di Gianni Amodeo
Dall’ ambiente nature ad orizzonte semicircolare,- su cui svetta il Monte Arciano, nel saldarsi in continuità territoriale con lo spazio urbano racchiuso tra la SS–7 bis, quartieri e palazzi, formando, in tutt’uno con la visione a flusso permanente del traffico veicolare del casello dell’A–16 della Napoli–Bari, uno dei più caratteristici e variegati fondali d’animazione del culto arboreo per antonomasia che praticano le comunità della Valle dell’Alto Clanio, tra le mille sfumature di cielo nell’ intrecciarsi dei grappoli di nuvole in libertà-, alla dimensione fisica del Colosseo, il Teatro comunale che nella scorsa primavera è stato restituito, dopo interventi di restyling integrale, alla sua funzione di aggregazione sociale e culturale dismessa da decenni. E ancora: dal plein air, tipico della stagione invernale, pur nella bizzarra ed insolita mitezza della corrente stagione, in cui si mescolano e disperdono in allegra ed estrosa anarchia canzoni, canti e voci, ravvivando con migliaia di partecipanti l’intera mappa stradale della coralità della Festa, che vive e si consuma tra via Calabricita, corso Garibaldi e ‘ O stradone ‘e Santo Stefano, all’ ospitale platea di visione, ascolto e, riflessione nel Colosseo, che, si ricorderà, fu costruito da un imprenditore privato ed inaugurato nel ‘49 del secolo scorso. Era un autentico modello di sobrietà architettonica e di confortevole accoglienza per proiezioni cinematografiche, teatro e spettacoli di varietà; ed era inclusivo, tra l’altro, del corpo centrale di un’elegante galleria con annessi ed accoglienti corridoi laterali, trasformata con gli interventi di ripristino funzionale in servizi e in un ampio auditorium.
E’ la trasposizione che segna la Teatralizzazione del Maio, intesa e rivisitata quale Festa nostra, storia di un natale baianese, lo spettacolo che tutti stavano aspettando, così come recitavano le frasi-flash di locandine e manifesti in civettuola e ammiccante evidenza, con bella impostazione grafica giocata sul bianco-nero, a far da sfondo agli elementi figurativi caratterizzanti l’evento, nell’annunciarne la programmazione per il 26 e il 27 scorsi, onorata da un applaudito e meritato sold out. E’ la trasposizione, autentica novità, concepita e realizzata da Proteatro, con la messa in scena di Festa nostra, commedia in due atti, per un testo gradevole e appetitoso, frutto di scrittura collettiva, elaborata da autrici e autori che, a loro volta, la fanno vivere sul palcoscenico anche nei panni e nelle movenze di interpreti spigliati e narranti perspicaci con incisiva espressività e caldi ritmi, coinvolgendo in pieno il pubblico sul piano emotivo. Una sperimentazione ben immaginata e compiuta nelle modalità di registro, per un’operazione di pregevole impegno culturale e di ricerca, con esiti certamente originali e interessanti nella ricognizione dei valori della Festa, attingendo e focalizzando significativi aspetti sociali ed antropologici, le cui valenze concorrono a darne una lettura meglio definita nel rapporto con il territorio, gli usi e i costumi di comunità e il loro evolversi.
Stefano Pace, Geppino, Marietta: gli assilli dell’incomunicabilità
‘ O Maio e la gioia liberatoria r‘O fucarone
Di Festa nostra …..i quadri in scena sono lo specchio della comune e frenetica quotidianità, con cui si caratterizza lo svolgersi del Natale baianese all’insegna delle peculiarità del culto del Maio, nei canonici giorni della Vigilia e della Natività di Gesù, in una location speciale che, per la circostanza, è quella di un ben frequentato supermercato, in cui si ritrovano, ciascuno per caso, Stefano Pace, Geppino e Marietta, personaggi che, pur reggendo le file della trama, vivono una condizione di vicendevole estraneità, superata solo nell’epilogo della narrazione scenica. Sono personaggi che, pur parlando tra loro, non comunicano e spesso si contraddicono, quasi che se non si vedessero né si percepissero nella persino loro fisicità, immersi come sono nelle loro storie che scorrono tra i fervori dell’ auto-referenzialità e la complicata ricerca della propria identità, ma senza immettersi nei flussi dell’empatia, con cui si alimentano le dinamiche della reversibilità tra l’io e il noi.
