Fa discutere la proposta leghista per ribadire l’obbligo in tutti gli edifici pubblici
Duemila anni dopo è ancora scontro sul Crocifisso. E sulla croce alla quale fu inchiodato. Esibito in campagne elettorali, espulso (nelle intenzione di alcuni) da aule scolastiche e stanze d’ospedale, evocato in altre Aule per giustificare proclami spesso tutt’altro che cristiani, bestemmiato in manifestazioni di pessimo gusto, imposto senza crederci, il simbolo per eccellenza di riconciliazione e rispetto infuoca ancora oggi il dibattito. Un dibattito viziato spesso dal fatto che, del Crocifisso, i due estremismi in guerra alla fine sanno ben poco e del resto non è Lui a interessare loro, ma la valenza propagandistica che gli attribuiscono. «Usare il Crocifisso come un Big Jim qualunque è blasfemo», ha twittato ieri padre Antonio Spadaro, direttore gesuita di “Civiltà cattolica”, «la croce è segno di protesta contro peccato, violenza, ingiustizia e morte – ha ricordato –, non è mai un segno identitario. Grida l’amore al nemico e l’accoglienza incondizionata. È l’abbraccio di Dio senza difese. Giù le mani».
Big Jim, la bambola maschile tutta muscoli e snodabile, adattabile a qualsiasi posizione e circostanza, è immagine cruda quanto drammatica di un Cristo che oggi in croce ci torna tutti i giorni, brandito come arma e usato come alibi per respingere il prossimo. Esattamente sull’uso improprio di quel termine, “identitario”, sottolineato da padre Spadaro, fa perno oggi una presunta “difesa” del Crocifisso che in realtà è un’offesa: «Ora in tutti gli edifici un bel crocifisso obbligatorio regalato dal Comune!», aveva trionfato su Facebook nel 2014 il neo sindaco leghista di Padova, Massimo Bitonci, dopo la vittoria elettorale,e ancora nel Padovano nel marzo scorso il sindaco leghista di Brugine, Michele Giraldo, regalava croci alle scuole del paese ma con parole minacciose: «Chi non rispetta determinati simboli deve adeguarsi, se desidera essere un nostro concittadino», e chi ha orecchie per intendere intenda… Volendo gli esempi si sprecano. Così come da parte opposta si sprecano i deliri delle croci violate nelle piazze da certo femminismo (che offende le donne stesse) o dagli eccessi in stile gay pride, o ancora da chi in nome di un frainteso “diritto alla laicità” pretende di esiliare la croce.
A rilanciare la battaglia è ora la Lega, che già il 26 marzo, poco dopo l’insediamento, ha presentato alla Camera una proposta di legge firmata da Barbara Saltamartini e intitolata “Disposizioni concernenti l’esposizione del Crocifisso nelle scuole e negli uffici delle pubbliche amministrazioni”. Cinque articoli che sostengono l’obbligo di esporre il simbolo cristiano nelle scuole, nelle università, nelle pubbliche amministrazioni, eccetera, e fissa sanzioni fino a 1.000 euro per chi “rimuove in odio ad esso l’emblema della croce” o lo vilipende o rifiuta di esporlo. Nel testo si spiega il principio secondo il quale un simbolo di per sé religioso debba entrare nei luoghi della laicità: “Emblema di valore universale, è riconosciuto quale elemento essenziale del patrimonio storico dell’Italia, indipendentemente da una specifica confessione religiosa“. E “cancellare i simboli della nostra identità, collante indiscusso di una comunità, significa svuotare di significato i princìpi su cui si fonda la nostra società”. Così “è fatto obbligo di esporre in luogo elevato e ben visibile l’immagine del Crocifisso”, anche nelle Aule dei consigli regionali, provinciali e comunali, nei seggi elettorali, nelle carceri, nelle stazioni e nei porti. Alla base c’è un concetto: “Non si ritiene che l’immagine del Crocifisso possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni”. Insomma, esporre la croce da una parte richiama i valori universali della nostra civiltà, dall’altra non calpesta la libertà di chi ha altri credi o è ateo.
