23 dicembre, Chiesa di S. Stefano, ore 05.30, penultima messa della Novena di Natale, che a Baiano ha tradizioni originali: inizia dal 13, S. Lucia, invece che dal 16, e si celebra alle 05.30, tant’è che sono indicate come “Messe ‘e notte”. Sono funzioni che hanno profondamente influenzato sensibilità, cultura e identità baianese. La Fede e la Devozione, il Popolo di Baiano (uomini e donne),il Parroco, i musicanti, ed i cantori: ecco i personaggi e i valori che hanno caratterizzato la storia delle “Messe ‘e notte”, perlomeno fino ai primissimi anni sessanta.
La gente arrivava alla spicciolata: le donne si sedevano nei banchi e sulle sedie e recitavano un meraviglioso, semplice, poetico, commovente Rosario cantato, il cui passo più intenso era il Salve Regina conclusivo; gli uomini si trattenevano sul sagrato a fumare e discorrere del tempo e del loro lavoro oppure si affacciavano in Sacristia per poi, all’inizio della funzione, raggrupparsi in fondo alla navata, vicino al portale d’ingresso.
Nella Sacristia, invece, si radunavano musicanti e cantori per bere (assolvendo ad un rito consolidato oramai nel tempo)un bicchierino d’anice offerto dal Parroco, che facendo gli onori di casa, asseriva orgogliosamente di averlo preparato con “spirito governativo a novantanove gradi ”.
Singolare e privo di malizia quel “novantanove gradi ”.
C’era nell’aria una sorta di familiarità, quasi di iniziatica complicità che rendeva amici intimi anche coloro che, in realtà, non lo erano: ci si sentiva titolari di un privilegio, parte di qualcosa più grande di noi che ci univa, inorgogliva e gratificava.
Il Parroco s’intratteneva con tutti e, seduto dietro una vecchia scrivania, raccontava aneddoti ed arguzie paesani, che non di rado anzi spesso, riguardavano – con innocente bonomia – anche lo stesso Clero e la Gerarchia diocesana.
I musicanti erano elementi della Banda del paese: artigiani, per lo più sarti, falegnami, calzolai, pittori per i quali suonare uno strumento voleva essere non solo e non tanto uno sfogo della propria passione musicale quanto il mezzo per incrementare (con i “giri “estivi del Concerto bandistico “Città di Baiano”, con le processioni ed i funerali ) i castigati introiti familiari.
Suonavano tutti strumenti a fiato (flauti, clarinetti, sassofoni, trombe, flicorni) e si disponevano sulla cantoria sovrastante il portone d’ingresso della Chiesa, dove si trovava anche l’organo, coi mantici per farlo funzionare (azionati, ritmicamente, a mano, operazione, quest’ultima, molto ambita dai ragazzi).
Per i quali mantici (sorta di grosse vesciche in pelle) Parroco e sacrestani combattevano una perpetua guerra coi topi che spesso se ne saziavano o tentavano di farlo.
Insolito era il programma della piccola banda: si eseguivano semplicistici arrangiamenti di brani operistici, di Verdi, Bizet ed altri (“La Vergine degli Angeli”, ”Agnus Dei”, ”Scene pittoresche”, ecc.), ma decisamente singolare era l’usanza che ciascuno dei componenti il gruppo preparasse uno o più pezzi (solitamente valzer, mazurche, marciabili) che poi presentava da solista, con gli altri in funzione di accompagnatori, durante la Messa.
Suonavano tutti con impegno e passione, in una sorta di gara commovente in cui l’umile animo popolare – forse del tutto inconsciamente – si offriva con dedizione a Dio, al Santo, ai piedi del Suo altare.
Ad occhi estranei sembrava quasi un sacrilegio; per noi baianesi era uno stupendo atto d’amore.
