Lucida e acuta conversazione-lezione sviluppata nei locali del Circolo “L’Incontro” da Giuseppe Moricola, docente ordinario di Storia delle relazioni economiche internazionali nel Dipartimento di Scienze umane e sociali dell’Università degli Studi di Napoli, “L’Orientale”. Sotto la lente d’ingrandimento i profili dei flussi migratori che svuotarono il Sud misero e le inadeguatezze delle politiche dello Stato liberale nel governare il fenomeno sul piano umano e sociale. Sviscerata e anatomizzata la rete dei profitti costruita sulle fatiche e sofferenze degli emigranti, le cui rimesse economiche procurarono larghi benefici per le banche e l’eterno parassitismo della burocrazia nell’ingrata “Terra natia”, alimentando, per giunta, l’avidità dei banchisti, gli spregiudicati e cinici profittatori connazionali che si appropriavano dei loro risparmi, “precorrendo” i metodi degli “scafisti and company di sfruttatori assortiti” che nei nostri giorni tiranneggiano i migranti d’Africa verso l’Europa comunitaria.
di Gianni Amodeo
Munnu era, munnu è e munnu sarà. E ancora: Munnu è, munnu ha statu e munnu sarà.
Sono le varianti del noto proverbio siciliano che, come tutti i proverbi, è il distillato di quella universale saggezza che alberga nelle culture di tutti popoli ed etnie di ogni tempo. Sono le varianti di lettura e rappresentazione dell’umano agire, nella dialettica in cui si polarizzano il bene e il male, l’evoluzione e il regresso, le dinamiche dell’incivilimento solidale e la barbarie dell’odio; varianti costanti che evocano la visione dei “corsi e dei ricorsi storici”, con cui quel vigoroso e profondo pensatore qual è Giambattista Vico intesse la “Scienza nuova” e i prospetti che configurano le acute e penetranti “degnità e guise”, plastici e incisivi paradigmi di interpretazione della ciclicità della storia, di cui gli uomini sono unici protagonisti e artefici con i loro caratteri e comportamenti immutabili e sempre simili tra loro, pur cambiando i moduli dell’agire nel cammino dei tempi.
E’ il versante sul quale è possibile innestare la peculiarità della limpida efficacia argomentativa della lezione-conversazione, sviluppata nei locali del Circolo L’Incontro da Giuseppe Moricola, docente di Teoria delle relazioni internazionali all’”Orientale” di Napoli; peculiarità che fa emergere come l’uomo da sempre tenda a sopraffare e prevaricare sul proprio simile socialmente debole e reso emarginato dalla civile condizione, specie se la politica e le istituzioni sono assenti ed estranee ai processi della emancipazione dai bisogni comuni. Un itinerario discorsivo di analisi puntuale, che Moricola ha compiuto sulla scia degli esiti della nuda oggettività della ricerca storiografica e senza schermi moraleggianti, focalizzando gli aspetti significativi del saggio che ha pubblicato di recente per i tipi della Casa editrice Aracne – per la collana Mnemosine dedicata alla politica e all’economia nella storia- ed intitolato “ L’albero della cuccagna. L’affare emigrazione nel grande esodo tra ‘800 e ‘900”, corredato con un articolato apparato documentario e bibliografico. Un testo di linguaggio convincente nel declinare con incisività e nitida chiarezza i temi economici,con cui si connotò il Grande esodo transoceanico, che interessò uomini e donne del Sud relegato nell’abbandono e nell’arretratezza, con i porti di Napoli, Palermo e Genova assurti alla dimensione di centri nevralgici del fenomeno per le partenze verso l’America del Nord e l’America latina, le frontiere della nuova vita agognata rispetto alla disperazione della terra natia.
L’AMMASSO DEGLI EMIGRANTI NELLA VERGOGNA DELLO SCALO PARTENOPEO
Erano, però, le condizioni di “accoglienza” che il porto di Napoli – logisticamente inadeguato e privo di servizi, con gravi carenze igieniche- riservava agli emigranti a costituire l’ aspro impatto con la durezza delle rotte che si apprestavano ad affrontare e spesso senza neanche arrivare a destinazione, trovando la propria tomba nei fondali dell’Atlantico per il naufragio delle “navi di San Lazzaro”, sgangherati bastimenti a vela con successivi adattamenti e trasformazioni in piroscafi a vapore, a mano a mano che i flussi migratori crescevano con la grande fuga dalle aree interne delle regioni meridionali. Era il naviglio precario e inaffidabile di cui si servivano le compagnie di navigazione italiane per lucrare il massimo possibile dai prezzi del viaggio; naviglio tanto simile alle “carrette del mare” che percorrono nei nostri giorni le rotte del Mediterraneo, con i fondali troppo spesso trasformati in cimiteri, ed utilizzate dagli “scafisti” per il “commercio” di esseri umani, dall’ Africa all’ Europa comunitaria. E sotto questo profilo è interessante, invece, rilevare le modalità dei controlli di garanzia e sicurezza esercitati nello stesso contesto dalle rispettive istituzioni statali sul naviglio battente bandiera inglese e tedesca costituito da efficienti e ospitali piroscafi, pure operante sulle coste italiane e impegnato sulle rotte atlantiche.
