Regia di Stephen Frears, con Judi Dench. Nelle sale dal 26 ottobre.
Stephen Frears è lo stesso regista di Alta Fedeltà, film del 2000 con una delle colonne sonore migliori degli ultimi 20 anni, che era tratto dal romanzo di Nick Hornby e seguiva le vicende sentimentali di Rob Gordon, il proprietario di un negozio di dischi, provate ad ascoltare “Love – Always see your face” e poi mi direte.
Ma in Vittoria e Abdul c’è veramente poco di Alta Fedeltà, anche se una cosa è certa: le figure femminili di un certo spessore sono qualcosa di ricorrente in molti film di Frears. Philomena, con Judi Dench, nel 2013 aveva fatto abbastanza parlare di sé, The Queen, del 2006, neanche era passato inosservato. Frears ha lavorato con Judi Dench quattro volte: la prima per un film tv del 1983, “Saigon: Year of the Cat”, poi in Lady Henderson presenta (2005), Philomena nel 2013 ed ora i due ritornano insieme con Vittoria e Abdul. Judi Dench, classe 1934, ovvero un’anziana signora di 83 anni, è un’attrice che tutti riconosceranno o che sicuramente avranno già preso in simpatia, era tra l’altro nei vari 007 con Daniel Craig (Casino Royale, Quantum of Solace, Skyfall, Spectre) ma anche in molti altri film ben in vista che per qualche motivo necessitassero di una signora austera: Nine di Rob Marshall (ispirato ad 8 e 1/2 di Fellini), Marilyn(quello con Michelle Williams, del 2011), Orgoglio e Pregiudizio (2005), Chocolat (2000), Shakespeare in Love (1998, qui valso alla Dench un premio oscar come Miglior attrice non protagonista). E’ la seconda volta che Judi Dench interpreta la regina Vittoria, dopo La mia regina (Mrs Brown, 1997) di John Madden, che è lo stesso regista di Shakespeare in Love.
Ma ritornando a Vittoria e Abdul, ecco perché vedere questo film:
– Per avere un po’ di ripetizioni di storia. E’ ambientato in Inghilterra tra il 1887 e il 1901, quando l’impero britannico comprendeva anche le Indie.
– Per avere una nuova interpretazione della storia che già sappiamo. Nel 2010 i diari di Abdul Karimvengono scoperti, e da qui viene estratto quanto narrato in questo film. E’ la storia dell’amicizia tra la Regina Vittoria d’Inghilterra e Abdul Karim, un servitore indiano. Il film è tratto dall’omonimo libro di Shrabani Basu.
– Per scoprire e incuriosirsi sui dettagli della cultura indiana così come ne era rimasta affascinata ai tempi la regina Vittoria.
Ad esempio, sapete che in India una cospicua parte della popolazione è musulmana?
O ancora, che l’hindi non è l’unica lingua parlata in India, ma quella riservata ai nobili è l’urdu? E’ infatti questa che Abdul decide di insegnare per prima alla regina Vittoria.
Sapete cos’è un munshi, e che Abdul diventa il munshi della regina (praticamente il suo maestro)?
Nel film, la regina Vittoria viene presentata come una vecchia sovrana, oramai intristita ed annoiata dagli intrighi di corte e dalle inutili mansioni che è costretta a svolgere quotidianamente, quasi tutte celebrative e prive di significato. E’ rimasta sola, vedova e con dei figli interessati solo al potere ed in questa vecchiaia ritrova sollievo e buona parte della felicità perduta grazie all’amicizia con Abdul.
Diciamo che c’è anche un po’ di sospetto di gerontofilia in tutto questo film (non mancano infatti gli apprezzamenti sull’aspetto del servitore indiano), ma Judi Dench in fondo è una brava nonna e quando scopre che Abdul è sposato chiede subito che porti in Inghilterra anche sua moglie, sfatando così nello spettatore ogni malizia. Abdul è musulmano e sua moglie si presenta in Inghilterra avvolta da un velo nero proprio come le donne del Medio Oriente che siamo abituati a vedere.
C’è da dire inoltre che alcune scene nel film sono molto belle, e dalla fotografia curata: il picnic sotto la pioggia in Scozia, con i tavolini nell’erba verde e un temporale in procinto di iniziare, ed anche il viaggio in treno a Firenze. Ma non solo quelli. C’è molto di inglese in certi paesaggi verdi che da soli valgono l’intera visione del film.
Il film però – nonostante sia molto, molto buono – bisogna ammettere che non sia adatto ai più giovani. E’ uno di quei film ben fatti, che non annoiano, proprio per niente, ma che può entusiasmare senza ombra di dubbio solo spettatori dai 50 anni in su, è didattico e ideale ad essere proiettato nelle scuole. Chi è in cerca di emozioni forti forse dovrebbe riversare la propria attenzione su altro. Ma non è forse un’emozione forte anche quella di infilarsi in una sala vuota, praticamente godersi una proiezione privata, immersi in una storia che se avessimo voluto cercarla o inventarla da soli non ci saremmo riusciti mai?
In fondo, Vittoria e Abdul è sicuramente un film singolare, che inserisce nell’immediato in un’atmosfera e in una poesia atipica (l’amicizia tra una vecchia signora e un indiano-musulmano) senza annoiare. Senza farvi uscire dalla sala. Senza metterci del sesso o strani equivoci. Senza attori che siano attraenti. Guardate che non è poco.
(Valentina Guerriero)