Le misure dell’incandidabilità, della decadenza e della sospensione non hanno «carattere sanzionatorio». E la scelta operata dal legislatore «nell’esercizio della sua discrezionalità non ha superato i confini di un ragionevole bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco». Nella sentenza n. 236 depositata oggi in cancelleria, la Corte Costituzionale spiega perché il 20 ottobre scorso dichiarò non fondata la questione di legittimità sollevata dal Tar della Campania sulla legge Severino nell’ambito del procedimento sul sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Al vaglio della Consulta era in particolare l’applicazione retroattiva della norma che prevede la sospensione dall’incarico per sindaci, assessori, presidenti o consiglieri provinciali condannati con sentenza non definitiva.
Le misure derivanti dalla Severino non sono sanzioni penali
«Questa Corte – si legge nel verdetto – ha chiarito che tali misure (incandidabilità, decadenza e sospensione, ndr) non costituiscono sanzioni o effetti penali della condanna, ma conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate o per il loro mantenimento». Non rispondono dunque ai parametri dell’art. 25 della Costituzione, in base al quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. E, «al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 25 della Costituzione», «le leggi possono retroagire, rispettando una serie di limiti» che «attengono alla salvaguardia, tra l’altro, di fondamentali valori di civiltà giuridica».
La sospensione dalla carica risponde a esigenza cautelare
Il legislatore, osservano i giudici costituzionali, «operando le proprie valutazioni discrezionali, ha ritenuto che, in determinati casi, una condanna penale precluda il mantenimento della carica, dando luogo alla decadenza o alla sospensione da essa, a seconda che la condanna sia definitiva o non definitiva». E così come «la condanna irrevocabile può giustificare la decadenza dal mandato in corso, per le stesse ragioni la condanna non definitiva può far sorgere l’esigenza cautelare di sospendere temporaneamente l’eletto da tale mandato». Dunque, il «primo presupposto argomentativo della questione sollevata dal Tar Campania, ossia la natura sanzionatoria della misura, prevista dalla norma censurata, della sospensione dalla carica si rivela insussistente», afferma la Corte.