Ma questo era soltanto l’approccio iniziale dell’”accoglienza” che il porto di Napoli riservava agli emigranti; c’erano le “locande” per nulla ospitali e mal messe che facevano sistema organizzativo e lucravano alla grande sulle esigenze di vitto e alloggio degli emigranti con lunghe attese quasi sempre create a bella posta, prima che fosse rilasciato loro l’autorizzazione all’imbarco dall’organo della competente Commissione, una volta superate le visite medico-sanitarie d’obbligo per l’accertamento dell’ ”idoneità fisica”; passaggi procedurali, previsti da leggi e regolamenti a maglie larghe che innescavano la formazione di un vero e proprio sistema di faccendieri, medici prezzolati, agenti di viaggio, camorristi, doganieri, locandieri e i gestori delle compagnie delle “navi di San Lazzaro” dirette per lo più nei Paesi dell’ America latina, specie l’Argentina dove all’emigrante era d’uso corrente affibbiare l’appellativo generico e generale di Napolitano che nella pronuncia diventava Tano. Era il sistema che faceva leva sulle forti aspirazioni degli emigranti, che, pur di essere favoriti nell’acquisire l’autorizzazione ad “imbarcarsi”, erano disponibili a dar fondo ai risparmi di cui disponevano e messi da parte con anni di sacrifici. E se veniva a mancare l’autorizzazione, il sistema apriva le possibilità di accedere alle rotte dell’emigrazione clandestina, alzando la posta delle richieste economiche, come accadde per quanti volevano sottrarsi agli obblighi della coscrizione militare obbligatoria alla vigilia del primo conflitto mondiale. Un sistema di gruppi e clan interdipendenti, in grado di auto-alimentarsi con affari e profitti sulla pelle di umili braccianti e contadini, artigiani e manovali, calzolai e senza-mestiere desiderosi di lavoro e dignità civile nelle terre d’ Oltre Atlantico.
LE LITTLE ITALIES E I BANCHISTI
DAL 1900 AL 1913 LE RIMESSE SUPERANO IL GETTITO DELLE IMPOSTE DIRETTE
Del tutto simile alla varia e per nulla commendevole umanità, con cui avevano fatto conoscenza sulle banchine dello scalo di Napoli, era l’umanità che attendeva gli emigranti, quando approdavano sulle coste delle terre d’America, dopo il lungo viaggio oceanico, in condizioni di promiscuità, disagi e sofferenze. Era l’umanità dei connazionali delle tante Little Italies che si erano venute formando a mo’ di costellazione sui territori, con propri modelli di organizzazione sociale e di attività lavorative; un’umanità in cui spiccavano per i comportamenti faccendieri i banchisti. Erano gli italo-americani, che per le loro scarne conoscenze della lingua inglese e diventati esperti delle usanze americane, fornivano agli emigranti varie forme di “aiuto” nel districarsi nel rapporto con la nuova realtà, in cui vivevano.
Un “aiuto” interessato per la gestione dei risparmi che gli emigranti realizzavano, dedicandosi a tutti i lavori possibili e praticabili; risparmi, di cui i banchisti erano i collettori, per trasmetterli in forme di rimesse ai famigliari e parenti in Italia. Operavano con criteri privatistici, spesso appropriandosi del tutto o in largo misura dei risparmi da affidare ai titoli di credito internazionali e in ogni caso traendone profitto dalla gestione che ne facevano. Una rete, quella dei banchisti, che agiva senza alcun controllo “terzo” proprio per le carenze e i vuoti della legislazione italiana; carenze, che, ad esempio, non presentava la legislazione inglese, con cui era garantito e tutelato il risparmio degli emigranti britannici, grazie all’assetto di banche e istituti attivi soprattutto negli States. Era, quello della legislazione anglosassone, lo specchio diretto delle politiche migratorie, di cui lo Stato inglese si faceva ed era vigile garante, per la tutela dei propri cittadini emigrati.
E il ruolo dei banchisti italo-americani si conservò inalterato anche a fronte della legge del 1901, che affidata al Banco di Napoli la centralità della raccolta delle rimesse degli emigranti. All’Istituto di via Toledo e alle sue filiali affluì soltanto il 15% delle rimesse, restando la loro gran mole affidato alla gestione dei banchisti. E, per inquadrare il valore economico delle rimesse trasferite in Italia, è utile considerare che dal 1900 al 1913 il loro montante superò gli undici miliardi di lire, per due miliardi in più del gettito ottenuto nello stesso periodo dallo Stato italiano con la riscossione delle imposte dirette. Un dato oltremodo significativo, sul cui “prima” e “dopo” si sono innescate trame di parassitismo di varia natura sia di profilo pubblico che privato.
Ma nella sua eccellente e appassionata conversazione-lezione Giuseppe Moricola ha detto tanto altro ancora, sull’imprenditoria che seguì i flussi migratori e sul commercio internazionale, in cui l’Italia del grande esodo ebbe solo un ruolo marginale per l’assenza di congrue politiche estere. Il che rende proficua e stimolante la lettura del suo saggio per la ricchezza e profondità dei contenuti e l’orizzonte di riflessione che disegna, contribuendo a far conoscere meglio il presente, al di là di schemi pre-determinati e ideologizzati, che eludono e negano spesso la realtà e l’evidenza degli avvenimenti, dandone una rappresentazione mistificante e menzognera.