Sul pubblico del Colosseo, il lancio a perdere di banconote in euro taroccate, metafora della normalità, rifuggendo dagli inganni verso il prossimo. Il talento comico di Antonio Lippiello e Alberto Tortora, in combinazione con il mix delle sonorità musicali del quindicenne Pietro Picciocchi, vero clou dello spettacolo
di Gianni Amodeo – Foto servizio di Lucia Lippiello
Briosi intrecci in godibile leggerezza, con La banda degli Onesti, l’effervescente e vaporosa commedia, un classico della risata che quelle e quelli di Proteatro con disinvolta spigliatezza hanno portato in scena nel Colosseo nelle serate del 2 e 3 gennaio, inaugurando la stagione teatrale del 2024, che in souplesse ha appena cominciato ad inanellare i giri della sua corsa in pista. Una replica a gran richiesta, sulla scia del prologo intessuto dalle complicate e ingarbugliate peripezie in cui incappa la stessa avventurosa e scombiccherata banda, inscenate nelle serate del 26 e 27 dicembre per l’appagante saluto dato al 2023, anno filato al meglio delle aspettative, punteggiato com’è stato da densi e intensi eventi di eccellente livello spettacolare. Un bilancio più che positivo di lavoro e passione, con chiave di sintesi altamente rappresentativa fornita dalla partecipazione al Festival teatro Campania, prestigiosa rassegna nazionale e internazionale rigorosamente selettiva, dando spazio alla propria produzione sul tema de L’ Incontro, per la regia di Lubomir Bukoy e Franco Scotto, presentata con un’interessante e originale performance il 19 giugno nella struttura di via Marconi, ed accolta con largo plauso di pubblico e critica.
Un chiudi e apri, nel segno della continuità foriera di crescita artistica e meritati consensi, ma anche e soprattutto un omaggio Totò e Peppino De Filippo, campioni eclettici e insuperabili della popolare e popolaresca comicità napoletana, rivisitando la commedia di Mario Scarpetta, ispirata dal film in bianco-nero che ebbe gran successo a metà degli anni ’50, con trama e scenografia di Age e Scarpelli, per la regia di Camillo Mastrocinque, intitolato La banda degli Onesti, con protagonisti e interpreti proprio Totò e Peppino De Filippo. Un’accurata e lineare trasposizione di linguaggio teatrale con i toni e i ritmi cadenzati che sono distintivi e specifici del genere, quella scritta nei due atti di Mario Scarpetta, ma anche con variazioni e innesti adottati in libera scelta dalla regia condotta da Antonio Lippiello, nella doppia veste anche di attore,- che dà vita al personaggio di Gennaro, il portiere del palazzo condominiale, in cui è ambientata la commedia-, e con la super-visione di Franco Scotto.
Sono variazioni e innesti, che concorrono ad integrare il cuore della trama, così come ferve e pulsa nella mente e negli ardenti desideri di Gennaro e di Ferdinando, interpretato con sicura personalità da Alberto Tortora, già impiegato dell’ Istituto poligrafico, comunemente nota come Zecca di Stato, che mirano a risolvere i personali e famigliari problemi economici che angustiano in pianta stabile le loro giornate, stampando false banconote in euro, utilizzandone una da cento di regolare corso legale. Un’operazione che dalla sfera della pura e incontenibile immaginazione può diventare praticabile senza particolari difficoltà tecniche, utilizzando gli attrezzi e la carta in filigrana che Ferdinando ha sottratto alla Zecca e che custodisce con la massima cura possibile in una super – vigilata borsa di pelle nera.
Alla soluzione tecnica realizzabile senza difficoltà, corrisponde, però, come grande problema il punto d’incertezza che risiede nel passaggio dall’intenzione ai fatti, intesi come la concreta messa in opera della stampa delle banconote false, anche perché sulle prime le prove, per realizzare il gran tarocco, nonostante l’impegno e gli sforzi di Ferdinando il guardingo tipografo, non vanno a buon fine. E’ una situazione di massima ambivalenza e fluidità, che Gennaro e Ferdinando interpretano con frequenti esiti esilaranti tra mille timori e risolutezze che finiscono per impennarsi e annullarsi a vicenda, per poi riprendersi, alimentando nei due i dubbi e la consapevolezza della disonestà che vengono condividendo e con tutto ciò che implica e comporta, specie sul versante del non–essere onesti verso se stessi e gli altri, a fronte dell’operazione ideata. Una condizione di aperto disagio,aggravata, tuttavia, dalla necessità, non più rinviabile, di dover rendere quattrocento euro a quel pretenzioso ed esoso creditore qual è il signor Falcucci,- interpretato da Vincenzo Del Prete, calato in pieno nel ruolo di indisponente e prepotente … signorotto padronale-, esigente quanto altri mai.
