Luigi Garlando è giornalista sportivo di fluido linguaggio e competenza tecnica, e certamente tra i più proficui autori di opere dedicate alla narrativa per ragazze e ragazzi, tra le quali spicca Vai all’Inferno, Dante, che immette nel mondo del Sommo Poeta con agilità d’espressione e comprensione. Il racconto che Garlando propone nel rappresentare il fenomeno-mafia è affidato a Per questo mi chiamo Giovanni-, pubblicato nel 2004, letto e studiato per lo più nelle Scuole, specie del Nord,- incentrato sulla brutale e triste storia di una famiglia di negozianti di giocattoli, che a Palermo deve versare il “pizzo” periodico ai “picciotti” di mafia; una storia di violenza, a cui fa da contrappunto la biografia e l’azione di Giovanni Falcone. E’ il percorso di riflessioni e commento seguito da Maria Laura Conte nella Giornata della legalità, svoltosi nell’Auditorium del Giovanni XXIII. Se ne propone lo schema sviluppato.
Per questo mi chiamo Giovanni è un romanzo di Luigi Garlando, autore di importanti e interessanti opere dedicate alla narrativa per ragazze e ragazzi; infatti, questo libro è stato uno dei più letti e adottati nelle Scuole ed è stato un mezzo prezioso per veicolare e far conoscere con parole semplici e comprensibili il significato di mafia e mafie, fenomeni di criminalità organizzata, funzionali e gestiti per la realizzazione della ricchezza materiale, in violazione dei principi della giustizia e del diritto, fonti della legalità presidio e tutela della convivenza sociale.
In particolare, Per questo mi chiamo Giovanni narra la storia di Giovanni Falcone attraverso il racconto di un padre ad un figlio. Giovanni è un bambino di Palermo e il padre, Luigi, decide di regalargli, per il suo decimo compleanno, una gita attraverso la città. Tappa dopo tappa verranno raccontati i punti salienti della vita di Giovanni Falcone: i sacrifici, l’impegno profuso, le vittorie ottenute, ma anche le sconfitte e il triste epilogo, che, per quanto tragico e doloroso, ha lasciato un segno indelebile nella storia di Palermo, e non solo. Giovanni poi capirà perché il padre ha deciso di fargli questo regalo, capirà due cose molto importanti: la prima, come mai tra i tanti nomi possibili è stato scelto per lui proprio Giovanni e la seconda, molto più concreta di quanto si immagini, è che la mafia esiste, fa parte di un sistema, e quindi va combattuta, collettivamente e subito, senza aspettare di diventare grandi.
Nella lettura del libro c’è un passaggio che mi ha colpito particolarmente, Luigi, il padre di Giovanni, anche lui, proprietario di un negozio di giocattoli in via Libertà, per molti anni ha dato da mangiare al “mostro”, pagando il pizzo ai picciotti che si presentavano per incassarlo l’ultimo venerdì di ogni mese, ma dopo il sacrificio di Falcone ha capito che non può più andare avanti in questo modo.
E così racconta al figlio: «Mio padre mi aveva insegnato a pagare la protezione della mafia, perché lo aveva fatto anche lui e prima di lui suo padre e prima ancora il padre di suo padre… Una catena iniziata chissà quando. Un’abitudine. Come ti ho spiegato prima: era una cosa così scontata che alla fine non mi sembrava neanche più un’ingiustizia. Pagavo ogni mese l’uomo con gli occhiali scuri, come ogni mese pagavo la bolletta del telefono. Poi quel gran botto sull’autostrada di Capaci ha aperto gli occhi anche a me. Ho visto alla televisione le immagini delle macchine distrutte, ho letto sul giornale tutta la storia di Giovanni; ho scoperto che un giorno aveva detto “Non posso avere un figlio, non si mettono al mondo orfani”. Io un figlio l’avevo appena avuto,ed è la gioia più bella del mondo. Sono andato nella chiesa di San Domenico, ho ascoltato le parole di Rosaria e quelle di un’altra donna che aveva perso il marito nell’attentato di Capaci: “Non voglio che i miei figli crescano in questa città, li porterò via”.
