di Romeo Lieto
‘A trubbea * : questa particolare manifestazione temporalesca delle passate primavere, ogni anno, si riproponeva nel periodo dall’ultima decade di maggio alla seconda decade di giugno, quando i contadini erano impegnati nella raccolta delle ciliegie, ‘e cerase. Strani temporali che si formano nell’atmosfera in poco tempo e ruotando nell’area insieme con vento, tuoni e lampi, rovesciavano, improvvisamente, sulla terra, una grande quantità d’acqua. A volte al raccoglitore di ciliegie, sulla scala, a circa sette / otto metri da terra, non era consentito neanche il tempo di scendere per ripararsi, che quando arrivava a terra era già inzuppato d’acqua.
La storia. Fine maggio del 1953, è passato da poco mezzogiorno, quando un ragazzo che frequenta la scuola media “Alessandro Manzoni” nel vicino paese di Mugnano del Cardinale, con passo veloce, corre per rientrare presto a casa. Qui, prenderà il secchio con il pasto per la cagnetta, che da pochi giorni ha partorito, per proseguire verso la campagna, nel fondo agricolo, dov’è un pagliaio ed entro, in un angolo, un giaciglio con la neonata vispa cucciolata.
E’ in cammino da oltre mezz’ora, quando in prossimità dell’arrivo, ha notato e salutato nel fondo a ridosso della strada e confinante con il suo, Zì Stefanina, un’anziana contadina, intenta a lavorare la terra in compagnia del figlio Gioacchino, contadino e di due ragazzi, Raffaele e Matteo, figli di quest’ultimo.
I presentimenti della cagnetta e l’ospitale pagliaio
‘A trubbea s’aggroviglia tra lampi, tuoni e pioggia
Proseguendo, con passo veloce, con un vistoso e procurato affanno, raggiunge il proprio fondo ed il pagliaio. La cagnetta in lontananza ha avvertito l’arrivo del suo giovane padrone ed in segno di gradimento, gli va incontro mugolando e saltellandogli lungo le gambe, con il rischio di farlo cadere. Raggiunto il pagliaio, il ragazzo deposita il pasto e versa altra acqua nell’apposito contenitore accosto al giaciglio della cagnetta, verifica la presenza ed il numero della cucciolata ed alza lo sguardo verso il cielo per scrutare l’avvicinarsi dello strano evento temporalesco. Il temporale lo ha raggiunto e si fa maggiormente sentire con le sue violente folate di vento, con lampi e con tuoni misti a sprazzi di pioggia; il tutto in un ammasso di nuvole oscure che rasenta gli alberi e la terra.
La cagnetta ha solo annusato il pasto e non sembra intenzionata al suo immediato consumo, si é accovacciata sui cuccioli che implorano protezione, come se avvertissero l’avvicinarsi di un evento funesto. L’evento atmosferico ed i comportamenti degli animali incutono nel ragazzo tanta paura da indurlo a cercare protezione nella presenza di altre persone; si rianima e decide di raggiungere il pagliaio nel fondo dei vicini, dove certamente hanno trovato rifugio l’anziana Zì Stefanina, il figlio Gioacchino ed i nipoti Raffaele e Matteo.Di corsa, con salti supportati dalla paura, in un baleno, raggiunge il pagliaio, nel quale ha già trovato riparo la famiglia contadina. Il padre dei ragazzi, Gioacchino, è posizionato dietro alla porta socchiusa, ha avvertito il rumore prodotto dalla corsa di qualcuno ed il sopraggiungere di altra persona e per consentirne un agevole accesso apre la porta, accoglie l’ospite e la richiude.
In quell’istante all’esterno, davanti alla porta del pagliaio, si avverte un inaudito boato, generato forse, dalla confluenza di un lampo con il tuono, boato di tale intensità da spingere gli occupanti sulla parete opposta alla porta e poi a terra. La paura fu tanta che per circa dieci minuti, nessuno dei presenti riusciva a parlare. Al boato seguì un’abbondante pioggia, per una buona mezz’ora ed alla pioggia fece seguito uno strano silenzio.