Lievita e cresce la girandola di domande e risposte, equivoci e battute, in cui Gennaro e Ferdinando danno il meglio di sé nella vivace filosofare della loro conversazione, l’uno sfiorando ripiegamenti esistenziali, l’altro più deciso e sicuro di sé, con venature di gestualità e di linguaggio che echeggiano lo stile mellifluo e rassicurante di Alessandro Siani. Come che sia, la soluzione tecnica e tecnologica, procurata dalla matrice stilografica per compiere l’operazione–tarocco supera le difficoltà iniziali della riproduzione in stampa del conio e del color verde richiesti. E così le banconote, pur taroccate e prodotte in buon numero, risultano perfette, tanto da permettere non solo di saldare … il credito vantato dal signor Falcucci, ma anche di essere lanciate da Gennaro e Ferdinando tra il pubblico in platea. Una vera e propria pioggia dispersiva, metafora ben leggibile nell’indicare la risoluta e ferma volontà di non dare ulteriore seguito all’operazione–tarocco in euro, perché soltanto l’Onestà fa l’uomo. Del resto, l’operazione, vissuta con tanto di manifesto batticuore da Gennaro e Ferdinando, veniva raccontata nei dettagli dalla striscia della telecamera, posizionata nella parte superiore dell’arco scenico, riproducendo per il pubblico in platea l’intera azione del tarocco in atto. Una trovata escogitata da Matteo Canonico, il tecnico addetto per audio e luci, alla pari di quella di pari efficienza tecnica messa punto da Antonio Colucci, esperto d’arte incisoria, nell’utilizzo della matrice stilografica per l’operazione–tarocco con le relative applicazioni.
In complesso, uno spettacolo allestito con criterio, accolto con il pienone del pubblico in tutte le quattro serate di messa in scena, in virtù anche dall’articolata e decorosa ambientazione in un palazzo condominiale del centro storico, a Napoli, intensamente animato da un cast di collaudata bravura e sicura padronanza interpretativa, con Ester Ruotolo nel ruolo della moglie di Gennaro, relativamente apprensiva, certamente risolutiva al momento giusto nelle discussioni con il marito, per interromperlo di botto … senza che possa aggiungere parole più di tanto, per non dire di Felice D’ Anna, il metodico e puntuale ragioniere De Rosa, che asseconda la sempre fine signora Paolillo,- interpretata da Mariella Del Basso, amante del bel vestire-, ed avveduta amministratrice del condominio. Un palazzo, in cui vengono a trovarsi, quasi per caso, Alfredo, fratello di Gennaro, agente di Guardia di Finanza, appena trasferito nella città partenopea, interpretato da Giuseppe Guerriero, e il brigadiere di GdF, Concilio, a cui dà voce e forma Franco Tortora, che, detto en passant, è l’eclettico padre di Alberto, il tipografo dell’ operazione–tarocco.
Il tocco di pregevole classe musicale era dato dal mix delle sonorità, composto da Pietro Picciocchi, un quindicenne, che frequenta la terza classe del Liceo scientifico statale, Nobile–Amundsen, nel plesso di Mugnano del Cardinale, e che vanta nella sua formazione l’importante frequenza quinquennale nei corsi di studio del Conservatorio Domenico Cimarosa, ad Avellino. Un mix, quello proposto dal giovanissimo Pietro, con note dominanti del Valzer di Chopin, opera 64,n.ro 2, e di un pregevole inedito, ispirato ad una traccia musicale, intitolata Piripignaccola, composta da Vincenzo Scarpetta, composizione introvabile nel web,essendo stata restaurata su pellicola in poliestere dalla Cineteca nazionale di Roma, in collaborazione con la Fondazione De Filippo.
Al tirare le fila, per completare il quadro, meritano l’onore di citazione per il lavoro svolto dietro le quinte, Maria Grazia Napolitano, addetta all’organizzazione dello spettacolo, brillante attrice di Proteatro e madre di Pietro Picciocchi, Vincenza Di Nuzzo per la scelta dei costumi, Katia Russo per l’assistenza in regia, Christian Ciano, attento suggeritore, e Lucia Napolitano, impeccabile direttrice di scena. Il progetto grafico e il bozzetto si devono a Felice D’Anna e Bianca Pacilio.