornata, per ricavare le sfoglie per la costruzione delle ceste, comunemente chiamate Sporte. ‘Ze ‘Ndriana, con il figlio Luciano, cestaio, vestiva in nero con abito lungo fin sopra le caviglie, con avanti al vestito un grembiale con due enormi tasche laterali, che contenevano, di solito, biscotti fatti in casa, che in ogni occasione offriva a tutti i ragazzi del quartiere e specialmente quando vi era la loro collaborazione per la cucitura delle ceste; operazione consistente nel tappare i grossi fori, tra gli incroci delle sfoglie, con altre sfoglie di castagno di larghezza ridotta, realizzate all’occorrenza in relazione agli spazi da otturare.
Questi lavori di piccola manualità venivano fatti, solitamente, dai ragazzi del posto, in gruppo, che con un gran vociare e schiamazzo allietava il luogo di lavoro, costituito da un ampio e lungo androne comunicante con la Via Tufo, oggi, Via Nicola Litto. Il locale di lavoro aveva accesso dalla strada attraverso un ampio arco in muratura, senza infisso, con soglia di ingresso in pietra bianca rialzata rispetto al piano stradale in modo da formare un gradino che preservava il locale dall’entrata delle acque pluviali correnti sulla pubblica strada. Luciano era un uomo di bassa statura, con fisco asciutto e con vistosi problemi deambulatori; nel tardo pomeriggio e prima dell’imbrunire chiamava a raccolta i ragazzi del quartiere e con loro operava la cucitura delle sporte, raccontando storie e tante allegre novelle. La collaborazione per la rifinitura delle ceste durava non più di un paio di ore e non tutti i giorni; l’aiuto dei ragazzi veniva richiesto soltanto quando vi era urgenza per la consegna del prodotto finito. Diciamo che più che un lavoro era uno stare insieme con Luciano, persona amabile, simpatica e divertente che raccontava varie storielle ed ancor più, per noi ragazzi, era un piacere ricevere il gradito dono da ‘Ze Ndriana”, sempre pronta con i suoi biscotti fatti in casa.
‘Ze Ndriana, oltre al figlio Luciano, aveva anche altri figli, un primo figlio a nome Giovanni, anch’egli cestaio, aveva un proprio locale di lavorazione in Via Tufo, un altro figlio era nella Polizia di Stato, un altro era bidello di Scuola ed un altro ancora di nome Francesco, da tutti conosciuto come il Professore Cicione, insegnava nella Scuola elementare di Baiano. L’insegnante era un bell’uomo di media statura e con fisico robusto e tono di voce autorevole che, a volte, incuteva in noi ragazzi un certo timore. Aveva un portamento che esigeva rigore e rispetto per lo studio e per le istituzioni. Oggi, i suoi alunni, possono affermare che il suo metodo di insegnamento, ha fatto acquisire loro utili nozioni sia culturali che comportamentali.
Negli anni Quaranta, era da poco finita la guerra, ed il particolare metodo di insegnare veniva suggerito ed autorizzato anche dai genitori degli alunni; all’epoca figli di contadini ed operai che lavoravano la terra per l’intero giorno e che affidavano al Maestro l’insegnamento sia scolastico che educativo. Il nostro Maestro Francesco, chiamato comunemente professore Cicione a fine lezioni e prima di uscire dall’aula, non mancava mai di far cantare in coro ai suoi alunni, l’Inno di Fratelli d’Italia o l’Inno del Piave, repertorio all’epoca molto sentito dagli Italiani.
‘Ze Virgilia” e le altre
Nei pressi del portone / lavorazione delle ceste di ‘Ze ‘Ndriana, lungo la ex Via Tufo, nell’angolo di un vicolo cieco, sul confine della strada, su una grossa pietra bianca lavorata, chiamata ‘ a Rara -ad uso di sedile- residuo di un’arcata di androne, era solita sedere ‘Ze Virgilia in compagnia di altre donne del quartiere. ‘Ze Virgilia era una contadina e donna di casa in età, godeva di grossa corporatura e portamento tipico di una Matrona romana, dotata di grande esperienza e sapere di massaia e di madre ed era solita dispensare buoni ed utili consigli alle giovane massaie ed alle mogli dei contadini. Nei caldi pomeriggi ed all’imbrunire erano solite sedere sulla grossa pietra o accoste, su sedie in legno impagliate, la nuora di ‘Ze Virgilia a nome Maria, anch’essa madre di molti figli, la dirimpettaia Minella, seconda moglie del calzolaio Mastro Ciccio ‘e Ciella –Lucia– moglie del mediatore Nicola, chiamato ‘o Sperunese.
