di Antonio Vecchione
Baiano, autunno 1984, una memorabile data di storia recente: nella corte comunale si tenne una straordinaria rassegna artistica, denominata “Amorarte 84”. L’evento fu ideato e organizzato dall’affiatato sodalizio di Antonio Vecchione ed Enzo Barone, la cui amicizia era stata cementata attraverso un comune e lunghissimo percorso di formazione, sviluppatosi prima nella partecipazione giovanile alle attività dell’Azione Cattolica baianese e poi a scuola, dalle elementari fino al Liceo Classico Carducci di Nola. Non si trattava della solita rassegna celebrativa di artisti più o meno famosi, ma una vera e propria festa di partecipazione alla sensibilità artistica. La finalità era ambiziosa: stimolare ed incoraggiare le persone semplici a presentare le loro opere, come espressione del loro sentire, valorizzare gli aspetti creativi e originali in ogni umana attività, anche la più normale, coinvolgere ed emozionare il pubblico, promuovere nella comunità l’amore per l’Arte, in tutte le sue forme. “La bellezza salverà il mondo”, aveva scritto Dostoevskij e la riscoperta della “bellezza” come valore assoluto da perseguire fu il principio ispiratore. L’invito era esteso a tutti e ciascuno aveva la possibilità di manifestare le proprie capacità artistiche, la genialità, la personale percezione della materia e degli oggetti e l’attitudine a trasformarli. L’allestimento della mostra fu operazione molto impegnativa, dovendo attrezzare spazi vuoti e inadatti, senza alcun supporto. Grazie ad una settimana di intenso lavoro ed
all’impegno di un gran numero di persone, sia gente di mestiere che giovani volontari, fu allestita una mostra, con spazi espositivi disponibili per i tanti appassionati. Preziosissima fu la collaborazione di Carmine Bellofatto, ‘o baffone, persona sempre ben disposta e generosa, che assicurò la sua concreta ed efficace presenza dal primo all’ultimo giorno. Le adesioni furono numerose e le opere esposte, testimonianza delle diverse personalità artistiche, le più varie: tele, sculture, acquarelli, ceramiche, vetri e stoffe decorate, oggetti in ferro battuto, ricami, intarsi, foto, collages, opere di baianesi ma anche di artisti provenienti da tutta la regione. Una lunga fila di pubblico, per tutta la durata dell’evento, si snodò lungo il percorso della mostra. Questa forma d’arte popolare, espressione di una schietta concezione di ricerca estetica e di buon gusto, arricchita da sprazzi di arguta originalità, fu per tutti una sorpresa e una felice scoperta. Il messaggio lanciato dalla mostra fu ben percepito: cambiare la visione del mondo e guardarlo con occhi diversi. Nel cuore e nella mente dei visitatori si aprivano scenari nuovi: la percezione della “bellezza” non era da ricercare soltanto nelle “opere d’arte” di artisti professionisti o di luoghi a ciò deputati, ma anche nella realtà quotidiana. Dal successo di pubblico e di critica conseguito, possiamo dire che l’obiettivo fu pienamente raggiunto. “Amorarte 84” non fu soltanto questo, ma anche un vero e proprio spettacolo. Una foltissima schiera di semplici persone salirono sul palco per offrire al pubblico un saggio della loro vena poetica o capacità artistica. Poeti, scrittori, cantanti, imitatori, musicisti, attori, ballerini si alternarono per tre eccezionali serate nell’affollata corte comunale. La partecipazione superò ogni aspettativa, in un crescendo di entusiasmo; le scuole presentarono un ricco e applaudito programma teatrale così come la Schola Cantorum dell’Azione Cattolica coordinata da due giovanissimi, Gina Conte e Franco Scotto, che in quegli cominciarono il loro percorso artistico che li ha portati ad essere preziosi riferimenti culturali della comunità baianese. Gran parte del merito di questo clamoroso successo fu anche del compianto e brillantissimo Gianni Tedeschi, un vero professionista, generoso e preparato, a cui fu affidata la conduzione delle tre serate. Particolarmente caro è il ricordo dell’esibizione di Pina Acierno, che, accompagnata dalla chitarra di Armando Cenni, incantò il pubblico con la sua dolcissima voce cantando “Blowin’ in the Wind” di Bob Dylan. I calorosi applausi del pubblico segnarono la sua strada: tra le sue due vocazioni artistiche, la pittura e il canto, scelse la seconda e oggi è un’affermata professionista del Teatro S. Carlo di Napoli.