Stefano Pace, a cui dà profilo, voce e disinvolto self-control l’inappuntabile Felice D’Anna, è un professore di Lettere e Filosofia, trasferito da tempo in una città del Nord, per svolgere il lavoro di docente, uno dei tanti del Sud che un tempo sarebbe stato chiamato intellettuale emigrato; per consuetudine e per onorare la memoria dei genitori e il senso delle radici famigliari, ogni anno ritorna in paese, per Festa nostra. Ed è l’ appuntamento diventato per Stefano obbligato e irrinunciabile, specie da quando gli è morta la moglie e vive il tormentoso cruccio della presunta e sospetta omosessualità del figlio, Antonio, verso il quale nutre sentimenti di insofferenza e incomprensione. Marietta, interpretata dall’eclettica Mariella Del Basso, è la giovane donna che il compagno convivente con egoistico cinismo abbandona alla sua sorte, non appena scopre ch’è incinta. Una condizione di solitudine dura e sofferta, che Marietta vive come amaro tradimento e violenza morale verso la sincerità dei personali sentimenti e, nello stesso tempo, con spiccato senso di orgogliosa e umana dignità, senza lasciarsi prendere da cedimenti a frustrazioni e patetici ripiegamenti. E’ l’innata e amorevole dedizione che Marietta nutre verso se stessa,la propria esistenza e l’altra vita che ha in seno.
Due storie distinte e diversificate, quella di Stefano e quella di Marietta, tra le quali s’innesta quella di Geppino, personaggio pensoso e meditativo, a cui dà vita Antonio Lippiello che s’interroga sui valori della Natività nella religiosità cristiana in sé e sul Natale del Maio nella cultura sociale del territorio, al filtro delle contaminazioni tra miti, leggende e ritualità devozionali. Una ricerca di senso, che Geppino affronta dialogando con se stesso, ma anche e soprattutto con la Madre, quasi come voce fuori-campo, interpretata da una briosa e incalzante Maria Grazia Napolitano. Un dialogo effervescente e spumeggiante, in cui Geppino infila acute osservazioni, pause, dubbi e perplessità d’ingenuo candore che la Madre chiarifica e puntualizza. Ed è, quello di Geppino, il personaggio che vive e incarna lo spirito della popolarità della Festa del Maio e i valori comunitari del lavoro che esprime.
Stefano, Geppino e Marietta con le loro inquietudini e storie vengono sorpresi- nel giorno della Vigilia– da una scossa sismica di breve durata e restano intrappolati nel super-mercato con grande paura e sgomento, senza riuscire a trovare la via della salvezza liberatoria, nonostante l’impegno profuso persino dalla Madre di Geppino, e,intanto Festa nostra, unico collante ad accomunarne le esperienze di vita, si anima, escludendoli del tutto dai momenti-clou, tra cui la Processione del Bambino Gesù, che è il rito celebrativo della Natività del Messia del Nuovo mondo e, parimenti, prologo della Festa del Maio.
Poi, il Santo Natale. Ed accade … di tutto. Nel supermercato, irrompe un quarto personaggio – un uomo, si chiama Antonio ed è figlio del professore Stefano Pace– deciso a condividere la sorte dell’esclusione dalla Festa insieme con Geppino, Stefano, Marietta e la Madre di Geppino solidale più che mai con la piccola brigata. Antonio, interpretato dal brillante Alberto Tortora, altri non è che il compagno convivente che si è volatilizzato non ha appena appreso che Marietta era in dolce attesa.
L’incontro è foriero di affetti, amorevolezza e conciliazione, che si rinnovano con Antonio, ben consapevole delle personali responsabilità umane e morali assunte, e Marietta, rinfrancata quale persona, è restituita alla pienezza di giovane donna e madre. E’ la maternità, che in Marietta vibra in tutte sue forme di dolore e sofferenza, da cui scaturisce la vita, e che Mariella Del Basso incarna e stilizza con varietà di linguaggio e forte capacità di convincimento. Ed era, in particolare, la trasfigurazione delle contrazioni generate dalle doglie del parto rappresentate a scena aperta nelle ondulate e danzanti movenze dell’intero cast, nell’incrociarsi luminoso del rosso e del nero con ritmate modulazioni musicali, a costituire l’apice del racconto scenico, sospeso tra l’onirico e il surreale.
Era il saluto alla Nascita di Stefano, figlio di Marietta e Antonio, ai metaforici piedi del Maio, dirimpettaio svettante sui venti metri, al cospetto della Chiesa dedicata al Santo Levita, mentre distribuito lungo l’intero asse r’ O Stradone trionfava ‘ O fucarone, illuminando la sera con la sua gioia liberatoria, coinvolgendo nella coralità della Festa, come mai avevano sperimentato nel passato Stefano Pace, riconciliato in pieno con il figlio, il probo Geppino e la Madre, donna pragmatica e di garbo.
Da evidenziare l’eccellente lavoro di regia- ma non è una novità- di Franco Scotto e il supporto delle competenze tecniche fornito da Aniello Capolongo con sicurezza nella programmazione delle musiche e nelle gestione del sistema-luci.