di Antonio Vecchione
L’Avvento, è il periodo di attesa, che precede la venuta di Gesù. Il popolo di Baiano, da tempo immemorabile, si prepara a questo miracoloso evento con una meravigliosa tradizione: le “Messe ‘e notte”, che costituiscono non soltanto una testimonianza di Fede, ma anche di identità culturale. Erano celebrate prima dell’alba e vi partecipava l’intera comunità. Un vero e proprio sacrificio, cui nessuno rinunciava perché ti segnava l’anima: era il Natale baianese, Santo Stefano, il Santo Protettore, “o ruliuso” per i devoti baianesi, lo spirito dell’Evangelo, il calore della solidarietà umana che ti gonfiavano il cuore. Oggi non c’è più la folla degli anni cinquanta e sessanta, ma lo spirito di chi partecipa è lo stesso? E’ rimasta sotto la modernità della cenere quella fiamma che ardeva nei cuori dei baianesi? Sono le domande che mi sono posto in queste mattine andando a Messa. E devo dire che quel fervore è ancora vivo e a me piace evidenziarlo parlando del nostro Cenzino, un personaggio amato da tutti, che è uno degli assidui frequentatori ed incarna quella devozione, quella passione che caratterizzava la partecipazione popolare. Doverosa una premessa. Fino agli anni sessanta del secolo scorso il modello di organizzazione sociale predominante era fondato sui rapporti personali, di parentela, d’amicizia o di vicinato.
Nel paese tutti sapevano tutto di tutti. Il progetto di vita di ciascuno era già segnato, dalla nascita, in forza della sua appartenenza familiare. Ad esso era difficile, se non addirittura impossibile, sottrarsi, a meno di accettare la drammatica imposizione dell’avventura, dell’emigrazione che, con la paura ed il fascino dell’ignoto, rimescolava a fondo il proprio destino. La conoscenza reciproca degli abitanti, la condivisione da parte di ciascuno di tutte le problematiche esistenziali comuni, la concorde decisione di affrontare insieme le difficoltà (anche in considerazione dell’assenza dello Stato) induceva la Comunità a farsi carico di funzioni civilissime e fondamentali quali la solidarietà, l’assistenza, il controllo –convinto e non approssimativo- dell’ordine e della moralità pubblici. Ciascuno sentiva fortemente il senso di appartenenza e, con tale consapevolezza, contribuiva a rafforzare le strutture comunitarie, rendendole solide e stabili. In questo scenario ciascuno trovava la sua legittimazione, il suo motivo d’essere, la sua sicurezza, il riconoscimento di avere un ruolo all’interno della comunità, importante o secondario, ma sempre un ruolo. Questa certezza aveva maggiore valore per le persone sfortunate dalla nascita e che, per una qualsiasi condizione di inferiorità, fisica o mentale, non erano in grado di vivere una vita normale. Ebbene per queste persone la comunità svolgeva un ruolo fondamentale per la loro esistenza. Essi vivevano pienamente la realtà sociale nelle sue varie articolazioni, soprattutto religiose, culturali, di feste, di rapporti interpersonali e pubblici. Partecipare e condividere Fede e costumi di vita era un modo per sentirsi inseriti e realizzati, di avere pari dignità.
Purtroppo questa organizzazione sociale così salda, che aveva per lunghissimo tempo scandito il ritmo di vita dei nostri padri, non ha resistito all’inarrestabile processo di “modernizzazione” e le sue strutture, che apparivano così compatte e robuste, nulla poterono e furono smantellate e spazzate via. Nuovi modelli di vita, estranei alla nostra cultura, si sono radicati nelle nostre comunità. Ma non per tutti. Ci sono ancora persone che fanno eccezione. Cenzino è uno di questi. Il suo percorso di vita è quello di un eterno ragazzo, ingenuo e schietto, che ha fatto della comunità in cui vive la sua famiglia. Cenzino, è diminutivo di INNOCENZO e mai come in questo caso ci ricorda la locuzione latina “nomen omen”: nel suo nome c’è l’indicazione del suo destino. Infatti l’innocenza è la sua virtù fondamentale, il candore delle anime semplici, che non conoscono il male. Vive un intensa vita di “relazioni”, quasi sempre in giro per il paese, conosce e saluta tutti, col suo sorriso candido, privo di qualsiasi malizia, manifestando il piacere intimo di essere riconosciuto, come persona e come amico. Ti incontra e si ferma subito e, dopo poco, sta già raccontando le sue cose, dove è diretto, chi va a trovare, i suoi programmi. Si esprime con parole semplici, precisando tutto nei minimi particolari, che possono sembrare banali, ma che gli riempiono la vita. Questo suo essere sempre un libro aperto non è una inopportuna “invasione” di campo, quale potrebbe configurarsi secondo i moderni canoni di comportamento, ma fa parte dei suoi principi esistenziali. Per lui è naturale informare tutti, vivere in mezzo alla “gente”, sapere tutto di tutti; è il suo modo di essere all’interno della comunità. Ed è per queste sue convinzioni che lo troviamo protagonista in tutte la pubbliche manifestazioni.
Nelle feste di carnevale, col suo semplice costume, immaginato con popolaresca e rusticana fantasia, si esibisce ballando e cantando, e si esalta alla sua maniera, sentendosi umile protagonista (un meraviglioso ossimoro). Lo ritroviamo anche come figurante, sempre in costume, nella rappresentazione scenica della Passione di Cristo nel periodo Pasquale, oppure alle processioni di S. Stefano, alla festa del Maio. La sua vita sociale è intensa. Gli impegni si susseguono giorno dopo giorno. Non ritiene di aver bisogno di inviti ai banchetti matrimoniali: è sempre presente perché si sente coinvolto e gradito. L’unica condizione è che il ristorante possa essere raggiunto a piedi o in bicicletta. Non manca mai ad un funerale o ad una promessa di nozze sul comune ed è doverosa la sua foto ricordo con i promessi. In queste mattine l’ho osservato con attenzione. Seduto nei banchi laterali, in posizione defilata, segue con espressione umile ma intensa la Messa. Si anima soltanto al momento dello scambio del segno di Pace; si alza e con passo misurato, volontariamente lento, attento a non turbare l’atmosfera sacrale della Messa, attraversa la navata e si avvicina ai banchi dove prendiamo posto noi gruppo abbastanza folto di uomini “devoti”. Tiene in modo particolare a dare il suo segno di pace a ciascuno di noi; stringe la mano a tutti con espressione affettuosa e solidale per poi allontanarsi soddisfatto di aver adempiuto al suo ruolo sociale di amicizia e condivisione. Eccolo poi pronto a mettersi in fila per ricevere la comunione. Nella sua coscienza, sa bene, come gli hanno insegnato, che è un momento solenne, di Fede, di rispetto e di venerazione. Ricevuta la sacra ostia, si inginocchia su un altare laterale dedicato a S. Anna, per un silenzioso e intenso raccoglimento. Un gesto simbolico, ormai scarsamente praticato, ma che per Cenzino rimane importante perché quei momenti di riflessione lo proiettano in un tempo passato, quello della sua infanzia, quando la sacralità della comunione era sentita e accompagnata dal doveroso prostrarsi ai piedi dell’altare. Qualche minuto e si rialza con espressione gioiosa. Grazie, Cenzino, per questi tuoi piccoli ma significativi gesti, attraverso i quali manifesti la tua anima profonda e il saldo legame alla nostra comunità. Noi tutti ti vogliamo bene e ti auguriamo anni felici, sempre con la tua naturale spontaneità di persona generosa e benevola.