[responsivevoice_button voice=”Italian Female” buttontext=”Ascolta l’articolo”]
In occasione della convention sulla Giornata della Memoria, in programma domani- giovedì 23 gennaio- alle ore 18,00 nel Palazzo comunale, si ritiene opportuno pubblicare il testo, apparso su queste colonne l’8 maggio del 2017, che racconta la figura di Enrico Forzati, medaglia d’oro al valore militare, tra le vittime dell’eccidio per rappresaglia compiuto dalle truppe naziste nella Caserma “Principe Amedeo di Savoia” a Nola, l‘ 11 settembre del 1943.
di Gianni Amodeo
Una piccola comunità, quella che si è ritrovata nell’androne che s’apre verso il cortile del Palazzo contrassegnato dal numero civico 1, in piazza Santa Maria degli Angeli, nella città partenopea; una piccola comunità, con le rappresentanze delle civiche amministrazioni di Napoli e Nola, i sindaci Luigi De Magistris e Geremia Biancardi, il Rettore della Federico II, Gaetano Manfredi, il docente emerito di Filosofia morale, Aldo Masullo, magistrati e docenti universitari, un drappello di giovani e semplici cittadini, tutti convenuti per la commemorazione di Enrico Forzati, trucidato nell’eccidio degli ufficiali compiuto a Nola, come atto di rappresaglia dalle truppe naziste l’ 11 settembre del 1943, tre giorni dopo l’annuncio della Dichiarazione ufficiale dell’armistizio, sottoscritto a Cassibile, in Sicilia dove le truppe anglo-americane erano già sbarcate da alcuni mesi. Era la prima delle stragi e rappresaglie anti-italiane, che si susseguirono dal Sud al Nord fino al 25 aprile del ’45, la giornata che segnò l’apice della Resistenza con il sigillo della Liberazione dall’occupazione nazi-fascista.
E’ certamente singolare nella sua unicità, la storia di Enrico Forzati, ma soprattutto di ammirevole esemplarità sotto tutti i possibili profili etici, civili ed umani, per quanto di non comune e diffusa conoscenza. E rivisitarla nei tratti essenziali, giova al ricordo pubblico, essendo specchio di un tempo e di una società, su cui il carico della dimenticanza ne accentua la lontananza nell’immaginario come nel sentire e nel pensare generale. E’ la storia di un giovane e ben stimato uomo di legge e di avvocato con sicure competenze professionali, ch’é arruolato nell’Esercito italiano per la coscrizione di leva obbligatoria, come ufficiale, ma non è militare di carriera. Un giovane che viveva con i suoi ideali, interessi culturali e aspirazioni civili, come lo sono tutti i giovani dabbene. Era in servizio nella caserma “Principe Amedeo di Savoia”, realizzata nel ‘600 dall’amministrazione borbonica, con funzione logistica e strategica di tutela e salvaguardia di Napoli, capitale del Regno, insieme con i capisaldi costituiti dai presidi militari di Nocera e Aversa. Un presidio, quello di piazza d’Armi, che fungeva sostanzialmente da deposito di armi tutt’altro che modelli di efficienza, con truppe acquartierate in malo modo, con scarsi mezzi e penuria di viveri e vestiario, mentre nell’aria si avvertiva sempre più netta la percezione della sconfitta militare dell’Italia sui fronti di guerra. E fu- questo- il malinconico e cupo scenario, che fece da sfondo alla la tragedia che si consumò proprio nella Caserma, con l’arrivo dei reparti della “Goering” in ritirata per attestarsi su posizioni difensive nel Lazio, incalzate com’erano e senza tregua dalle truppe anglo-americane.
