di Gianni Amodeo
Spettacolo intenso e appassionato, specchio di un’interessante e preziosa operazione di valenza culturale per la conoscenza dei tratti significativi dell’identità e dei costumi sociali del territorio. E’ stato rappresentato nell’atmosfera sacra della scarna location della Chiesa parrocchiale dedicata a Santo Stefano, protomartire della cristianità, dalla Corale Polifonica “Pueri cantores”-Città del Baianese, animata e diretta con rigore e cura metodica da Luigina Conte, violinista di raffinata sensibilità. Un’operazione, all’insegna de “La Cantata dei baianesi”, ispirata per vari aspetti dalla versione recitativa data da Roberto De Simone alla celebre rappresentazione tardo-seicentesca in dialetto napoletano scritta dal gesuita Andrea Perrucci che spesso utilizzava lo pseudonimo di Ruggiero Casimiro Ugone e intitolata “La Cantata dei pastori”, con la novità dell’innesto di canti e cori della tradizione contadina e del lavoro nei boschi del territorio; canti e cori, recuperati dalla tradizione orale con una paziente ricerca per la trascrizione, impedendone la dispersione, assicurando la conservazione di importanti tasselli della memoria collettiva locale.
Ma, al di là di questo pur importante dettaglio, l’impianto complessivo e narrativo de “La Cantata dei baianesi” vive di una propria anima e peculiare caratterizzazione, in virtù della penetrante ed efficace recitazione realizzata alla meglio dalla Corale, con il supporto dell’elaborazione, degli adattamenti musicali e della ricchezza dei fraseggi coreutici su testi e spartiti che sono il frutto della creatività e dell’espressività di Luigina Conte. Il racconto fa incrociare l’evento – e l’attesa- della Natività di Gesù con la vicenda dei due protagonisti, Peppe ‘a Miccia, impersonato dall’energico e scoppiettante Stefano Colucci, e Pascal’ ’O muort, poco amante del lavoro e sempre stracco e strutto dalla sua proverbiale indolenza, a cui dà … stanca e sbadigliante voce Armando Peluso. I due … compari sono coinvolti in esilaranti e divertenti dialoghi proprio sul lavoro e sull’osservanza degli obblighi che esige, ma soprattutto sono coinvolti nella partecipazione alla Festa del Maio, i cui preparativi e il momento-centrale fanno da contrappunto alla rappresentazione nella fissità dell’ambientazione costituita dalle gradinate dell’ Altare Maggiore, con i timbri delle sonorità e delle armonie musicali della band che sono elementi basilari della rappresentazione.
Sei le scene,con cui si dipana il racconto, con ritmo rapido ed arioso, del tutto coinvolgente. Pregevole è l’incipit recitato e cantato che dà senso all’eterno conflitto tra il Bene e il Male, con la splendida esecuzione in coro dell’ineguagliabile Pulcinellata di Viviani e della Santa Allegrezza il canto della venuta di Gesù a liberare l’umanità dal Male. E su queste tracce si rincorrono gli squarci corali che descrivono la vita contadina, resi vividi dalla brillante e classica tammorriata, che esalta la dura e nobile fatica dei campi del tempo che … fu e tutta condensata nell’eloquente titolo di “ Oi zappa che ti chiami la viola”. Ed è la zappa simbolo e icona del lavoro della terra, con cui e su cui per secoli si è consumata la vita di braccianti e contadini.
Di qui- ed è la seconda scena- l’ingresso lungo la navata verso l’Altare maggiore di Giuseppe e Maria, a cui danno vita i dialoghi preoccupati Pasquale Tarantino e Mariella Del Basso, che incontrano sul loro tormentato cammino un cacciatore e un pescatore dai quali ricevono aiuto, con il Canto del cacciatore che li accompagna. La terza scena immette nel piccolo …. grande mondo del Maio, dando lustro alla secolare consuetudine devozionale di preparazione all’evento del 25 dicembre, connotata dalla partecipazione dei fedeli alle “ Messe ‘e notte”, officiate nelle ore antelucane nella Chiesa parrocchiale. Il coro e la band conferiscono intensità e vivacità alla ritualità, facendone rivivere la reale dimensione’ambientazione con i Canti del lavoro recuperati dalla tradizione popolare.
