«È una giornata meravigliosa che io detenuto mai mi sarei sognato di vivere un giorno». È tale l’emozione del momento che Giovanni, uno dei reclusi nella Casa di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi, non riesce ad aggiungere altro quando si è trovato di fronte Papa Francesco. Null’altro, tant’è che pure quando il Pontefice gli ha chiesto della sua reclusione ha continuato a ripetere come una filastrocca che quella di lunedì 14 dicembre 2015 è stata una “giornata meravigliosa” che mai riuscirà a dimenticare, campasse cent’anni.
L’incontro del Santo Padre con i detenuti del carcere altirpino è avvenuto in occasione della ricorrenza del ventennale del Progetto Policoro, il progetto della CEI nato con lo scopo di aiutare i giovani disoccupati o sottoccupati del Sud Italia. Gesto concreto in Campania di questo progetto è la Cooperativa sociale il Germoglio di Sant’Angelo dei Lombardi, che nel tenimento agricolo del carcere altirpino produce i vini tipici del territorio, dando lavoro ad una decina di reclusi.
L’evidente emozione dei detenuti ha fatto sorridere il Papa, il quale ha poi voluto sapere da tutti loro del lavoro in carcere e dei propositi per quando usciranno. Il Pontefice, dopo aver ricordato che potranno lucrare l’indulgenza concessa ai peccatori per l’anno giubilare ogni volta che varcheranno la porta della loro cella facendosi il segno di croce, ha detto ai detenuti: «Mi raccomando, pregate anche per me!». «Non ne siamo degni», ha aggiunto uno di loro, meritandosi lo sguardo di incoraggiamento di Bergoglio, che ai reclusi nelle carceri ha pensato anche nella bolla di indizione del Giubileo della Misericordia.
L’iniziativa di arrivare a Roma assieme ai detenuti è stata fortemente voluta da Fiorenzo Vespasiano e don Rino Morra, referenti regionali del Progetto Policoro, i quali hanno consegnato al Pontefice, assieme al vino “Galeotto” prodotto nel carcere di Sant’Angelo, alcune lettere dei reclusi che lo ringraziano per quanto sta facendo per il pianeta carcere e gli chiedono di andare in visita al loro carcere, «una struttura dove la reclusione non è sinonimo di esclusione, bensì si coniuga con lo sforzo dell’inclusione umana, sociale e lavorativa».
E non erano meno emozionati gli altri detenuti, Giosefatto, Giuseppe, Raffaele e Costantino. Quest’ultimo, ventotto anni di cui dieci trascorsi in carcere, si è sentito addirittura “un miracolato” poiché, poco prima di salire sul pullman che lo avrebbe portato in Vaticano, gli è stato notificato il provvedimento inaspettato che lo rimetteva anticipatamente in libertà per fine pena.
Della mission della Cooperativa il Germoglio ha parlato dal palco dell’Aula “Paolo VI” in Vaticano il presidente Marco Luongo, il quale ha spiegato le ragioni che hanno spinto un gruppo di giovani a restare in Irpinia quando tutti gli altri loro coetanei andavano via e ha detto della voglia di affiancare le loro speranze a quelle di tanti soggetti svantaggiati, come i detenuti a cui intendono offrire un’opportunità di riscatto dagli errori commessi.
Del resto è proprio questa la finalità del Progetto Policoro, che dimostra come anche per i giovani “non raccomandati” sia possibile un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale. Un progetto di vita in perfetta sintonia con le parole di Papa Francesco, che nel suo discorso tutto incentrato sulla dignità del lavoro, specie per i giovani, li ha incoraggiati a non rassegnarsi dinanzi alle difficoltà del momento, ammonendo che il lavoro non deve essere un dono concesso solo ai raccomandati e ai corrotti ma è un diritto per tutti e li ha sollecitati a non perdere di vista l’urgenza di riaffermare questa dignità. «Il mio invito – ha proseguito Bergoglio – è quello di continuare a promuovere iniziative di coinvolgimento giovanile in forma comunitaria e partecipata, poiché spesso dietro a un progetto di lavoro c’è tanta solitudine. A volte i nostri giovani si trovano a dover affrontare mille difficoltà, senza alcun aiuto e le stesse famiglie, che pure li sostengono, non possono fare tanto, cosicché molti, scoraggiati, sono costretti a rinunciare».