1. Perché è molto più di un film Disney, e il rapporto tra la Disney e Tim Burton proprio per questo è sempre stato altalenante
Non è la prima volta che che Tim Burton si dà al rifacimento di un classico Disney. Con Alice nel paese delle meraviglie ci ha abituato agli effetti speciali da terzo millennio e ha decisamente abbandonato l’estetica vintage che caratterizzava i suoi primi film alla fine degli anni ’80, come Beetlejuice – Spiritello Porcello.
Tim Burton si piega all’estetica perfetta di quello che vuole la Disney nel 2019, ma utilizzando la sua mano da fuoriclasse. Tanti piccoli dettagli rendono questo Dumbo molto più di un semplice film Disney (che già semplici non sono) e non fanno rimpiangere il lungometraggio originale del 1941. Che ci avrebbe potuto far pensare: “ma c’era davvero bisogno di un remake?” La risposta è sì, perché come vedremo più avanti, non abbiamo a che fare effettivamente con un banale remake.
Il rapporto tra Tim Burton e la Disney è sempre stato altalenante, ma si può dire che il regista californiano sia un figlio della più famosa casa d’animazione del mondo, o meglio, a voler esser corretti, possiamo dire che la Disney ci provò subito ad adottarlo, non riuscendo però a piegarlo al suo gusto.
Tim Burton iniziò proprio con la Disney nel 1982, quando vinse una borsa di studio per giovani animatori e partecipò alla realizzazione di Red&Toby – Amicinemici, che era la storia dell’amicizia tra una piccola volpe ed un cane da caccia, i quali da adulti si ritrovano a combattersi. Pare che per Tim questo lavoro fosse stato uno strazio, eppure non era sicuramente un film allegro!
Sebbene la Disney fin da subito non abbia dimostrato di apprezzare la vena dark di Tim, uscita fuori con il suo primo corto in stop motion Vincent (ispirato alla poesia Il Corvo di Edgar Allan Poe), gli dà la possibilità di realizzare Frankenweenie (1984), un secondo cortometraggio di 30 minuti, in seguito al quale Tim fu licenziato. Non era piaciuto per niente! La storia parlava di un cane morto, in bianco e nero sia il cane che la pellicola, che tornava dal suo padroncino, in una versione tutta rattoppata, una sorta di Frankenstein canino.
Solo molti anni dopo, con il successo di Tim dovuto ai due Batman e altri film, la Disney accetta di produrre un suo vecchio progetto, già proposto nel 1982, che diventerà il suo lavoro più famoso a livello mondiale: stiamo parlando di Nightmare Before Christmas, siamo adesso nel 1993. Anche il successivo Ed Wood (1994) risulta appoggiato dalla Disney. Segue un altro lungo periodo di pausa, di 6 anni, in cui i rapporti fra Tim e la Disney si allentano, per poi rafforzarsi nel 2010, con il rifacimento di Alice in Wonderland (2010) e il film d’animazione in stop motion Frankeenweenie (2012), remake di quello già citato, di cui evidentemente la Disney deteneva i diritti.
Burton non ha invece partecipato come regista al sequel Alice attraverso lo specchio(2016), di cui è stato, a quanto pare, solo produttore.
2. Perché è molto più di un remake: se non fosse stato così, il confronto con il film originale del 1941 sarebbe stato perso in partenza
Ci sono evidenti differenze nella storia tra la versione di Tim Burton e quella originale, sulla quale preferirei non dilungarmi per evitare spoiler. C’è da dire però che tanto il film Dumbo l’hanno visto tutti, ha solo 80 anni, perciò posso anche continuare raccontandovi un po’ cosa c’è in questa nuova versione.
Ad esempio, nel circo di Tim Burton ci sono molti più personaggi umani e la mamma di Dumbo viene rivenduta per recuperare i soldi persi. Inoltre viene introdotto, come escamotage narrativo, un secondo grande parco divertimenti, Dreamland, appartenente a un grosso imprenditore interessato ad acquistare Dumbo e tutto il circo Casimiro. È proprio grazie a questo personaggio che può fare il suo ingresso in scena Eva Green, nuova musa di Tim Burton.
