L’estate è caratterizzata dai festival estivi e il Meeting del Mare è sempre stato uno dei più appariscenti delle nostre coste. E’ l’idea di festival che in un profondo sud, per generazioni nate e cresciute dopo gli anni ’80 e ’90, è sempre qualcosa di lontano e distante, da ritrovare al di fuori dei nostri confini, soggetto a rielaborazioni, reintrepretazioni a misura dei nostri anni. Il Meeting del Mare in fondo ci ha provato, negli anni, a dare quell’atmosfera di festival che al sud nel dopoduemila non ci appartiene praticamente mai. Cose come l’Heineken Jammin’ Festival, il Wacken, il Gods of Metal, il Monster of Rock, lo Sziget, ma anche il ‘semplicissimo’ Miami, sono distanti anni luce da noi al punto da non ricordarci a volte nemmeno della loro esistenza. Il Sud Italia, la Campania in particolare, vive di piccoli festival indipendenti e quasi sempre gratuiti che negli anni hanno conquistato la loro dimensione, si sono ingranditi, sono diventati meglio degli stessi concerti a pagamento con gli stessi identici artisti che sono organizzati durante l’inverno nelle città. Il Meeting del Mare è uno di questi, uno dei capisaldi del programma estivo, presente da oramai vent’anni sulle coste del Cilento. Dal 2 al 4 giugno, a Marina di Camerota, si sono svolti 3 giorni di festival, con le tende sulla spiaggia, tutto rigorosamente gratuito, con i giovani, molti di loro minorenni, la musica, la sabbia, i gelati, spendere pochissimo, la democrazia. Marina di Camerota è vincente. Abbiamo intervistato molti dei ragazzi che erano arrivati lì al Meeting del Mare: non venivano da molto lontano, la quasi totalità dei ragazzi veniva dalla Campania. Da Salerno, Napoli, Avellino, qualcuno dalla Basilicata. Un piccolo gruppo da Reggio Calabria. Una buona percentuale veniva dalla provincia di Avellino, da piccoli paesi dove c’è ancora entusiasmo per le idee pure, come quella di accamparsi quattro giorni, o come quella di ascoltare musica, qualunque essa sia. Ragazzi di paesi come San Mango, Grottaminarda, Tufo, erano quelli che popolavano il Meeting del Mare. Ma molti venivano anche dai licei di Napoli e di Salerno. Pagelle raccolte, tutti promossi, liceo chiuso, ci si vede a settembre. L’età media? Dai 16 ai 23 anni. Qualche over 30, ma decisamente una minoranza, nonostante si tratti di una fascia di età numericamente sempre molto presente ai festival. Ma non qui. D’altronde il programma era quello che era: un festival più che altro destinato a gruppi emergenti, anche questi giovanissimi.
Fatta eccezione per I Cani, dall’alto dei 30 anni di Niccolò Contessa, sul palco sabato 4 giugno come headliner. Un nome di punta ma neanche così tanto, che di certo non riesce da solo a essere di richiamo per tutto il Sud Italia. Una band che negli anni ha riscosso un ottimo successo della critica, dopo un esordio un po’ più anomalo e travagliato avvenuto nell’estate del 2011, in cui Il sorprendente album d’esordio dei cani fece parlare molto di sé e non necessariamente bene, preceduto dall’uscita improvvisa del singolo Hipsteria su Youtube, arrogante, provocatorio, che non si sapeva a che gioco volesse giocare, e che di certo un po’ cavalcava le mode e sembrava utilizzarle per raggiungere uno scopo personale.
Il progetto di Niccolò Contessa, che era partito con la descrizione e l’analisi di comportamenti e disillusioni delle ultime generazioni (Il sorprendente album d’esordio dei cani, 2011) e che s’è risolto progressivamente in una ricerca di qualcosa di più all’interno di se stessi (nei successivi dischi, Glamour, Aurora) ha conquistato uno spazio man mano sempre più ampio di quello di partenza, dimostrando di non avere poi così tanto da dividere con le meteore del mercato indie del momento e collaborando anche alla colonna sonora di alcuni film, quali “La felicità è un sistema complesso” di Gianni Zanasi e “The Pills – Sempre meglio che lavorare“, nel quale è stato incluso “Questo nostro grande amore”, primo brano di Aurora, che è l’ultimo e terzo e ultimo album de I Cani, uscito a fine gennaio 2016.
