di Antonio Vecchione
I rifiuti di plastica hanno invaso il mondo. Ne siamo circondati. Miliardi di buste, bottiglie, contenitori e oggetti vari sono dispersi non soltanto nelle città, nelle campagne e nei prati, ma negli angoli più remoti della terra, come isole tropicali semideserte, nei mari (perfino nella Fossa delle Marianne), sull’Everest. Inefficaci le leggi approvate per limitarne il consumo. Gli scienziati prevedono che nel 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesci. Le nostre comunità non fanno eccezioni e si inseriscono nel degrado mondiale. E siamo particolarmente originali, quasi una via “baianese” alla dispersione, che ci distingue grazie al nostro “ospite” che ci fa compagnia quasi per tutto l’anno: il vento. Ed ecco che i nostri alti e frondosi alberi di noci, una volta vanto della nostra agricoltura, oggi semi – abbandonati o abbattuti, assumono, grazie all’azione del vento, un aspetto diverso, avveniristico, anticipo delle prossime civiltà, quelle della plastica coltivata e non prodotta industrialmente. Le foto mostrano un albero di noce che appare “geneticamente” modificato e offre allo sguardo i suoi frutti di plastica bianca, quasi vessilli che sventolano tra i rami, come simbolo e omaggio della contemporaneità. Chissà se il futuro ci riserverà altri e più pervasivi scenari futuristi “naturali” o saranno soltanto installazioni artistiche immaginate da creativi personaggi. Ai posteri la sentenza. Intanto una riflessione sul miglioramento dei nostri costumi di vita è doveroso.