È giusto che Dumbo sia stato differenziato dall’originale del 1941, che era una pellicola già perfetta: un nuovo lungometraggio non avrebbe avuto motivo di esistere se qualcuno non avesse avuto da aggiungere delle idee, cosa che nella versione di Tim Burton è stata assolutamente fatta.
Il nuovo Dumbo è un film visionario almeno quanto il primo, in cui la storia e le scene sono rimodellate in modo da ottenere arte nuova: come la scena delle bolle di sapone, che qui diventa una performance di apertura dello spettacolo dell’elefantino nel circo. Vedere Dumbo oggi vuol dire aspettare scene che già si conoscono perfettamente per scoprire come il regista le ha trasformate.
3. Per Eva Green che vola a cavallo di un elefante, e per le sue scarpe
Eva Green, francese, classe 1980, debutta nel 2003 con The Dreamers di Bertolucci e da allora è diventata una delle più affascinanti star di Hollywood. Il suo sguardo magnetico si adatta bene alle atmosfere cupe di Tim Burton, che l’aveva già voluta in Dark Shadows (2012) e Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali (2016). La ricordiamo, con altri registi, anche in Casino Royale come bond girl, 300 e Sin City 2: insomma, Eva Green è una bella e cattiva ragazza che fa sempre film d’un certo tipo, di certo non quelli cuore e amore.
E le sue scarpe in Dumbo non si possono dimenticare, perché sono adornate di piume che servono all’elefantino a volare.
Però, anche se qui la presenza femminile più interessante è stata Eva Green e difficilmente qualcuna avrebbe potuto rubarle la scena, è stato strano non vedere Helena Bonham Carter, quasi sempre presente nelle pellicole di Tim Burton (molti nomi sono con lui ricorrenti, come Johnny Depp o le musiche di Danny Elfman): scopro infatti che i due, Tim Burton e Helena, una coppia nella vita reale, si sono separati nel 2014.
4. Per l’humour negro, il treno Casimiro e tanti altri dettagli divertentissimi
Già detto: in questa versione di Dumbo è pieno di personaggi umani, più dei topini, ma sono tutti ben caratterizzati, come Rongo The Strongo, tuttofare di colore (DeObia Oparei). Epicissima anche l’apertura con la canzone Train’s a comin’ di Danny Elfman, rifacimento della famosa scena in cui “il treno del circo Casimiro va”.
5. Perché non è una semplice favola per bambini, ma contiene in sé temi importanti come il problema dell’emarginazione del diverso ed il suo possibile enorme valore
E qui potremmo scrivere le solite cose già dette un po’ ovunque: Dumbo è una meravigliosa favola perché insegna che ciò che non è conforme alla norma in realtà può contenere pregi straordinari. È un elogio alla diversità, alla rivalutazione delle differenze, che sono dei messaggi di cui abbiamo sempre più bisogno. E sui quali non vorrei dilungarmi, sebbene siano questi sicuramente i motivi per cui la storia di Dumbo riesce ancora a commuovere a distanza di tanti anni. È proprio la sua straordinarietà – inizialmente non apprezzata – che va dritto al cuore. Storie come Dumbo potrebbero capitarci ogni giorno, con persone che magari hanno qualità di cui non ci siamo mai accorti: è importante scoprirle, sempre, per vivere meglio e per sconfiggere la solitudine di queste persone, senza giudicare affrettatamente dalle apparenze. Il concetto è chiaro: nella diversità può esserci nascosta bellezza, mentre dal conforme difficilmente nasce qualcosa di nuovo. E Dumbo ci fa riflettere un po’, obbligando a pensare anche i cuori più duri. Chissà che non si possa mettere in scena lo spettacolo dell’elefantino volante anche nella nostra vita di tutti i giorni.
Valentina Guerriero