La rappresaglia delle truppe tedesche, disorientate e sorprese dalla Dichiarazione d’armistizio considerato vero e proprio tradimento, fu attuata con fredda determinazione e rapidità di manovra. Utilizzando i mezzi pesanti di cui era dotato, lo schieramento dei reparti tedeschi, pose sotto controllo il presidio militare e le truppe che vi sono acquartierate vennero disarmate in un baleno, mentre per gli ufficiali si procedette alla triste conta della decimazione dei condannati alla fucilazione. La sorte escluse dalla decimazione Enrico Forzati, che, però, di sua scelta e volontà avanzò dalla schiera degli ufficiali, dichiarando di aver sentito pronunciare le sue generalità. Un gesto estremo di sacrificio , con cui salvò la vita al destinatario della conta di decimazione. Un gesto di nobiltà d’animo e di altruismo, da affidare alla memoria storica e alle giovani generazioni, con la lapide memoriale apposta nel cortile del Palazzo di piazza Santa Maria degli Angeli, dove la famiglia Forzati vive da quattro generazioni. Una scelta voluta dall’amministrazione comunale di Napoli e, in particolare, dal sindaco metropolitano Luigi de Magistris.
DAL PATRIOTTISMO DELL’UMANITA’ ALLA COMMUNITAS CIVILE, DALLA RIMOZIONE ALLA DOVEROSA DIGNITA’ DELLA MEMORIA
Varie e articolate le chiavi di lettura con cui si connotava la commemorazione, per interpretare la storia di Enrico Forzati, alla cui memoria é dedicato l’Istituto comprensivo di Sant’Antonio Abate. Di spiccato interesse, erano i flash back di racconto e i temi di riflessione focalizzati da Aldo Masullo, ventenne e testimone oculare degli eventi di quegli anni, abitando la sua famiglia nelle vicinanze della Caserma di piazza d’Armi. Per il filosofo, la vicenda di Enrico Forzati costituisce una forte e pregnante testimonianza di quello che ha definito “Patriottismo dell’umanità”, inteso come tributo reso all’affermazione del primato dei valori della comunanza, con cui si rinsaldano e animano i popoli tutti, senza distinzioni etniche e razziali, politiche, religiose ed economiche; primato, i cui valori vanno esercitati e diffusi contro tutte le forme di oppressione e le iniquità dei regimi totalitari. Una prospettiva, per la quale il sacrificio di sé, fatto da Enrico Forzati non costituisce un istantaneo moto d’impulso emotivo e di reazione in sé alla violenza della rappresaglia che si veniva realizzando con cinica brutalità, bensì una scelta di volontà e mente, per affermare e ribadire il senso della vita e dell’umanità al di là degli odi e della cecità della guerra che innesca infinite tragedie di morte e distruzione. Una scelta di consapevolezza, superiore ad ogni comune immaginazione, che resta- ed è- densa di valore civico e morale, il cui significato travalica i tempi.
Sulle scie disegnate da Masullo si innestavano le riflessioni di Francesco Forzati, avvocato e docente universitario, nipote di Enrico, per sottolineare come cambiò il senso della vita della sua famiglia, a fronte del gesto del nonno. Un cambiamento drammatico, del tutto simile ed eguale a quello vissuto sulla propria pelle dai tanti milioni di famiglie sconvolte dagli effetti drammatici del secondo conflitto mondiale. E il riscatto da tutte le tragedie belliche e soprattutto del superamento delle loro cause scatenanti- evidenziava- ieri come oggi risiede nello spirito della communitas, della coesione sociale che si nutre delle virtù civili per il diritto alla vita e alla dignità del vivere umano; spirito – sottolineava- aleggiante proprio tra la piccola comunità riunita per ricordare Enrico Forzati, accomunando Napoli e Nola, per esprimere i valori della civiltà e della cultura del Sud. E, a far da prologo a Francesco Forzati, era stato il padre, l’avvocato Maurizio, per rappresentare l’importanza civile della decisione dell’amministrazione comunale partenopea nell’onorare la memoria paterna, dando lettura del testo letto da Giovanni Porzio a Castelcapuano, in occasione del conferimento ad Enrico Forzati della Medaglia d’oro al valore militare, attestandone l’esemplarità di vita.
