Francis Henry Taylor, direttore del Metropolitan Museum di New York, scrisse in “Artisti principi e mercanti” (Einaudi 1954) che le prime collezioni nacquero per motivi religiosi, Mina Gregori ricorda che «la vita delle opere d’arte sussiste fino a quando sono desiderate e possedute», ovvero sino al momento in cui «non si spezza il filo che le lega, pur passando di mano, ai collezionisti che le hanno amate».
Mina Gregori ha colto nel segno, per quanto mi riguarda. Il segno distintivo del nobile e dell’uomo ricco è avere una collezione, o quantomeno una passione. Senza i collezionisti l’arte sarebbe orfana e triste.
Una collezione di opere d’arte, di testi antichi, di orologi, di monete, piuttosto che la passione per le auto d’epoca, per le “supercars”, per le barche e così via.
Io, in primis, a diciannove anni acquistai una meravigliosa pala d’altare ad icona della Madonna di Montevergine. Meravigliosa. Ne ho prese diverse, anche russe. Sono poi passata agli oggetti sacri, busti di madonne, mani e piedi di santi, ex voto ecc.
Attualmente mi sto dedicando all’arte contemporanea e all’arte moderna, precisamente il pop surrealismo, di cui il padre è Mark Ryden, incomprabile.
Per non parlare dei cataloghi numerati degli artisti, quelli incomprabili appunto. Ne ho almeno cinquanta.
In fondo è vero, i soldi ci rendono felici, ci viziano e visto che “la roba bella costa e la roba brutta costa meno”, compriamo tutto ciò che ci soddisfa o che ci fa apparire con gli altri interessanti e sicuramente benestanti. Il superfluo diventa indispensabile. Per molti lo status sociale è contraddistinto dal modo di vestire e dalle auto, per altri dal collezionare ARTE.
Le opere d’arte fanno vivere, fanno sognare. In molti provocano addirittura la sindrome di Stendhal, quasi un estasi patologica, al cospetto di tale straordinaria bellezza, specialmente se esse sono compresse in spazi limitati.
I libri antichi li guardi, li tocchi, li annusi, li sfogli, li leggi. Le prime edizioni, ad esempio, sono il mio cruccio. Potrei continuare per ore.
Il vero collezionista ha un desiderio irrefrenabile di possedere, a volte non ha fine, ecco perché trovo perfetta la definizione che da di loro Balzac in un passo delle Illusioni Perdute “Un de ces maniaques appelés collectionneurs”, “Quei maniaci chiamati collezionisti “.
Beatrice Donatella Gigli A.