Non possiamo concludere questa rievocazione senza parlare della testimonianza più limpida, sul piano artistico e di valori umani, lasciata in quei giorni e, purtroppo, poi cancellata da decisioni prive di senso, caratterizzate da sottovalutazione di civili rapporti, da assoluta insensibilità e rozza ingratitudine. Eccone la storia. Lo scenario della manifestazione fu la corte comunale, alla quale era stata data una chiara impostazione teatrale. Come fondale del palcoscenico, costituito da un’ampia pedana, era stato costruito un alto e largo muro di cemento, grigio e triste, che dominava la scena. L’idea di attenuarne l’impatto negativo dipingendolo con colori vivi fu da tutti condivisa. Si pensò subito a un soggetto pittorico in grado di unificare, con un messaggio chiaro, le diverse espressioni culturali all’interno di quella casa comune. Un “Inno alla Pace” il soggetto giusto. Un omaggio alla Pace, dunque, intesa non soltanto come assenza di guerra, ma come condizione dello spirito, armonia totale tra i vari mondi, non solo tra gli uomini, ma anche tra questi e la natura. La mancanza di fondi fu superata grazie alla generosità di Pina Acierno, diplomata alla scuola d’arte, che non solo si offrì di prestare gratuitamente la sua opera, ma coinvolse nell’impresa Luigi Falco, artista avellano di grande sensibilità ed esperienza, del quale aveva grande stima. Luigi, altrettanto generosamente, rispose con entusiasmo all’appello. Straordinaria ed emozionante fu l’atmosfera che si creò intorno ai due artisti. La presenza continua di persone affascinate trasformò il “cantiere artistico” in un atelier collettivo “plein air”. Le parole di Luigi Falco, già pubblicate qualche anno fa, lo testimoniano. “Messi da parte i dubbi per la brevità del tempo a disposizione, iniziai il mio studio, una ricerca tormentosa. La scena iniziò a prendere forma. Da una parte il mondo selvaggio, una flora ed una fauna incontaminate, contrapposte al mondo domestico rurale. La linea di confine degli opposti, nello spirito e nell’anelito di pace, era sottile e valicabile. Per lo svolgimento di questa tematica scelsi un codice figurativo semplice ed immediato: l’illustrazione per l’infanzia. L’opera fu immaginata come una sorta di grande spettacolo in allestimento, intorno ad un piccolo teatrino, attorniato da un pubblico di bambini entusiasti, con i segni distintivi delle loro origini continentali, che plaudivano al volo di candide colombe. I tempi esigui ci costrinsero a lavorare anche sotto una pioggia scrosciante, riparati da un ampio telone collocato sulle nostre teste. La parete di cemento sembrava avere assunto le caratteristiche di una porta rimasta per lungo tempo chiusa in attesa di una futura apertura. Come per incanto, essa svelava il suo mistero. L’idea, il sogno si trasformavano in una visione appagante che stemperava le umane inquietudini, trasformando i giudizi più controversi in apprezzamenti condivisi. La ricchezza di particolari della composizione mi costrinse a coinvolgere alcuni presenti nella fase terminale del lavoro, avvalorando l’atmosfera di atelier collettivo. L’obiettivo fu pienamente raggiunto: un’opera interagente non solo dal punto di vista della fruizione artistica, ma coinvolgente tanto da diventare per alcuni un gioco che riproponeva esperienze ludiche pre – adolescenziali, nel tentativo più immediato di cogliere l’intimo rapporto del mondo naturale ed il suo stesso linguaggio. L’accoglienza fu entusiasta e rimase tale fino a quando una mano sinistra, per una inspiegabile volontà, decise di spegnere definitivamente le luci su quello spettacolo di colori. Quel mondo di personaggi, che aveva stabilito da subito un’empatia con tanti occasionali e fortunati visitatori, si dissolveva. Uomini ed animali, in un momento così drammatico per loro, vivevano sino all’ultimo coerentemente il tema che essi avevano celebrato, facendo rispettoso ritorno nel luogo ancestrale della mente da cui essi erano fuoriusciti. L’esodo fu repentino ed il vento dell’umana ingratitudine accelerò questo sofferto ed ingiustificato passaggio”.
La rievocazione di questa memorabile pagina di storia baianese non può che concludersi con una nota di profonda amarezza e rammarico: una manifestazione apprezzata e ricca di significati non meritava di essere “spenta”, ma di essere potenziata e strutturata per renderla stabile.
Per capire le ragioni di questo fallimento collettivo di tutti noi baianesi, vale la pena integrare il racconto con altri aspetti. I due promotori dell’iniziativa, per dare sostanza all’organizzazione, coinvolsero il Circolo Sociale, storica associazione baianese, che accettò di buon grado di partecipare. Lo stesso invito fu rivolto all’amministrazione comunale che concesse il patrocinio e si rese disponibile per contribuire alle spese di gestione. Purtroppo non fu così. Né il Circolo Sociale né l’amministrazione mantennero l’impegno a coprire per la loro parte i costi della manifestazione, abbastanza elevati, che furono tutti a carico dei due organizzatori. Negli anni successivi la Pro Loco assunse la responsabilità di organizzare la seconda “Amorarte”, che, però, rimase ben lontana dallo spessore qualitativo della prima edizione. Il progetto iniziale perse la sua forza e il suo profondo significato e venne a mancare l’appassionata accoglienza popolare del 1984. L’interesse a partecipare scemò fino al punto da determinarne la cancellazione. Fu la fine di un sogno che ci obbliga a porci una domanda: nell’attuale declino sociale e culturale della nostra comunità, è possibile una rinascita?
Agli uomini di buona volontà la risposta.