Anche i cantori (studenti, giovani conduttori di botteghe artigiane) per parte loro, avevano un ruolo interessante: rappresentavano la scheggia artistica più nobile, intellettuale e di norma cantavano le “Litanie della Beata Vergine “,il “Tantum ergo”, il ringraziamento dopo la Benedizione e, per concludere, un inno popolare assieme a tutti i fedeli. Ma per Santa Lucia, Sant’Aniello, la domenica e, stanchissimi, quasi afoni, la mattina di Natale si cimentavano nell’intera Messa.
La Messa era una funzione semplice, essenziale, incardinata su di una omelia del Parroco asciutta ma, al tempo stesso eccellente per concetti trasmessi e comprensibilità e si chiudeva con ”l’esempio”, ”’o fattariello”, da tutti vivamente atteso: un apologo od un episodio (specie se miracoloso) della vita di un Santo, che divertiva e meravigliava l’innocente uditorio e ne stimolava e soddisfaceva la sete di magico, di fantastico, quella necessità di transumano che vivifica gli spiriti semplici.
Dopo la funzione ognuno si avviava per la propria strada per avviarsi al lavoro ma i musicanti si fermavano prima per un caffè in un esercizio a quell’ora già aperto mentre i cantori si recavano in canonica per uno scopone scientifico (gli studenti dovevano tirar più tardi per andare a scuola e gli altri non dovevano aprir bottega troppo presto al mattino). Solo la domenica, e nei giorni di Santa Lucia e Sant’Aniello, chi poteva farlo se ne scendeva al seguito dei musicanti dalla Chiesa, per il corso Garibaldi, cantando “Oi Stefanì” dando, così, rilievo alla giornata festiva. Una tradizione che è stata poi ripresa e ampliata negli anni settanta e continua anche ai giorni nostri.
Queste erano “ ‘e Messe ‘e notte”, niente di eclatante, tutte interiorità che ti segnava l’animo, un vero e proprio sacrificio – specie dopo i primissimi giorni – cui, però, non avresti per nulla rinunciato e che in nulla avresti voluto cambiare: era il Natale baianese, Santo Stefano, lo spirito dell’Evangelo, il calore della solidarietà umana che ti gonfiavano il cuore, forse stimolando la tua emotività, irrazionalmente ma tanto gioiosamente, così tanto che, credente o non credente, tiepido o fanatico, ti sentivi, comunque, di gridare “’o ruliuso!”.
Oggi quello spirito partecipativo è scemato. La folla di una volta è soltanto un ricordo e la Fede per S. Stefano non è più viva. Pur tuttavia un gruppo di uomini e donne tengono eroicamente viva la tradizione. Una ventina (o poco più) di giovani e meno giovani anima la Sacristia di mattina e i “fatterelli” ce li raccontiamo tra di noi. In compenso scattiamo la foto ricordo davanti la bella immagine di S. Stefano. Manca il bicchierino di anice a “novantanove gradi”, ma ci sono le caramelle di Pasquale Tarantino e non manca mai Roberto Guerriero, ‘o taccone, depositario del prezioso ruolo di annunciare la Messa suonando la campanella. Don Fiorelmo spesso invita i Fedeli a esprimere i loro sentimenti dall’altare. Stamattina Filomeno Caruso ha recitato un suo bellissimo e intenso componimento sulla religiosità popolare baianese. E non possiamo che apprezzare quel gruppo numeroso di giovani che, alla fine della Messa, accompagnato da tamburi e fisarmonica, gira per il paese cantando e suonando per annunciare che la Messa ‘e notte è stata celebrata nel rispetto della nostra storia. Ci permettiamo, con molta umiltà e rispetto, una ingenua e schietta osservazione: per onorare pienamente la tradizione, dovrebbero prima partecipare alla Messa e poi dare spettacolo per le strade di Baiano. Chi vuole bene a S. Stefano e alle nostre tradizioni, non può pensare di attendere la fine della Messa fuori la Chiesa, sparando tracchi e raudi in continuazione, disturbando chi è concentrato sulla funzione religios). Lodevole conservare le gioiose tradizioni di divertimento, ma occorre una doverosa e intelligente riflessione: è la celebrazione delle “Messe ‘e notte” che giustifica il divertimento musicale tra le strade del paese. (Antonio Vecchione)