Nasce il Consorzio a tutela della birra artigianale Made in Italy che garantisce l’origine delle materie prime, dal luppolo all’orzo e la lavorazione artigianale contro la proliferazione di finte birre artigianali e l’omologazione dei grandi marchi mondiali. È quanto spiega la Coldiretti in occasione dell’avvio del primo Consorzio Birra Italiana per la tutela e la promozione della birra artigianale italiana. Un progetto che parte con il primo giorno d’estate, che è anche il periodo di massimo consumo della birra. Lo scopo del Consorzio è la valorizzazione della filiera produttiva locale, creando un rapporto più solido tra la bevanda artigianale e le materie prime, tra i piccoli produttori di birra ed i coltivatori di orzo, luppolo e altre materie prime complementari.
Tra i fondatori del Consorzio nazionale c’è Vito Pagnotta del birrificio agricolo Serro Croce di Monteverde, in Irpinia. Un’azienda agricola fortemente vocata alla sostenibilità ambientale: convertita in bio, coltiva cereali antichi in rotazione con leguminose che arricchiscono i terreni e consentono di ridurre le concimazioni. Ha già vinto due volte l’Oscar Green, il premio annuale che Coldiretti Giovani Impresa riserva alle imprese giovanili innovative. Vito Pagnotta è anche dirigente di Coldiretti Avellino. Per questo nuovo traguardo esprimono soddisfazione e i migliori auguri il presidente di Coldiretti Campania, e vicepresidente nazionale, Gennarino Masiello, la delegata nazionale di Coldiretti Giovani Impresa Veronica Barbati, il direttore regionale di Coldiretti Salvatore Loffreda e il presidente della Coldiretti irpina Francesco Acampora.
Il Consorzio Birra Italiana per la tutela e la promozione della birra artigianale italiana si pone l’obiettivo di raccontare e promuovere, in Italia ed all’estero, la qualità delle materie prime e delle birre artigianali italiane, vero elemento di distinzione e di legame con il territorio italiano favorendo la coltivazione di orzo, dal quale si ricava il malto, e del luppolo, principali materie di base per la preparazione della popolare bevanda. Oltre al birrificio campano Serro Croce, tra i fondatori ci sono Teo Musso del birrificio agricolo Baladin, Marco Farchioni del birrificio Mastri Birrai Umbri, Giorgio Maso del birrificio dell’Altavia e Giovanni Toffoli della Malteria Agroalimentare Sud.
Il Consorzio sostiene i birrifici nel reperimento di materia prima italiana, da filiera tracciata e garantita con gli associati che si impegnano a utilizzare nelle loro produzioni almeno il 51% di materia prima italiana creando una filiera dal campo al boccale con una collaborazione sempre più stretta con i coltivatori italiani di orzo e luppolo. Il successo delle birre nazionali ha già favorito anche la produzione del malto italiano salita fino a 80 milioni di chili nel 2018.
La produzione di orzo italiano per la filiera della birra – spiega il Consorzio per la tutela e la promozione della birra artigianale italiana – rappresenta un’opportunità per l’agricoltura con il recupero anche di aree dismesse in fasce marginali, con una riqualificazione produttiva ed economica di quelle aree. Per produrre il malto si fanno germinare i chicchi di orzo mettendoli a bagno in acqua per poi essiccarli in appositi forni, mentre il luppolo è una pianta rampicante alta fino a sei metri dalla quale si raccoglie il fiore che apporta alla birra il tipico gusto amarognolo, ha proprietà antiossidanti che migliorano la conservabilità e favorisce la persistenza della schiuma.
Il disciplinare del Consorzio per la tutela e la promozione della birra artigianale italiana si basa sulla definizione di “Birra Artigianale” stabilita per legge (art. 2 comma 4 bis della legge n. 1354 del 16.8.1962, come modificata dall’art. 35, comma 1, L. 28 luglio 2016, n. 154) che indica in tre fattori cardine i criteri da rispettare da parte del birrificio: indipendenza del birrificio, limite di produzione stabilita in un massimo di 200.000 ettolitri all’anno e integrità del prodotto che non deve essere sottoposto a processi di pastorizzazione o di microfiltrazione. Sul fronte dei consumi il Consorzio vuole spingere verso una maggiore trasparenza dei menù nei ristoranti, pizzerie, bar o pub, dove troppo spesso sotto la denominazione di birre artigianali vengono offerti marchi che sfruttano nomi o indicazioni geografiche che fanno pensare a bevande artigianali Made in Italy ma che in realtà – sottolinea il Consorzio – sono prodotte da colossi del settore a livello mondiale. Il disciplinare del Consorzio prevede che alla denominazione di “Birra Artigianale” venga integrata l’indicazione “da filiera agricola Italiana”, laddove l’utilizzo di materia prima secca provenga in prevalenza dalla filiera agricola italiana, che la sede produttiva e legale dello stabilimento in cui viene prodotta e confezionata la birra sia situata sul territorio nazionale.