Anch’io avevo un figlio, anch’io avevo bisogno di credere in un mondo migliore, in una città migliore. Per te. Non volevo dire come quella povera donna: “Lascio Palermo perché mio figlio qui non può crescere bene”. Era anche colpa mia se quella donna era costretta a scappare, perché ogni mese davo da mangiare al mostro. Lo aiutavo a crescere. Solo allora, per la prima volta, me ne rendevo conto. Dormivo: il gran botto di Capaci mi ha svegliato. Magari con i miei soldi impacchettati col nastro giallo gli uomini d’onore avevano comprato un po’ del tritolo finito poi sotto l’asfalto dell’autostrada… Perciò, l’ultimo venerdì di maggio, quando è arrivato in negozio il picciotto con gli occhiali da sole, gli ho detto: “Qui non si vendono più bambole”.
Proprio così: “Non si vendono più bambole» «E lui?» «Ha aspettato che uscisse l’ultimo cliente, si è tolto gli occhiali e mi ha detto: “È un peccato. Quando i bambini restano senza giocattoli, poi diventano cattivi”. Ha fatto scattare un coltello serramanico, ha preso un orso dal cesto dei peluche,gli ha aperto la pancia, gli ha tolto un occhio e melo ha lasciato sul banco.”Pensaci bene, papà”mi ha detto. “Io torno tra un mese e sono sicuro che avrai trovato la bambola che mi serve.” “Papà”mi aveva chiamato, capisci? Era una minaccia,come dire: sappiamo che ora hai un figlio, attento,potrebbe succedergli qualcosa. Avevo paura. Manon potevo più stare dalla parte del mostro, dopotutto quello che era successo. Giovanni era morto anche per me e per i miei negozi. Continuare a pagare voleva dire ucciderlo ogni mese. Capisci?>>
Luigi fa la cosa più giusta che potesse fare: li denuncia alla polizia. La mafia, per vendetta, fa esplodere una bomba nel negozio, ma Luigi si è salvato soltanto perché un fortissimo mal di denti lo aveva costretto a correre dal dentista, e non si trovava lì al momento dell’esplosione. E’ lo stesso Luigi che a Palermo, mentre per le strade risuonavano le sirene delle ambulanze e delle volanti di polizia e carabinieri, correva in ospedale con la moglie e un fazzoletto bianco che sventolava dal finestrino: suo figlio stava per nascere nello stesso giorno in cui la mafia aveva chiuso gli occhi di un grande eroe che non voleva più far mettere al mondo orfani. Era il-23 maggio 1992 e Luigi ha compreso il significato civile e morale della vita e il sacrificio di Falcone meglio di chiunque altro e ha voluto ripagarlo dando a suo figlio lo stesso nome di questo coraggioso uomo: è questa la ragione, per la quale il figlio, protagonista del romanzo di Luigi Garlando, si chiama Giovanni.
Ecco perché è così significativa la morte di Falcone: Giovanni è morto per la sua città, per difendere i negozi, le case e soprattutto i suoi cittadini. Aveva rinunciato a tutto. Non riuscì a rimanere fermo, a guardare, mentre i mafiosi scioglievano bambini nell’acido e trasformavano il mare di Palermo in un cimitero di uomini con i piedi nel cemento, rifugiandosi dietro l’omertà e dietro l’onore di persone che continuavano a sostenere di non sapere nulla di tutto ciò che succedeva. Falcone diceva: “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, ma incoscienza.”
Giovanni non è stato solo un magistrato antimafia, ma l’ uomo delle Istituzioni che credeva fortemente nella democrazia e che ha lottato e si è sacrificato per questa. È questa la ragione, che impegna tutte e tutti ad essere sempre presenti e partecipi della vita sociale e pubblica, compiendo ciascuna e ciascuno la nostra parte, piccola o grande che sia.
Ecco perché celebriamo la Giornata della legalità: la percezione e la memoria che hanno i giovani e anche tutta la società civile, di Giovanni, del suo lavoro e dei suoi sacrifici sono aumentate e devono aumentare molto affinché i valori della legalità siano conosciuti, diffusi e soprattutto osservati e praticati.
Maria Laura Conte