Se il racconto di Masullo era reso fortemente intenso e vivido con i tasselli inconfondibili della personale “vita vissuta”, sullo schermo dei ricordi tramandati si polarizzavano, invece, gli spunti di riflessione di Gaetano Manfredi, Rettore dell’Ateneo federiciano, e di Geremia Biancardi, sindaco della città bruniana, cinquantenni in gran carriera per professionalità e meriti, e non solo che vivono nella stessa città, ma hanno anche frequentato lo stesso Liceo classico, lo storico “Giosué Carducci”. Uno schermo di ricordi soprattutto famigliari, in particolare per il Rettore Manfredi, legati a tutto il mondo rappresentato dal presidio militare di piazza d’Armi nella storia della città. E dell’eccidio del ’43, il “primo cittadino” marcava la rimozione, quasi una specie di “damnatio memoriae” patita in modo incomprensibile fino al 1996, quando la civica amministrazione, guidata dal sindaco Franco Ambrosio, espressione dell’allora Alleanza nazionale, ne recuperò in pieno il valore al patrimonio storico e ideale della città, istituendo la cerimonia evocativa che da 21 anni si celebra l’11 settembre; un recupero, a cui diede impulso la lettera pubblicata dal Corriere della Sera, scritta da Alfonso Liguoro, magistrato ed avvocato, figlio di uno degli ufficiali trucidato nell’eccidio nolano, trovando sostegno e ancoraggio nell’associazione “Amici del Marciapiede”, attiva in città e sul territorio con importanti iniziative di volontariato civico e culturale. Un recupero, a cui si è ora allineata Napoli, nel segno della storia di Enrico Forzati.
LA TOPONOMASTICA TESTIMONE DI STORIA
Sul punto, la riflessione del sindaco metropolitano, Luigi de Magistris, era di calzante valenza sociale, nell’evidenziare la funzione della toponomastica, quale sintesi parlante e libro aperto della memoria e delle virtù civili di una comunità e di coloro che l’hanno onorata. E la toponomastica- spiegava- va scritta con meticolosa attenzione e, se è necessario, va anche ri-scritta, perché sia realmente rappresentativa dell’autenticità della vita comune delle città. La lapide in onore di Enrico Forzati s’inscrive in questo percorso, così come è stata inscritta la piazza dedicata di recente ai Martiri di Pietrarsa, i quattro operai che il 5 agosto del 1863 che furono trucidati dai bersaglieri dell’Esercito regio dell’appena costituito Regno d’Italia: erano colpevoli di rivendicare le garanzie per la conservazione del ciclo produttivo dell’opificio, che era sottoposto a graduali e drastici ridimensionamenti disposti dal governo nazionale. E per oltre un secolo e mezzo sui Martiri di Pietrarsa è stata calata la rigida cappa della “damnatio memoriae” istituzionale, appena rimossa dall’amministrazione di palazzo San Giacomo. E poi De Magistris si soffermava sulla ri-scrittura doverosa della toponomastica, citando la cancellazione della targa stradale dedicata a Gaetano Azzariti, a Borgo Orefici. Azzariti aveva presieduto il famigerato Tribunale della razza, istituito nel 1938 dal regime mussoliniano con l’orrenda e terrificante legislazione anti-ebraica sulle tracce di quella del 1933 nella Germania nazionalsocialista; Tribunale che con le sue articolazioni e i supporti della polizia giudiziaria appositamente ed esclusivamente dedicata sancì la deportazione e la morte di migliaia di famiglie ebree, spesso di modesta condizione e delle quali si ricomposero gli alberi genealogici a ritroso di due e addirittura di tre secoli, per comprovarne lo status ebraico e l’”obbligo” di persecuzione che dovevano subire per disposizione di legge. E, pur con il curriculum di massima espressione del sistema giudiziario delle persecuzioni anti-ebraiche, Azzariti nello Stato repubblicano e democratico, beneficiando dell’amnistia del ’47, divenne persino giudice supremo della Corte costituzionale, fino all’intitolazione in suo onore della strada, che nel 2014 è stata dedicata, invece, a Luciana Pacifici, la bambina innocente vittima delle persecuzioni anti-ebraiche. Un gesto- sottolineava il sindaco Luigi de Magistris– il cui significato è penetrante per i contenuti etici e morali.