di Gianni Amodeo – Foto di Carmine Montella
Una vita vissuta intensamente, quella di Giovanni Bellavista, che, a settant’anni, ci ha lasciato qualche mese fa, quando sembrava aver ripreso la verve e il brio di sempre, tenendo banco tra gli amici nel “salotto” delle accoglienti panchine di piazza IV Novembre, a cui fanno da corona svettanti e bei tigli dalla folta chioma verde, dopo aver superato un delicato e complesso intervento chirurgico, nell’Ospedale civile, a Padova.
Una vita dispiegata tra gli affetti familiari, nel mondo della Scuola e nell’impegno politico ed amministrativo, attraversata dalla spiccata versatilità per il teatro e per le imitazioni di personaggi dell’attualità politica nazionale e internazionale od estratti dalla trama della quotidianità di cronaca corrente, che animava e disegnava a tutto tondo, fissandone con pienezza di straordinaria verosimiglianza gli intercalari, le cadenze di voce, le pose e tic gestuali, con una sottile ed elegante patina d’ironia. Ed era, Giovanni, un fine dicitore della calda poesia vernacolare di Totò, nella cui pieghe interpretative si superava per espressività e vivacità di racconto ogni qual volta si riusciva a convincerlo- e non era agevole vincerne l’innata ritrosia- ad esibirsi in gradevoli e applauditi recital d’occasione per ricorrenze di omaggio festoso a parenti e amici, o nei locali de “L’Incontro”.
Il mix della grande passione per il teatro e il gusto per la sorridente e garbata ironia che sfoggiava nelle imitazioni costituiva, per molti versi, il fil rouge, a cui Giovanni raccordava il lavoro didattico, in cui è stato impegnato- dopo aver superato il Concorso nazionale per l’insegnamento nelle Scuole statali– per oltre quarant’anni, nelle “Elementari, a Brescia, e in larga parte in quelle dell’Istituto comprensivo “Giovanni Bovio”, a Cicciano. Era il fil rouge, che utilizzava spesso per animare le lezioni, catalizzando l’emotività e l’interesse della comunità di classe, per favorirne sia l’apprendimento che l’acquisizione delle conoscenze con l’ educazione dei sentimenti e delle idee, il trittico valoriale che dà senso compiuto al lavoro didattico, la cui pratica e professione nella quotidianità sono tutt’altro che agevoli, ma soprattutto sono irte di difficoltà più di quel che s’immagini e pensi, specie se vengono meno i supporti positivi di contesto sociale e familiare.
Giovanni ragazzo, come un po’ tutti della sua generazione nella piccola comunità cittadina, partecipava alla vita dell’ Azione cattolica, la Giac, acronimo di Gioventù italiana d’Azione cattolica, un laboratorio di frenetiche attività e iniziative sociali, sportive, teatrali, culturali, campeggi estivi in montagna e al mare. Un laboratorio, con base logistica e organizzativa nei locali della Canonica della Chiesa parrocchiale di Santo Stefano, il cui itinerario davvero speciali copre l’arco che corre dagli anni ’50 agli anni ’80. E Giovanni ha vissuto la Giac– da ragazzo, appunto- quale aspirante… junior dal cui status si accedeva a quello di senior, in coincidenza con il diciannovesimo anno d’età, secondo la classificazione del metodo formativo dell’Ac, fondata alla fine dell’‘800 da Mario Fani e Giovanni Acquaderni, con mission puntata sulla diffusione e promozione dei principi della Dottrina sociale cristiana, il cui caposaldo risiede negli orizzonti di quell’ Economia civile, teorizzata nel ‘700 da Antonio Genovesi e sempre più presente nell’attualità del dibattito politico più avvertito ed evoluto sul piano culturale, quale risposta organica a fronte delle complesse e complicate problematiche dei tempi della globalizzazione irreversibile.
E sono-questi- gli anni di Scuola media, in cui Giovanni dava una mano al padre, Stefano, noto commerciante di ceste- ‘e sporte, tipica produzione di filiera artigianale locale e del territorio- con attiva presenza sui mercati regionali, tra cui quello rinomato di Pagani– ieri, come oggi- e c’era anche da sistemare al meglio la produzione nei siti di stoccaggio, ‘e cellari, vasti e ben capienti, tra cui quello del Palazzo Magnotti, in via Gesù e Maria. E Giovanni con il fratello Rocco provvedeva alla bisogna. Un’esperienza che raccontò insieme con Rocco, con cui viveva quasi in simbiosi, proprio ne “L’Incontro”, ricostruendo la storia del Mestiere degli sportellari, tra la fine dell’800 e il ‘900. Un interessante documento, con la mappa di ottanta laboratori artigianali, attivi tra via Libertà, ‘E Vesuni e ‘O Tuoro, includendo i laboratori disseminati tra Sirignano e ‘O Cardinale, focalizzando la tecnica propria dell’artigianato locale di rafforzare la tenuta delle varie tipologie di ceste, con il filo ferrato; una tecnica di valore aggiunto particolarmente richiesta dal mercato ortofrutticolo di Pagani.
Sono squarci di vita personale, con cui Giovanni Bellavista vive e resta nel ricordo di chi lo ha conosciuto; squarci che s’incrociano e suggellano con l’impegno civile svolto con cura e competenza nell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Vincenzo Cavaccini, per la quale ebbe il mandato di rappresentanza nel tavolo di concertazione del Piano integrato per gli itinerari turistici dell’Alto Clanis, l’importante strumento di cooperazione intercomunale, tra l’area basso- irpina e l’area nolana, con Avella, Comune capofila, con sede operativa nel Palazzo baronale di piazza Municipio. E dalla programmazione del Pit con le risorse comunitarie europee scaturirono, tra gli altri, i finanziamenti che hanno permesso le opere di ripristino della caratteristica e magnifica “Cavallerizza”, gemma attrattiva del Castello-fortezza, ad Avella appunto, l’acquisizione al patrimonio comunale di Sirignano non solo del Palazzo Caravita, ma anche del suo ripristino funzionale, e il programma di lavori di restauro dell’ex-Educandato “Maria Cristina di Savoia” in capo all’amministrazione comunale di Mugnano del Cardinale. Una programmazione, in cui Bellavista esercitò un importante ruolo, prefigurando per la terminale della Circumvesuviana, a Baiano l’idea della stazione intermodale. Un’idea, che, verosimilmente, ha dato a Domenico Biancardi, presidente della provincia di Avellino e sindaco di Avella, l’input a immaginare la conversione della terminale nell’hub della Circum, salvandone così la funzione di stazione, diventata a rischio di soppressione, qualche anno fa.
Per la circostanza, si rinnovano alla moglie, Maria Teresa e ai figli , Fabio e Maria Vittoria e ai familiari tutti i sentimenti di cordoglio della direzione e della redazione del giornale.