Si scende in campo in prima linea. Il Covid non può fermare l’istanza di attenzione sul bullismo e sulla violenza in genere. Attivare forme di denuncia sociale su fatti ed eventi che colpiscono giovani, donne e anziani. Al di là di una severa e attiva riflessione bisogna intervenire concretamente.
I giovani rinchiusi nelle loro solitudini adolescenziali, privi di limiti, non conoscono modalità conciliative, comunicative e di contenimento della rabbia, del senso di responsabilità nel denigrare e ferire “deliberatamente” l’altro.
Minacciare di morte un compagno significa non avere una coscienza critica, matura e mediatica. L’unico mezzo conosciuto per imporre la propria identità e forza è usare la violenza.
I tempi di reazione sono immediati, non c’è più la predisposizione all’ascolto e alla comprensione. Si agisce senza contare, senza pensare, senza capire le ragioni, le azioni che hanno pur sempre una conseguenza, in violazione dell’altrui sensibilità.
Imporre, offendere, serbare rancore, nutrire odio sono sentimenti scatenanti che se non direzionati creano disagi e patologie.
Chi fa bullismo va aiutato e supportato, ma chi è vittima di bullismo ha diritto a non subire, a essere tutelato. Accompagnato per tanto tempo. Gli effetti nefasti sono incalcolabili e imprevedibili, a distanza di tempo si fanno pesanti e influiscono negativamente sulle relazioni e nel rapportarsi a se stesso.
Non giustifichiamo mai la violenza. Mai!
Diamo seguito ad azioni di impatto sulle vicende, sosteniamo le famiglie, aiutiamo i ragazzi a prendersi le proprie responsabilità, a interagire con gli altri, a fare un lavoro di gruppo. Il branco è forte, una comunità lo è altrettanto.
Tutti ci dobbiamo costituire parte civile in una storia che somiglia ad altre. Sono i nostri figli. Nel bene e nel male siamo chiamati a intervenire, a supportare questi ragazzi. Basta!
Come sociologia sento la necessità di interrogarmi sulle motivazioni ma anche di definire i contorni della non più sostenibilità all’isolamento di alcune emergenze sociali che destano preoccupazione crescente, come bullismo e cyberbullismo. Abbiamo dimostrato come la violenza parte dalle nostre case, da noi genitori che non affrontiamo i problemi con i figli, ci giriamo tante volte dall’altra parte, prendiamo difese assurde e non prendiamo sul serio gli atti di bullismo. Passano per scherzi. Senza, poi, rendersi conto che non è così. La reazione è spropositata rispetto alle reali motivazioni che spingono i ragazzi a risolvere le loro scaramucce in modo violento.
Manca la “socialità controllata”, l’empatico sentire comune, la repulsione a comportamenti violenti. Arrabbiati ci scagliamo verbalmente senza nessuna remora a offendere e ad aggredire.
Abbiamo smarrito il contatto con l’altro, in buona sostanza e, spudoratezza, abbiamo considerato gli altri puri “oggetti”.
Alla base si deve intervenire sull’educazione e sulla gestione delle emozioni. Sulle cause che alimentano “cattive abitudini”, sulle capacità di accogliere l’altro, lontano da metri valutativi che riguardano l’aspetto fisico, caratteriale e valoriale. Analizzare e indagare le interferenze sbagliate che albergheranno dentro di noi, guardarsi allo specchio, far emergere le contrarietà e bloccare i meccanismi che spingono ad agire male. A cambiare la visione della società che schiaccia e giudica con le sue imposizioni, a prendersi la responsabilità individuale. Imparare ad accettare le persone per quello che sono, in quanto non sono l’estensione dei nostri desideri e voleri.
Non abbiamo soluzioni univoche, perché abbiamo sperimentato che ogni caso è a sé e ogni risoluzione è gestita secondo condizioni ambientale e personali. La risorsa umana ha mille sfaccettature. La prevenzione resta pur sempre una componente privilegiata e meno costosa.
La velocità ad assumere comportamenti sbagliati viaggia sulla rete, in tempi di Covid, come in tempi normali e le minacce di morte o di essere aggrediti sono la sintomatologia che dentro abbiamo tanto da riportare a galla, fuori dai “manicomi intimi” che abbiamo istituito e che mal si conciliano con le pratiche di benessere.
In prima linea, la Sociologia è all’opera e deve scardinare le tante mancanze e attivare gli anelli di congiunzione tra l’essere e il non essere, perché è meglio per tutti vivere la pace che la guerra e a privilegiare il “Contatto 2.0”.
Il motto che ci ha accompagnato in questi anni “Meglio amici che bulli”.