Decine di norme, sentenze e pareri hanno condotto fin qui. Bisogna andare indietro nel tempo, fino alla nascita dell’Italia, per attingere alle origini del secolare dibattito. L’obbligo di appendere il Crocifisso nelle scuole era previsto in un regio decreto del 1860 del Regno di Piemonte e Sardegna. Toccherà poi al Fascismo adottare misure volte a far rispettare tale obbligo, ma la croce sarà declassata allo stesso rango della bandiera e del ritratto del re. E nel regio decreto 1.297 del 1928 il Crocifisso figura tra gli “arredi” e il “materiale” occorrente nella scuola…
Particolarmente importante, invece, è la sentenza della Corte Costituzionale numero 203 del 1989, secondo la quale il principio di laicità ha sì valore costituzionale, ma non implica indifferenza da parte dello Stato verso le religioni, bensì garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione. Sarà poi il ministero dell’Istruzione nel 2002 a scrivere nella direttiva numero 2.666 che “la presenza del Crocifisso nelle aule non può essere considerata una limitazione della libertà di coscienza garantita dalla Costituzione, in quanto non evoca una specifica confessione, ma costituisce unicamente un’espressione della civiltà e della cultura cristiana, dunque fa parte del patrimonio universale dell’umanità”.
Nel 2006 il Consiglio di Stato afferma poi che «l’esposizione obbligatoriadella croce nelle aule scolastiche pubbliche» non solo non lede «il principio supremo della laicità dello Stato», ma addirittura evoca «i valori che quello stesso principio racchiude». Insomma, il Crocifisso per la sua alta valenza di rispetto raffigura proprio i valori su cui poggia la stessa laicità dello Stato.
Vien da dire che, sdoganata come “simbolo della nostra identità”, “parte integrante delle tradizioni” come fosse un dettaglio folcloristico, slegata quindi da ogni “specifica confessione religiosa” (citazioni dalla proposta di legge Saltamartini), la croce ha ancora diritto di asilo in Italia. Comunque è ben presente nella maggior parte dei Paesi membri dell’Europa, anche quelli che non hanno dedicato al problema una specifica disciplina: solo la Francia, insieme a Macedonia e Georgia, vietano espressamente i simboli religiosi nelle scuole.
Non scordiamo, però, che derive in stile giacobino talvolta emergono anche in Italia, dove ha fatto scuola la famosa causa intentata dalla signora di origini finlandesi Soile Lautsi, che nel 2006 fece ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (Cedu) contro la Repubblica Italiana rea di aver esposto la croce nell’aula scolastica dei suoi due bambini, ad Abano Terme, e quindi aver violato la “Convenzione per la salvaguardia delle libertà fondamentali“. Nel 2009 in primo grado la Corte le diede ragione, ritenendo che fra i molti significati che il Crocifisso può avere è predominante quello religioso, dunque la sua presenza addirittura turberebbe emotivamente gli alunni di altre religioni o ancor più gli agnostici. Vale la pena soffermarsi su quest’ultima assurdità: la Cedu sostenne nientemeno che la libertà di non-religione non si limita alla mancanza di insegnamenti religiosi ma si estende anche ai simboli che essi esprimono…
Bene fece allora il governo italiano a ricordare come la croce, non a caso raffigurata su molte bandiere europee, rappresenta anche i valori che fondano la democrazia e la civiltà occidentale. Infine nel marzo del 2011, con sentenza definitiva per tutti e 47 gli Stati membri, a Strasburgo la Grande Chambre ha ribaltato la sentenza: l’esposizione del Crocifisso non viola alcun diritto e di conseguenza la scuola pubblica italiana non sta imponendo alcun tipo di indottrinamento religioso.
Difficile dire che futuro avrà la proposta Saltamartini. Certamente il dibattito politico infuria. «Un governo che si rispetti dovrebbe innanzitutto dotare le scuole di insegnanti adeguatamente retribuiti e soprattutto di edifici sicuri», ha twittato Laura Boldrini, rispolverando a dire il vero lacune ascrivibili a decenni di governi precedenti. «Non mi meraviglio, Boldrini preferiva la distribuzione del Corano a scuola», ritwitta il leghista Alessandro Pagano, accusato a sua volta di «montare bufale per inquinare il dibattito politico»