Sono trascorsi ormai più di tre mesi dall’entrata in vigore degli ultimi decreti attuativi del Jobs Act, con cui é cambiata anche la disciplina dei controlli a distanza sui lavoratori, ma l’acceso dibattito politico e le polemiche che vi hanno fatto eco attraverso i media, non hanno contribuito a fare ancora la necessaria chiarezza sul nuovo quadro giuridico, che da una parte apre alla possibilità di maggiori controlli del datore di lavoro, ma dall’altra conserva i fondamentali diritti a favore dei dipendenti sul rispetto della loro dignità, nonché sulle tutele del Codice della Privacy.
Mettendo mano ad una legge scritta 45 anni fa, l’intento del Jobs Act è quello di rendere lo Statuto dei Lavoratori più adeguato al contesto tecnologico del mondo del lavoro attuale rispetto a quando fu introdotto nel 1970, anche se pare che molte aziende stiano ancora faticando a districarsi in una materia complessa, che si intreccia tra disciplina giuslavoristica, normativa privacy, e codice penale.
“Se le aziende dovessero continuare a tergiversare invece di affrontare la questione con la dovuta diligenza, vedremmo purtroppo un’esplosione di vertenze e procedimenti innanzi al Garante della Privacy – afferma il presidente di Federprivacy, Nicola Bernardi – In tal caso, la gestione dei contenziosi diventerà una criticità per chi oggi preferisce chiudere gli occhi e pensare a suo rischio e pericolo che il Jobs Act abbia liberalizzato senza se e senza ma i controlli sui lavoratori”.
In effetti, anche utilizzare con superficialità comuni strumenti di lavoro come smartphone e tablet per verificare l’operato dei dipendenti espone a pesantissime sanzioni del Garante, ma soprattutto – oggi, dopo la riforma, ancora più di ieri – può portare i datori di lavoro a vedersi dichiarare comunque inutilizzabili le prove raccolte per fini disciplinari o per contenziosi con ex dipendenti.
In che modo le aziende debbano attivarsi per operare correttamente ed evitare le violazioni del Codice della Privacy e dello Statuto dei Lavoratori, lo sintetizza l’avvocato Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy:
“Con l’innovazione del Jobs Act, tutte le aziende devono fare tre cose prima possibile: innanzitutto, censire gli strumenti per capire cosa richieda ancora autorizzazioni/accordi o no, secondo aggiornare i disciplinari sull’uso degli strumenti e sui controlli, terzo rivedere le policy privacy. Proprio sulla privacy i datori di lavoro rischiano di scivolare in futuro, se non faranno le cose bene, malgrado le maggiori aperture del nuovo art. 4 dello Statuto dei Lavoratori”.
Viste le necessità di tracciare un quadro nitido sulla materia, è stato organizzato un workshop a Milano per il prossimo 28 gennaio su “Privacy e controllo sui lavoratori alla luce dei decreti attuativi del Jobs Act”, promosso da AFGE e Federprivacy, al quale interverranno noti esperti della materia come l’ex Garante Francesco Pizzetti, il presidente dell’ Istituto Italiano per la Privacy Luca Bolognini, Antonio Ciccia di Italia Oggi, e l’ex ufficiale dei Carabinieri Angelo jannone.
Nel frattempo, è stato avviato anche un sondaggio online sul sito di Federprivacy, rivolto ai professionisti per conoscere la loro percezione generale circa la nuova disciplina sui controlli a distanza sui lavoratori.