– Sei un mostro.
– Diciamo che do da mangiare ai mostri.
Regia di Paolo Genovese (Immaturi, Tutta colpa di Freud), dal 9 Novembre in sala. Il film è ambientato in The Place, un misterioso bar in cui un uomo senza nome, interpretato da Valerio Mastandrea (Notturno Bus, Il Caimano, Nine) incontra e parla per tutto il tempo con delle persone, annotando ogni volta il risultato delle loro conversazioni in un’agenda. Anche se non si comprende bene come queste persone siano giunte in The Place e da quest’uomo, perché non è spiegato, ciascuna di esse ha per lui una richiesta, che verrà esaudita se accetteranno di compiere alcune azioni che quest’uomo commissiona, pescandole apparentemente a caso dall’agenda. Il segnalibro posto lì in mezzo non pare in realtà mai muoversi e le azioni sembrano essere assegnate senza alcun filo logico. Nonostante l’uomo, Mastandrea, si limiti a parlare (o meglio ad ascoltare e a volte a fare domande), e non venga mai chiarita esplicitamente la sua figura, si tratta di un’ambigua incarnazione del diavolo; pur non influenzando mai davvero le persone e mantenendosi imparziale nei confronti delle cose, propone loro di attuare dei comportamenti quasi sempre riprovevoli.
L’uomo non rivela interesse nei confronti di ciò che accade o che propone, come se ne fosse abituato, né tantomeno mostra delle emozioni. E’ freddo, anche se tutto sommato pare triste e annoiato del suo lavoro. Quelli che propone sono quasi sempre atti orribili, come uccidere una bambina innocente, far lasciare una coppia, fare una rapina, mettere una bomba in un locale affollato. Le persone con cui Mastandrea parla reagiscono in modo diverso: alcune inizialmente rifiutano, altre accettano subito, molte, dopo aver iniziato, tentennano, altre ancora ci prendono gusto nella cosa e continuano il compito assegnatogli oltre il periodo del contratto. Gli obiettivi finiscono per intrecciarsi e influenzarsi fra loro. L’uomo dice di “non dare mai obiettivi impossibili”, ma alcuni si complicano o cambiano progressivamente, influenzati dall’operato di altri persone. Le stesse richieste di alcuni personaggi cambiano nel corso del film, come cambia la loro valutazione delle cose, delle cattive azioni e del loro senso di sé.
Il tutto è intervallato, a più riprese, dai dialoghi con una Ferilli che lavora in The Place. A forza di vedere Mastandrea in quel ristorante, la Ferilli crede che si tratti di un uomo solo, magari divorziato, forse uno psicologo. Non gli fa alcuna richiesta esplicita, ma cerca di approcciarlo, di farsi raccontare qualcosa, senza riuscirci.
E’ un film tutto incentrato sui personaggi e sui dialoghi, che purtroppo non brillano ma sono comunque molto efficaci alla costruzione della storia, come in un dramma teatrale. L’unica vera ambientazione è The Place, anche se nella mente si riescono ad immaginare gli altri luoghi di cui si parla, o dei personaggi che in realtà non compaiono mai.
Gli attori sono tutti italiani, e anche la recitazione è “molto italiana”, poco emozionante, fatta eccezione per Suor Chiara (Alba Rorhwacher) che spicca per il modo in cui calza nel personaggio, mettendosi al di sopra degli altri. Non convince poi tanto Alessandro Borghi, nel difficile ruolo di un cieco che dovrà violentarla, abbastanza brava e bella Vittoria Puccini (Elisa di Rivombrosa, ma presente anche in diversi film come Paz!, Ma quando arrivano le ragazze? di Pupi Avati e Tutta colpa di Freud dello stesso Genovese), gradevole ed azzeccata la romana Silvia d’Amico (era in Non essere cattivo di Claudio Caligari), una cattiva ragazza che pur di diventare “più bella” accetta di derubare una sua amica.
Elemento di richiamo in The Place è Silvio Muccino, che citando una frase non mia, è ormai come Johnny Depp nei film in cui non è protagonista: appare per pochissimo tempo, fa la parte del cattivo ragazzo e ciò basta per attrarre in sala più donne possibili.
Il personaggio di Muccino spaccia acidi ed è complice di Silvia, ma dopo aver fatto l’amore con lei piange, insomma, il solito duro dal cuore tenero. Difficile il rapporto con il padre, che qui è Marco Giallini.
Altri nomi noti: Rocco Papaleo che è un meccanico che vorrebbe passare una notte con Amanda, una ragazza/attrice/pornoattrice della quale ha un poster in officina. Solo una notte e non di più, perché una relazione non saprebbe gestirla. Perciò gli viene commissionato di sorvegliare una bambina che non conosce, la stessa che Vinicio Marchioni (era in To Rome With Love) dovrà uccidere. Ma l’elemento chiave di The Place è senz’altro Giulia Lazzarini (la madre di Nanni Moretti in Mia madre, 83 anni), non proseguo oltre per non rivelarvi il finale.
Il film potrebbe essere letto a più livelli: in un’interpretazione meno ovvia, Mastandrea, che continua a essere nel bar anche oltre l’orario di chiusura, potrebbe essere un’invenzione della solitudine della Ferilli, la quale continua ad osservare il viavai di persone con i loro problemi, dall’esterno, e gli atti casuali, in teoria commissionati, potrebbero essere invece dettati da una sorta di destino (un destino legato al caso) senza che nessun uomo “fisico” li abbia mai davvero proposti. Ad esempio, la gelosia della Puccini per la fedeltà del suo vicino di casa nei confronti della moglie potrebbe aver scatenato la cattiveria di cui è stata capace: fingere che lui abbia tradito la moglie con lei, al fine di farli litigare, pure se l’atto sessuale non era stato consumato davvero. La stessa perdita di fede di Suor Chiara l’avrebbe portata a voler fare l’amore con un uomo e a rimanere incinta. Così, ogni atto crudele potrebbe avere una giustificazione, tutto quadrerebbe senza troppe forzature. Forse a volte si deve sprofondare prima di aver ciò che si vuole, e mettere in discussione tutto prima di capire quale sia veramente la cosa giusta da fare, riorganizzare i propri schemi di pensiero, e infatti ogni personaggio evolve e si modifica nel corso del film. Nel finale risolutivo la Ferilli sembra abbracciare la professione di Mastandrea, sostituendosi a lui, che smetterebbe così di essere il diavolo. Domanda: la solitudine, e l’osservazione degli altri, portano ad essere Satana? D’altronde, non viene mai detto esplicitamente cosa accade davvero e perché tutto ciò sia possibile.
Un’altra interpretazione, che poi è quella giusta, è che Mastandrea sia il diavolo. Ma il diavolo non esiste davvero, è una costruzione dell’uomo, ed è per questo che nel film non vengono fornite vere risposte: sta a noi se crederci o no, ciò che restano sono solo le azioni, giuste o sbagliate.
Però quest’uomo di The Place è sicuramente un Satana diverso da come lo immaginiamo nell’iconografia classica. E’ solo un osservatore, e non è responsabile. Egli non tenta: qualunque persona dotata di una certa fermezza potrebbe rifiutare. Abbiamo la libera scelta su come comportarci e il diavolo non fa solo che servirci le cose su di un piatto, anzi, quello di The Place sembra quasi scoraggiarle.
Il film è ispirato alla serie televisiva statunitense The Booth at the End (10 episodi).