NEW YORK – Chiunque abbia un cane è convinto che l’animale gli voglia bene, ed è pronto a citare innumerevoli esempi di questo affetto. Gli scettici rispondono invece che Fido mostra attaccamento perché spinto dall’interesse, visto che sopravvive grazie a noi e al cibo che gli diamo. Adesso, tutti noi che crediamo nella capacità dei nostri cani di provare reali sentimenti di affezione, potremo citare uno studio scientifico ineccepibile, che dimostra con estrema chiarezza che i cani avvertono per gli esseri umani emozioni reali e inequivocabili.
Lo studio è stato condotto dal neuroscienziato Gregory Berns, professore di psichiatria alla Emory University di Atlanta, in collaborazione con allenatori e padroni di cani. Berns ha appena pubblicato un libro, “What’s it like to be a dog?” (Com’è essere cani?) che riassume i suoi cinque anni di lavoro. Il libro è affascinante anche per gli studi su altri mammiferi. Ma a noi interessa la lunga ricerca condotta con la risonanza magnetica, su una novantina di cani.
Applicando ai cani le stesse procedure che sono state applicate agli esseri umani per capire il funzionamento del cervello, Berns ha constatato che Fido reagisce con evidente contentezza quando il suo padrone gli fa le coccole, gli parla con tenerezza, lo loda. In queste situazioni nei cani si accende la corteccia prefrontale, la parte del cervello adibita all’elaborazione delle emozioni e dell’affettività. In un diverso e separato esperimento, Berns offre al cane sotto osservazione un salsicciotto, generando nell’animale simili reazioni di contentezza.
Dunque, come minimo, i cani provano gioia nel sentire le parole affettuose dei loro padroni, così come provano gioia davanti all’offerta di un salsicciotto. In un venti per cento dei casi, la reazione di gioia davanti alla tenerezza dei padroni è anche superiore a quella davanti a un buon boccone.
Berns ha potuto dimostrare che i cervelli canini hanno funzioni analoghe a quelle dei cervelli umani. E lo ha dimostrato con estrema pazienza e rispetto dei suoi esemplari: nessuno dei cani è stato legato o sedato. Sono stati tutti progressivamente addestrati a non temere il rumore assordante delle macchine per la risonanza magnetica. Poi sono stati addestrati a entrare spontaneamente nel tubo, e a posare il capo su un cuscino e a mantenervelo fermo. Solo così le analisi potevano essere precise e affidabili.
Berns si è avventurato in questa ricerca dopo la morte del suo amatissimo cane, Newton, un carlino. Ha raccontato che il suo dolore per la scomparsa lo aveva portato a chiedersi se il cane lo avesse amato altrettanto, e se i cani in generale siano in grado di provare sentimenti di affetto. E così – da psichiatra – ha pensato di ricorrere alla scienza, e alla risonanza magnetica.
Il lavoro su questo settore gli ha fruttato anche scoperte che potranno aiutare l’umanità. Il professore collabora da tempo con un’associazione che fornisce cani da supporto a portatori di handicap. Il neuroscienziato ha seguito alcuni dei cuccioli prescelti per diventare cani da accompagnamento, e ha poi analizzato quelli che da adulti si sono rivelati migliori, più veloci nell’apprendimento e affidabili. Ebbene, ha notato che questi campioni hanno – rispetto a quelli meno bravi – una maggiore attività nell’area cerebrale chiamata “nucleo caudato” e una minore attività nella amigdala. Nel nucleo caudato c’è una più alta presenza di ricettori della dopamina, il neurotrasmettitore cruciale nel regolare l’umore, la motivazione e il senso di piacere. L’amigdala è la parte del cervello che gestisce la paura e l’ansia. In parole povere: i cani che si sono rivelati migliori per l’accompagnamento e il sostegno di persone con handicap hanno un cervello più propenso alla gioia e meno propenso all’ansia e alla paura.
Il professor Berns pensa che nel futuro si potrebbero scegliere i candidati a queste posizioni così cruciali nella nostra società, semplicemente effettuando una risonanza magnetica dei loro cervelli.