di Romeo Lieto
Si avvicina Natale ed al termine della Messa di notte– officiata alle cinque e trenta del mattino nella Chiesa di Santo Stefano– si discute del Maio da offrire al Santo Patrono della comunità cittadina, il giorno di Natale, come da secolare tradizione. Tra gli addetti alla all’assemblea, c’è chi insiste che il Maio deve essere prelevato dal Bosco di Arciano e chi, invece, sostiene che, per la sua mole, l’albero di castagno, offerto da Don Biagio, sia maggiormente rappresentativo per la Festa.
Don Biagio Picciocchi, benestante e facoltoso industriale operante nella conservazione e commercio di frutta secca e fresca, come nocciole, ciliegie solforate ed altro, con lavorazione nel cortile di sua proprietà in Baiano, alla Via San Giacomo, ove abita, con affaccio sulla detta strada, proprietario di un terreno in località “Chiaio di sotto”, ha offerto al Santo Protettore del Paese un albero di castagno alto, dritto e bello, sito nel suo terreno alla menzionata località.
La commissione che presiede alla Festa, comprendente boscaioli e commercianti di legname, ha dato il suo assenso, ritenendo che dalla vendita del tronco di un così imponente albero di castagno si sarebbe ricavata una buona offerta da parte dell’acquirente; quindi per quell’anno il Maio poteva essere prelevato nel fondo di Don Biagio.
Don Biagio, come già detto, abitava nel quartiere San Giacomo, accosto a quello dei Vesuni, con l’abitazione che si affacciava sulla piazzetta antistante la Chiesetta dedicata a San Giacomo, dove attualmente* viene celebrata la Santa Messa, molto seguita dalle persone del Paese, nelle ore vespertine, dal Sacerdote, ultranovantenne, Don Francesco Picciocchi, mentre in occasione della Festa del Santo, venticinque luglio, la Santa Messa e la processione vengono officiate e curate dal Parroco Don Fiorelmo Cennamo.
Un tempo, all’epoca della nostra storia, nel quartiere San Giacomo, che comprendeva la Chiesetta con l’antistante vicolo lungo circa un centinaio di metri, che terminava in un ampio cortile detto “Largo Picciocchi”, si svolgeva in occasione della ricorrenza della Festa del Santo, proprio il venticinque luglio, una bella festa rionale, molto apprezzata dalla comunità cittadina e fortemente voluta e sostenuta da Don Biagio e dal quartiere intero dei Vesuni. La Festa iniziava con la Santa Messa del mattino, sul tardi la processione del Santo nel quartiere e fino ad un piccolo percorso sulla confinante Via Roma, con gli immancabili fuochi di artificio ed al rientro veniva officiata un’altra Messa. Nel pomeriggio la Festa continuava sulla piazzetta e sul vicolo antistante la Chiesa con la corsa degli asini, a cui seguiva il gioco della mosca cieca. Il gioco consisteva nell’abbattere dei contenitori di argilla- chiamati pignatte– sospesi ad una corda legata ai muri opposti del vicolo, contenenti alcuni cenere, altri acqua ed altri ancora soldi; l’abbattimento avveniva da parte di un giovane bendato che, cavalcando un asino, con un bastone impugnato da entrambe le mani, doveva rompere il coccio, prendendone il contenuto.
Lungo il vicolo, oltre la corsa degli asini, veniva anche effettuata la corsa nei sacchi, con giovani che con le gambe inserite nei sacchi di iuta, partivano dal largo Picciocchi e saltellando raggiungevano il traguardo posto nella piazzetta davanti alla Chiesetta. La sera, prima dell’inizio del Concerto – eseguito dalla Banda musicale, che si esibiva su un palco allestito nel Largo Picciocchi, all’epoca più grande dell’attuale- in prossimità del palco veniva anche posizionato “l’albero della cuccagna”. Un tronco d’albero di castagno alto circa sette/otto metri, opportunamente privato della corteccia, veniva insaponato abbondantemente in modo da renderlo scivoloso; alla sua sommità venivano appesi prodotti alimentari, quali prosciutti, provoloni, salumi ed altro. Si formavano delle squadre di giovani che si cimentavano, per raggiungere la sommità dell’albero e prendere il prodotto appeso; per la scalata portavano a tracolla un sacchetto contenente cenere che veniva spalmata sul tronco per eliminare lo scivolamento.
