“Rivolgo un appello urgente al governo e ai parlamentari affinché si attivino per bloccare i protesti, i pignoramenti e le vendite all’asta che rischiano di venire eseguiti fin da lunedì 31 marzo. Nelle more di un nuovo provvedimento o di una nota interpretativa che estenda le sospensioni previste per la ex zona rossa a tutto il territorio nazionale, chiediamo che il governo e i suoi rappresentanti territoriali si attivino con urgenza per fermare questa fortissima ingiustizia. Nella sola provincia di Matera i protesti sono 150, e almeno il triplo nella provincia di Potenza. Immagino che una simile situazione si ritrovi in molte province italiane. È auspicabile, quindi, che le Prefetture intervengano per conto del governo per bloccare le banche e rassicurarle sul fatto che il governo provvederà a colmare questo vuoto normativo con il nuovo decreto di aprile. Tutti i miei colleghi dovrebbero sollecitare un intervento simile, per evitare che il virus della burocrazia porti al collasso migliaia di aziende e provochi una catastrofe sociale ed economica senza precedenti”.
Lo ha dichiarato il senatore Saverio De Bonis, nell’evidenziare il vulnus presente nei provvedimenti normativi, che non prevedono esplicitamente analoghe sospensioni a quelle previste per determinati Comuni e aree della ex zona rossa anche per il resto del paese, nonostante tutta l’Italia sia stata dichiarata zona rossa, o meglio “zona protetta”.
In quest’ultimo periodo – come ben sappiamo – all’emergenza sanitaria si è aggiunto, a danno di imprese e liberi professionisti, il problema del blocco dell’attività economica in essere. Tale pregiudizio, legato non solo alla diffusione del coronavirus, ma anche alle decisioni politiche di limitare gli spostamenti e chiudere tutte le attività non considerate “essenziali”, si sta rivelando davvero gravoso per i cittadini che operano nel mondo del commercio o dell’impresa e industria in generale. Le ripercussioni di tale situazione sono rintracciabili anche in materia di assegni e nello specifico in caso di emissioni dei cosiddetti “assegni post-datati“.
Nella prassi dei rapporti commerciali, succede però che il debitore immetta nell’assegno una data successiva e posteriore rispetto alla data di materiale consegna del titolo di credito all’intestatario/creditore. In tali circostanze, l’assegno è detto post-datato. Fino ad alcuni anni fa tale pratica era considerata un vero e proprio reato, ma a partire dal Decreto Legge n. 507 del 1999, l’emissione di tale assegno è stata depenalizzata, con la conseguenza che oggi tale pratica rientra nel piano dei meri illeciti amministrativi: è infatti un’evasione dell’imposta di bollo. Anzi, la post-datazione come illecito amministrativo impone il versamento dalla tassa evasa ed anche possibili sanzioni amministrative.
Nella situazione attuale, dominata dall’emergenza coronavirus, ecco allora emergere conseguenze non di poco conto anche per tale categoria di titoli di credito, tanto da ipotizzarsi una sanatoria assegni post-datati. Infatti, con la chiusura obbligatoria delle attività, fabbriche, studi e negozi sparsi per l’Italia, ora molti lavoratori si trovano in difficoltà anche economica: nel periodo anteriore alla diffusione del morbo, avevano infatti utilizzato lo strumento dell’assegno post-datato per pagare i propri fornitori abituali – ricordiamo che lo strumento è teoricamente ancora vietato, ma ciò nonostante è usato nella prassi dei rapporti economici – e adesso non riescono a onorare tali assegni, perché senza la necessaria liquidità.
Detto in altre parole, qualora il beneficiario andasse in banca per incassare la somma collegata, essa si troverebbe costretta a comunicare al creditore che manca la provvista idoneità, vale a dire il denaro destinato a coprire ed a saldare il debito del cliente verso il fornitore. Le conseguenze per il debitore sarebbero così inevitabili.