Sebbene I Cani abbiano fatto quasi tutto sold out alle date di Livorno, Firenze e alle altre due o tre date immediatamente successive all’uscita di Aurora, il Sud Italia – e forse è un bene – è ancora distaccato da generi di nicchia come questo, ricerca cose più semplici, di cui Marina di Camerota è fondamentalmente l’espressione. Il mare, i bar, i locali, una città a misura di giovani (in potenza, una Gallipoli 2.0, che è considerata, fra i giovani, la città dei giovani).
Al Meeting del Mare, per le sue proporzioni, per il suo potenziale, ammettiamolo, c’era pochissima gente. Quasi nessuno ad ascoltare i primi gruppi del sabato sera. “Il festival? Sì, mi sono divertito, ma non mi piaceva il genere.” In molti hanno risposto così. “Ma siete venuti per il festival?” “Sì, siamo venuti per il festival.” Ma il festival inteso come luogo d’incontro, non come musica. “I Cani? Suonano da Cani”. Non a tutti il concerto interessava davvero, il Meeting del Mare è stato per alcuni poco più di un pretesto. La divisione che una volta avveniva tra i cultori della musica dance e gli amanti della musica rock oggi è più che altro una convenzione. I ragazzi, indifferentemente dal genere musicale d’appartenenza, oggi vogliono le stesse cose. La musica è un contorno. E’ un’occasione per stare insieme, spesso in gruppi rigorosamente di soli ragazzi o di sole ragazze. Ma c’erano anche i fan di Niccolò Contessa, specialmente nelle prime file, ragazze giovanissime che resistevano al pogo alle loro spalle per le canzoni de I Cani. Nel pogo tutti bravi ragazzi, anche loro giovanissimi, ma con boccioni di vino, bottiglie e tutto ciò che potesse contribuire ad arricchire il loro personale cliché di concerto, che avevano immaginato a lungo mentre erano ancora a scuola, a lezione all’università ai primi anni, mentre erano nei loro piccoli paesi di poco più di 1000 abitanti, seduti ai piedi della fontana di pietra nella piazza principale, mentre lo dicevano ai cugini, mentre erano sul pullman che li portava in Cilento, loro quel festival, quei giorni, già li scrivevano nei loro pensieri. Gli addetti della sicurezza controllavano costantemente che non accadesse niente, e in effetti non accadeva quasi niente. Si facevano talvolta restituire le bottiglie vuote che avrebbero potuto creare problemi nella folla. Il pogo era vivace ma gestibile, innocuo, ingenuo. Fermarlo sarebbe stato come sgridare un cane che vuole saltare addosso al padrone per fargli le feste, e questo il sindaco di Camerota, gli organizzatori, la sicurezza, l’hanno capito bene. Un esempio? Alla luce del giorno seguente un ragazzo ci mostra un morso sul braccio, asserendo di averlo ricevuto da una ragazza che tentava di difendersi nel pogo. La ragazza era assorta nel concerto, lui era felice nel pogo prima e dopo il morso, comprendendo che era stata un’onesta tecnica di autodifesa. Nessuna preoccupazione. Nessun problema. Non ci si riesce a preoccupare di nulla a Marina di Camerota, si riesce solo a rilassarsi, mentre si mangia sul mare senza ansie a prezzi contenuti, e speriamo resti così per tutta l’estate e per i prossimi vent’anni.
Il sindaco, sul palco, ha ringraziato i ragazzi che erano con le tende lì sulla spiaggia da alcuni giorni per il loro comportamento corretto, per non aver creato nessun danno, per non aver lasciato nulla sulla spiaggia. Dopo il concerto, la città ha continuato a vivere fino alle 4, alle 5 di mattina, come se fosse stato giorno, in assoluta tranquillità. Bar, ristoranti, gelaterie aperte, come in un paese dell’estero popolato dai soli studenti di una scuola estiva, che bevono un po’ ma non diventano mai veramente tristi né violenti. Un paese dell’estero per i ragazzi, quelli bravi, quelli che provano a non esserlo, con alcool, camping e (poche) droghe leggere, ma che in fondo lo sono sempre, perché per essere cattivi ci vuole ben altro.
Valentina Guerriero