Tra i tanti giovani dell’epoca che si cimentavano nella scalata all’ albero della della cuccagna e prendevano parte ai vari giochi, che venivano effettuati nella giornata di Festa, era particolarmente noto e celebre Antonio Colucci, detto ‘O Sorice”. Erano davvero tanti i giovani che partecipavano alla processione del Santo ed alla questua.
Oggi questa Festa non viene più effettuata, solo nella prima decade del mese di luglio nel quartiere, da parte di un’associazione di giovani denominata “PerBacco”, si svolge, per tre serate, la manifestazione denominata “Vesuni in festa” con la partecipazione e la produzione da parte di massaie del posto, di alimenti di vecchie usanze e sapori; mentre soltanto in occasione del giorno della ricorrenza della Festa di San Giacomo, viene fatta una breve processione con spari di fuochi di artificio.
Nel rione San Giacomo, nei pressi della casa dell’industriale Don Biagio, abitava un carrettiere che con il suo carretto era solito effettuare il trasporto della frutta dalla campagna all’industria di lavorazione e conservazione di Don Biagio, ed a volte, da questa alle località di vendita, del prodotto semilavorato, nei paesi limitrofi ed in alcune occasioni fino alla periferia di Napoli, dove operavano altri industriali grossisti per lo smercio all’estero.
All’epoca della nostra storia, come anche oggi, ad ogni fase della manifestazione della Festa del Maio, partecipavano più persone che si radunavano e formavano gruppi omogenei; vi era anche la partecipazione della singola persona che ogni anno vi prendeva parte svolgendo un suo specifico compito. Il taglio dell’albero ed il suo trasporto dal bosco fino alla strada carrabile, su un piccolo carretto con grossa ossatura mista in legno e ferro, chiamato “carruocciolo”, opera di artigiani locali detti “Rotari”, sono opera di un gruppo di boscaioli. Del carico del Maio sul carretto, per la sfilata nel Paese, trainato da tre cavalli addobbati a Festa con nastri, nastrini e fiocchi era compito della famiglia “Miano”, proprietaria del carretto e dei cavalli. Lo sparo con le carabine, prima, durante e dopo la sfilata era ed è praticato da numerose persone con la immancabile presenza delle famiglie di Alfonso Colucci, ‘O Sorice, di Giuseppe Mangino ed altri. Altro folto gruppo di persone con carabine, nella sfilata precede il carro con il Maio, seguito da altri carretti, carichi di fascine per il falò serale.
Una persona, seduta nei rami, sulla chioma dell’albero, trasportato inclinato in avanti, lanciava lungo il percorso a destra ed a sinistra, piccoli petardi, detti Tric/trac. Molte persone prendevano parte al tiro delle tre funi per l’alzata del Maio davanti alla Chiesa di Santo Stefano, mentre per lo scioglimento delle funi interveniva una persona che si arrampicava abbracciando il fusto con le mani nude e facendo forza sulle braccia e gambe raggiungeva la parte annodata.
Anche oggi la Festa si svolge allo stesso modo, solo che i vari gruppi e persone che vi prendono parte sono guidate dal costituito Comitato Maio, voluto e gestito dal Comune che ne ha fissato le regole ed i comportamenti da seguire per la migliore riuscita della stessa.
Quell’anno, per il fatto che l’albero fosse stato offerto da Don Biagio, il carrettiere suo vicino di casa, si propose di trasportare il Maio per la sfilata nel paese, ritenendo, tale compito, un suo diritto/dovere per rispetto al suo datore di lavoro. Per questo fu chiesto a Don Biagio di adoperarsi, per inoltrare la sua richiesta alla famiglia Miano, che, come di consuetudine, aveva il compito della sfilata. Don Biagio, preso da impegni di lavoro, non inoltrò in tempo la richiesta del suo fidato trasportatore, mentre lo stesso, di sua iniziativa, aveva messo in giro la notizia che per quell’anno avrebbe provveduto a tale compito. Ma a volte capita che c’è chi, in buona o cattiva fede, mette zizzanie per fare in modo che le cose non vadano nel verso programmato. Alla famiglia che operava solitamente al trasporto del Maio per la sfilata nel paese, fu comunicato che il carrettiere si vantava pubblicamente, che il Maio, quell’anno, doveva essere trasportato da lui, sul proprio carretto, per un suo diritto/dovere, in quanto operatore di fiducia del donante.
