Sei anni di carcere per l’ex presidente del Consiglio dei Ministri ed ex presidente del Senato NicolaMancino. L’accusa è quella di aver dato vita alla più perversa delle interlocuzioni: quella tra Cosa nostra e lo Stato. Ottantotto anni di carcere in totale è la somma delle pene chieste dalla procura di Palermo alla fine della requisitoria del processo sulla Trattativa tra pezzi delle Istituzioni e la mafia. Dopo 4 anni e 8 mesi di dibattimento, a 1914 giorni dalla prima udienza preliminare e a dieci anni esatti dall’apertura dell’inchiesta, l’accusa ha dunque tirato le somme. I pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene hanno impiegato otto delle 210 udienze celebrate fino ad oggi per esporre la requisitoria. Un racconto lungo e complesso che comincia alla fine degli anni ’80, attraversa il biennio stragista che ha destabilizzato il Paese e riscrive nei fatti la storia della nascita della Seconda Repubblica.
Mancino è accusato di falsa testimonianza. Davanti ai giudici che celebravano il processo per favoreggiamento a Cosa nostra in cui era all’epoca imputato Mori, Mancino ha negato di aver saputo dall’allora guardasigilli Claudio Martelli di contatti “anomali” tra i carabinieri del Ros e Ciancimino. Contatti che, secondo la procura, avrebbero costituito il primo atto formale della stessa trattativa. Finito coinvolto nell’inchiesta Mancino diventa poi il protagonista del Romanzo Quirinale. Intercettando l’ex presidente del Senato i pm registrano anche Giorgio Napolitano: un evento che nel 2012 farà scontrare la procura di Palermo e il Quirinale, con il Colle che ottenne la distruzione di quelle telefonate.