Tutte, oltre al controllo dei ragazzi nella strada, avevano la funzione di raccogliere notizie di fatti che si verificavano nel quartiere, per poi commentarle ed all’occorrenza, trasmettere alle loro famiglie. Conoscevano tutto e di tutti ed, a volte, per errata o personale interpretazione di qualche notizia da parte di una di loro, nascevano dissidi e polemiche tanto che l’anziana ‘Ze Virgilia doveva porre in essere tutta la sua esperienza di massaia per dissipare prontamente la vertenza in atto. All’epoca non erano diffuse la Televisione e la Radio, di cui disponevano poche persone; gli avvisi pubblici venivano fatti dal banditore a servizio del Comune, nelle ore serali, quanto tutti erano rientrati dal lavoro.
‘O Professore ‘e matematica”.
Sulla ‘Rara di pietra calcarea, a volte, sedeva anche un giovane professore di matematica, che per non recarsi personalmente alla rivendita di tabacchi sul corso principale del paese, era solito commissionare ad alcuni ragazzi del quartiere, l’acquisto di sigarette.
All’epoca erano vendute anche sfuse, nel “Sali e Tabacchi di fronte al vicolo detto ‘e Schingos -Via San Giacomo-, sulla via Roma, di fronte al bar di Rachele, posto all’angolo del vicolo stesso. I soldi erano di carta ed il professore consegnava al gruppo di ragazzi una banconota da cinquanta lire con il compito di acquistare cinque sigarette, per un importo di trentacinque lire o più o meno e ricevere il resto in lire. I ragazzi lungo la strada ripetevano in cantilena la commissione affidata loro, fino a quando entrati nel “Sali e Tabacchi”, a furia di ripetere, non ricordavano più i dettagli della commissione, per cui erano costretti a tornare dal professore per riaverne l’ordine.
E qui veniva il bello, in quanto tutti, con il volto rosso per la vergogna, si fermavano all’angolo del negozio alimentare di Carolina ’a Pullera, poco distante da chi li aspettava seduto sulla Rara, e qui, nascosti, sorteggiavano l’affidatario con il compito di scusarsi per la dimenticanza e richiederne l’incarico. Il professore, che si prefiggeva di insegnare loro anche di fare i conti, dopo averli rimproverati, non lesinava di appellarli: “Ciucci”, quando vi decidete d’imparare a fare i conti. I famigliari dei ragazzi, conosciuti i fatti, ringraziavano il professore che giustamente li aveva redarguiti.
I Cestai, detti anche “Spurtullari”
Nel quartiere Vesuni tra le numerose famiglie contadine vi erano anche tre o quatto famiglie di cestai che vivevano lavorando alla costruzione delle ceste. I grossi polloni di castagno venivano loro forniti nel pomeriggio del giorno precedente, da piccoli commercianti, dopo averli acquistati, a loro volta, da imprenditori boschivi. Di solito, il capofamiglia dei cestai, alle due circa della notte, accendeva il forno per la cottura dei tronchetti ed una volta sfornati, alle prime luci dell’alba, venivano lavorati dall’intero nucleo famigliare per l’intera giornata. Il lavoro dei cestai terminava di solito nel tardo pomeriggio, quando le ceste realizzate, venivano accatastate e pronte per la vendita ad altri commercianti, che le ritiravano per rivenderle ai venditori di frutta e verdura.
Oggi, nei Vesuni, di cestai, ne è rimasto uno solo a continuare la tradizione e l’attività ed opera su richiesta in un piccolo laboratorio. Oggi, la frutta e gli ortaggi vengono commerciati, utilizzando cassette di plastica di produzione industriale, che hanno completamente sostituito le ceste in legno, annullando, così, la magra economia ed il lavoro di tanti piccoli artigiani.