Le dispute per l’onore del trasporto del Maio. ‘O ribotto e ‘A scoppetta, i doppi sensi in cui incappa la moglie del carrettiere
Al che la famiglia che solitamente trasportava il Maio, comunicò al carrettiere che non gli avrebbe consentito tale privilegio anche per il fatto che non disponeva dei tre cavalli necessari al traino, aggiungendo che al massimo, a seguito di una sua pacifica richiesta, gli avrebbero consentito di partecipare alla sfilata con il suo cavallo, addobbato a Festa, di lato al cavallo timoniere, posizione detta del “valanzino”. Il carrettiere, ricevuta la notizia pochi giorni prima della festa, non intendeva desistere dalla sua richiesta per cui, a modo suo, pensava di imporre la sua volontà, ritenendo di dover anche difendere la richiesta e l’onorabilità di Don Biagio.
Due giorni prima della Festa, nella piazzetta antistante la Chiesetta di San Giacomo e la casa di Don Biagio, si verificò un acceso diverbio tra il carrettiere e sua moglie, nel quale la accusava di non aver posto i suoi buoni uffici con la moglie di Don Biagio, imparentata con la famiglia addetta al trasporto del Maio, per esaudire la sua richiesta. La moglie asseriva il contrario, di averlo fatto e che non aveva avuto alcun riscontro di assenso. Allora il carrettiere in preda alla rabbia, invitò la moglie ad entrare in casa e a prendergli ‘o ribotto – fucile calibro 12– e la moglie in pubblico gli rispose che lui non lo aveva più da anni; ed il marito insistendo aggiunse: “Allora prendimi ‘a scoppetta – fucile di calibro inferiore- e la moglie: “Ma sono anni che l’ho data a tuo fratello“.
Queste affermazioni, fatte in una pubblica strada, furono interpretate, con malizia e cattiveria, da parte di persone abituate a dare un significato diverso a questi termini ed a insinuare zizzanie, tanto per fare in modo che le cose non vadano nel verso giusto; per cui il diverbio tra marito e moglie fu portato a conoscenza di molti. Don Biagio informato dell’accaduto, la mattina della vigilia di Natale, invitò in casa il fidato carrettiere e la famiglia addetta al trasporto del Maio. Vi fu un doveroso chiarimento ed al carrettiere vicino di casa venne concesso il privilegio, soltanto per quell’anno, di mettere il suo cavallo al timone del carro, per la sfilata del Maio per il paese. A seguito dell’avvenuto chiarimento e conseguente concessione, il privilegiato carrettiere la notte non dormì, dedicandosi, per l’intera notte, a lustrare il cavallo ed ai preparativi per quella giornata particolare.
I rituali del Maio
La notte di Natale, dopo la Nascita di Gesù Bambino nella grotta appositamente allestita, come da consuetudine, nell’androne in Via Nicola Litto, dopo la processione per il Paese e la Messa officiata nella Chiesa di Santa Croce, il gruppo di boscaioli, comprendente Angelantonio Candela, fin dalla sua giovane età ed altri addetti al taglio dell’albero–Maio, all’alba si portarono nel fondo di Don Biagio alla località “Chiaio di sotto”. Presenziarono all’operazione del taglio del Maio molti giovani e varie persone, tra queste lo scrivente in giovane età, per cui una volta abbattuto il grande albero, tutti si prodigarono per caricarlo sul “carruocciolo” per trasportarlo, con non poche difficoltà, lungo il tortuoso percorso, in prossimità del paese. Prima di caricarlo sul carretto per la sfilata, gli operatori accolsero la richiesta di far transitare il Maio, sul carruocciolo, lungo il Vico San Giacomo, sotto la finestra di Don Biagio, che sebbene molto malato, affacciatosi, ebbe la possibilità di ammirarlo.
