di Antonio Vecchione
25 dicembre, il sagrato della Chiesa di S. Stefano dopo la Messa delle 05.30, quella tradizionalmente dedicata ai protagonisti del taglio del Maio nel bosco di Arciano. Uno scenario inconsueto. Scomparsa l’entusiasta, animata, allegra, chiassosa folla pronta a salire in montagna. Ci mancano le parole e la benedizione di don Fiorelmo, scomparse le funi, le “accette”, i “runcilli”, le carabine, il carruocciolo, testimonianza di un rito che non muore. Non c’è traccia di quella immensa gioia di rincontrare gli amici di sempre, di quella piacevole frenesia di mettersi subito in cammino per Arciano. Scomparsa l’orgogliosa aspettativa sui visi di tutti, quella fierezza di esserci, quella consapevole responsabilità della partecipazione, finalizzata a tagliare un Maio alto, dritto, bello, con una larga chioma, per presentarlo al popolo di Baiano come legittima prova di aver compiuto nel migliore dei modi il proprio dovere di baianese. La pandemia ha cancellato tutto e, anche per i lutti, copre con un velo di tristezza e di umana pietà le nostre esistenze. Il sagrato è deserto o quasi. Il maio svetta con la sua linea slanciata sconsolatamente solitario e, smarrito, sembra volga lo sguardo, attraverso il portone spalancato, alla statua di Santo Stefano all’interno della Chiesa per testimoniare la sua presenza, nonostante tutto. Pochissimi si trattengono dopo la messa. Ancora increduli di questo triste vuoto, hanno fretta di tornare a casa. Le ragazze del coro, appena uscite dalla Chiesa, interrompono questo irreale silenzio e animano la scena con le note della nostra canzone simbolo, “Oi stefanì”. Queste note hanno il potere di toccare la sensibilità di ogni baianese e di scuoterlo dal profondo. L’atmosfera migliora subito e si illumina di una luce nostalgica che ci restituisce la speranza che, con l’aiuto di Santo Stefano, questo incubo avrà termine e noi torneremo alle nostre tradizioni. Santo Stefano, nella Chiesa ormai vuota, sembra approvare e confermare che la fiducia in Lui è ben riposta.