Il ciliegio squarciato e l’asino- ‘o ciuccio ‘e fatica- stramazzato a terra, senza vita
Terminata la pioggia, la famiglia contadina ed il ragazzo ospite, escono dal pagliaio per visionare cosa fosse accaduto all’esterno; qui, davanti a loro, un grande albero di ciliegio è squarciato in due parti, i suoi due grossi rami sono riversati l’uno all’opposto dell’altro. Dopo di ciò, proseguono nell’ispezione verso il pagliaio / stalla dove era ricoverato l’ asino da soma utilizzato per il trasporto dei prodotti di campagna. L’animale era riverso a terra, senza vita, per morte istantanea provocata dalla scarica elettrica, generata dagli agenti atmosferici ed attirata sul suo corpo dai ferri chiodati agli zoccoli.
Lo stupore misto a paura con fremiti percorse il corpo dei presenti, ognuno guardava l’altro chiedendosi, senza parlare, se quello era un sogno o la scena davanti a loro era reale; nessuno parlava ed ognuno pensava che l’evento atmosferico avrebbe potuto colpire anche loro. Osservano l’animale disteso a terra, come se fosse sprofondato in un sonno profondo, guardano il suo basto poggiato a poca distanza, ormai inutilizzabile e con la mente vanno al momento dell’inaudito boato, alla scarica elettrica che li aveva per un attimo sconvolti ed accecati ed al benevolo destino che in quel luogo li aveva graziati.
Superato lo stupore, l’uno dietro l’altro, silenziosamente, si avviano lungo la strada per far ritorno al paese. Sulla strada si uniscono ad altri gruppi che rientrano con il loro animale da soma; la mancata presenza dell’asino é notata e qualcuno ne chiede il motivo, e Zì Stefanina, con voce tremante ed emozionata, racconta l’accaduto. Chi aveva osservato il particolare evento temporalesco concordava sul fatto che il temporale aveva impresso in loro tanta paura; tutti mostravano meraviglia per l’evento ed aggiungevano che non avrebbero mai immaginato che un temporale potesse cagionare la morte di un animale in una stalla.
Acqualonga, torrente insidioso e minaccioso
Sulla strada del rientro, un nutrito gruppo di contadini sono fermi con i propri animali e sull’argine del torrente “Acqualonga” da attraversare, in attesa che si placasse la portata dell’acqua; qui molte famiglie sono radunate e tutte si informano e commentano quanto accaduto alla famiglia di Zi Stefanina e del danno cagionato. L’attesa si protrae fin quando la portata del torrente consente ai presenti di guadarlo con la dovuta cautela. Gli animali da soma si mostrano restii, ma quando davanti a loro si portano i padroni, si tranquillizzano e guadano non senza timore, consentendo ai presenti di attraversare il torrente per rientro in paese.
Si rientra in paese, nel quartiere Vesuni, quando le luci della sera sono accese; la notizia dell’accaduto li aveva preceduti e tanta gente era sulla strada che porta all’abitazione dei sopravvissuti, per accertarsi delle loro condizioni di salute. Zì Stefanina ed il figlio, in ripetizione, raccontavano ai presenti tutto quanto era loro capitato, mentre i tre ragazzi emozionati camminavano ammutoliti.
Sono trascorsi tanti anni, quasi settanta, Zì Stefanina l’anziana contadina con il figlio Gioacchino non ci sono più, ci sono Raffaele e Matteo, figli di Gioacchino ed il ragazzo ospite di allora ch’è oggi lo scrivente, testimoni dell’evento, tutti negli anni. Ancora oggi, i tre, quando si incontrano, si guardano negli occhi e senza parlare ritornano con la mente a quella violenta, tremenda e funesta “Trubbea” ‘e Maggio. Quasi 70 anni fa, appena. E sembrano essere ieri.
- Trubbea: è uno dei tanti grecismi, di cui abbonda l’universale e polisemantica lingua napoletana,- in tutt’uno con spagnolismi e francesismi, al netto, naturalmente, dei latinismi- derivante da tropaia. E si ricorre alla trascrizione in alfabeto italiano, in assenza di conversione in alfabeto greco, sulla tastiera del personal computer. Trubbea, in genere, è parola d’uso marinaresco, con riferimento al vento, alla tempesta di vento che si leva d’improvviso dal mare, spezzando il cerchio della calura che si vive sulla costa e nell’entroterra; in senso traslato, porre in fuga, con derivazione dal verbo trepo.