LA FAMIGLIA E L’ESEMPLARITA’ DI MARIA. “ ‘ O FUCARONE” CELEBRA IL TRIONFO DELLA LUCE E DEL CALORE UMANO
La quarta scena è calibrata sulla famiglia e sulla sacralità dei valori che rappresenta e su cui si fonda. E’ la Sacra famiglia insidiata dal Diavolo, simbolo del Male, che s’ingegna e ad opera con mille seduzioni, per minarne le radici, l’essenza dell’amore e lo spirito solidale che la pervade. Una raffigurazione, in cui la fermezza e determinazione di Maria che lo allontana e caccia via sono evidenziate dalle tonalità del coro e dall’essenzialità delle musiche della band. Ma il Diavolo è sempre imprevedibile nelle sue magagne e artifizi, pur di guastare relazioni e rapporti ed eccolo inserirsi addirittura- e si è nella quinta scena- nei preparativi della Festa del Maio, regalando a Peppe ‘a Miccia e a Pascal’ ‘O muort cibi e i pericolosi “botti” in abbondanza. I “botti”, con la loro pericolosità servono- al Diavolo– per tradire l’essenza della Festa del 25 dicembre. I due compari, affamati come sono, s’ingozzano con i cibi loro regalati, ma dimenticano l’uso dei “botti”. E la Festa si celebra secondo tradizione in una scenario di gioiosa partecipazione popolare, con il trionfo dei canti e dei cori, che fanno da corona- ed è la sesta scena- al Gran falò, “ ‘O fucarone” che avviluppa con le sue rosseggianti lingue di fuoco il Maio svettante e a far mostra di sè- fino al giorno dell’Epifania– di fronte al Sagrato della Chiesa ed inteso come dono della piccola comunità cittadina al venerato Santo Patrono. Ed è il simbolo della luce della speranza che aiuta a vivere e del calore umano. E nei ricordi di coloro che appartengono alle trapassate generazioni degli anta, alberga sempre viva e forte l’immagine di donne anziane che raccoglievano in piccoli bracieri e scaldini di latta la brace- ‘a vrasa– dopo lunga attesa dal Gran falò che si spegneva. Quel poco di calore che dava la brace raccolta, serviva per riscaldare nelle ore della sera e notturna la modesta casa, “ ‘o vascio”, in cui vivevano. Non erano ancora arrivati i tempi degli impianti di riscaldamento elettrico e a metano.
Il finale era una rapsodia di canti in bella esecuzione, da Nascette ‘O Ninno all’omaggio alla bella Quadrana , fino all’incalzante ritmo della filastrocca “ Ra sarcinella”. E il suggello era impresso- non poteva essere altrimenti- dall’ Inno del Natale baianese, ovvero il canto di “Oi Stefanì”, su cui ha di recente elaborato un interessante saggio con analisi metrico-stilistica Sara De Masi, impegnata negli studi di Ingegneria spaziale; saggio degno di attenzione e particolare interesse, pubblicato sul giornale dell’Associazione di promozione sociale “Per Bacco”.
Uno spettacolo di ottimo livello, tutto calato nell’identificare il vissuto sociale del territorio, ravvivandolo con le preziose contaminazioni vesuviane e partenopee che lo hanno integrato e arricchito. Ed onore ai protagonisti della Corale polifonica. Eccoli. Tenori: Raffaele Napolitano, Carlo Acierno, Armando Peluso, Mario Sanseverino, Pasquale Tarantino; Soprani: Antonella Lippiello, Rosa Conte, Maria Lubrino, Lisa Miele, Gelsomina Caruso, Mariella Del Basso. Contralti: Agnese Sgambati, Annamaria Sirignano, Gelsomina De Gennaro, Cettina Veca. Bassi: Aniello Rastiello, Stefano Colucci, Francesco Cuomo.
A comporre la band, il Maestro Pasquale Napolitano al pianoforte, Salvatore Colucci e Enrico Marigliano, alle chitarre, Carmine Di Giacomo alle percussioni, Giulio Mugnano al basso, Luigina Conte al violino ed impegnata nella direzione de “ La Cantata dei baianesi”. Un eccellentevidono- e condiviso- tanto più significativo, se si evidenzia che rappresenta un impegno amatoriale, condiviso con il lavoro e lo studio. Gli applausi di cui sono stati gratificati a più riprese ne sono stati il tangibile, affettuoso e sentito riconoscimento.