Sant’Antonio abate, nacque a Coma (odierna Qumans) in Egitto nel 251 d.C., da una ricca famiglia di agricoltori cristiani. Rimasto orfano prima dei 20 anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare, fece sue le parole di Gesù: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri» (Mt 19,21). Così, dopo aver distribuito i suoi beni ai poveri e affidata la sorella ad una comunità femminile, seguì la vita solitaria che già altri eremiti facevano nei deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità. Una scelta totale, scandita dalla meditazione e dalla preghiera. Antonio cercò un luogo solitario ai margini del deserto, lontano dalla città natia. Mentre era nel deserto, si racconta che ebbe una visione o un sogno in cui Antonio vide un eremita come lui che passava le giornate dividendo il tempo tra la preghiera e l’intreccio di una corda. Da questa immagine l’eremita capì che, per essere “perfetti” la povertà e la preghiera non bastavano, e che l’uomo doveva dedicarsi ad un lavoro. Così ispirato continuò a vivere da eremita, accompagnando la preghiera con il lavoro, i cui frutti gli servivano per procurarsi il cibo e per fare la carità ai più bisognosi. Ma questa vita santa non lo difendeva dalle tentazioni che furono fortissime unite ai dubbi sulla validità della vita solitaria. Antonio non riuscì a trovare requie, perché il diavolo iniziò a tentarlo con seduzioni di ogni tipo, che lo scrittore francese Gustave Flaubert descriverà magistralmente nel 1874 in una delle sue opere più note, La tentazione di Sant’Antonio (La tentation de Saint’Antoine). Tanti artisti di tutti i tempi hanno prodotto opere per rappresentare tali seduzioni: Paul Cézanne, Joos Van Craesbeeck, Salvador Dalì, Theodore Chasseriau, Jeronymus Bosch, Jan Brueghel, Salvatore Rosa, Manuel Niklaus, Matthias Grunewald, David Teniers il Giovane, Domenico Morelli, Max Ernst, Félicien Rops, Giovanni Girolamo Savoldo,Thomas Apshoven, Giambattista Tiepolo, Pieter Huys, Giuseppe Maria Crespi detto lo Spagnoletto, Giorgio Dante. La via della santità è lunga quanto dolorosa anche perché le lusinghe del maligno sono subdole e puntano sulle più classiche debolezze del genere umano, a cominciate dalla ricchezza, che il nostro asceta rifugge. Il diavolo prova con la bellezza e la sensualità, facendo comparire al cospetto di Antonio una delle più decantate figure femminili dell’antichità, la regina di Saba: «Se tu posassi un dito sulla mia spalla sentiresti come una striscia di fuoco nelle vene». Antonio resiste anche a questa tentazione e segnandosi con il segno della croce, ma i demoni non desistono costringendolo ad abbandonare il suo rifugio per un antico sepolcro, dove la lotta continua senza tregua, minando nel fisico l’eremita che si trova costretto ad abbandonare quel luogo senza pace per ritirarsi tra le rovine di un castello abbandonato. Nel 311, durante la persecuzione dell’imperatore Massimino Daia, Antonio tornò ad Alessandria per sostenere e confortare i cristiani perseguitati, senza peraltro venire arrestato. Durante il suo apostolato Antonio preferì sempre la vita solitaria degli anacoreti a quella dei monasteri; a lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che, sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio in luoghi solitari. Per questo i suoi seguaci, chiamati Padri del Deserto, vivevano in grotte e anfratti, sotto la guida di un eremita più anziano e con Antonio come guida spirituale. Antonio visse i suoi ultimi anni nel deserto della Tebaide dove pregando e coltivando un piccolo orto per il proprio sostentamento, morì il 17 gennaio 357, a 105 anni; patrono dei macellai e salumai, dei contadini e degli allevatori e protettore degli animali domestici.