Durante la fase di trasbordo del fusto sul carretto per la sfilata, sulla strada nazionale, all’imbocco del corso principale del Paese si svolse il tradizionale sparo delle carabine, caricate a salve, e non mancò, anche in quell’occasione, l’esplosione della canna di una carabina, maldestramente super caricata al fine di ottenere un colpo più forte. Per sua fortuna l’operatore non subì alcun danno fisico. Prima di iniziare la sfilata lungo il corso principale del paese, la guida del cavallo di timone fu affidata al carrettiere di Don Biagio, mentre i due cavalli laterali erano guidati dai rispettivi proprietari. Sulla chioma dell’albero vi prese posto, come per il passato, Giuseppe Mascheri, che come sempre lanciava i piccoli tric trac negli spazi ove non vi erano persone. Nella grande massa di gente, che come sempre segue la sfilata del Maio, era presente la famiglia del carrettiere, preoccupata del comportamento del proprio cavallo, non abituato ad operare in tanto frastuono, generato dai forti botti, prodotti dalle carabine e dalle così dette “botte a muro”, oggi giustamente vietate, che all’epoca venivano lanciate contro le pareti delle case, dove lasciavano una vistosa chiazza di polvere pirica scura ed un forte odore acre.
All’epoca nella piazza principale del Paese, durante la sfilata del Maio, avvenne lo sparo congiunto delle carabine, dei tri/trac e delle botte a muro, per cui la piazza venne invasa da una nuvola di fumo che oscurava l’aria e lasciò sia a terra che sulle pareti delle case e del Monumento ai Caduti vistose chiazze di colore scuro. La sfilata, lungo il suo rituale percorso, stante la mole dell’albero venne fatta con cautela e per la sua alzata avanti alla Chiesta, venne utilizzata, per il tiro centrale, una grossa fune già collaudata. Per l’inserimento del piede del tronco nella buca, da sempre esistente, fu necessario l’intervento dei boscaioli, che con l’ausilio delle loro accette ne ridussero i lati.
Per lo scioglimento delle funi, non mancò un simpatico episodio fuori programma, dovuto al fatto che l’operatore incaricato, per la grossa dimensione del tronco, non riuscì ad avvinghiarlo completamente con le braccia, per cui, durante la scalata la mancanza di forza nelle braccia e nelle gambe, dovuta anche alla non più giovane età dello scalatore, lo costrinse a desistere dall’impresa. Quindi, scivolando lungo il tronco si verificò lo sganciamento della cintura dei pantaloni e lo fece arrivare a terra con gl’indumenti a penzoloni lungo le gambe con il conseguente scoperto lato posteriore. Alla mancata operazione vi provvide, in prosieguo, un brillante giovane della nutrita comitiva, con non poche difficoltà nella scalata, dovute alla grossa mole di un albero mai utilizzato in precedenza.
All’alzata del Maio seguì lo sparo congiunto delle carabine e dei fucili, all’epoca utilizzati, verso la chioma dell’albero a cui seguì la caduta, per distacco, di alcuni ramoscelli che il fido carrettiere raccolse e portò a casa di Don Biagio, a ricordo dell’evento, ringraziandolo per l’onore che gli aveva concesso per il trasporto del maestoso Maio a Santo Stefano, Protettore. Don Biagio non mancò di offrire al fido carrettiere, cosa che faceva in molte occasioni, un fiasco di vino rosso pregiato. All’operazione dell’innalzamento del Maio avanti alla Chiesa di Santo Stefano, seguì, come da consuetudine, la Santa Messa di ringraziamento e quindi tutti rientrarono per il pranzo di Natale. Nel pomeriggio, molti giovani preceduti dallo sparo dei tric trac e botte a muro, raccolsero in giro per le strade del Paese una grande quantità di fascine – ‘e sarcinielli– e legname vario, che trasportarono avanti alla Chiesa per il falò della sera.
- Don Ciccio Picciocchi è scomparso lo scorso anno.