Il detenuto ha diritto all’indennizzo da parte del Ministero della Giustizia se lo spazio minimo vitale in cella è inferiore ai tre metri quadri. E per determinarlo in cella detentiva collettiva occorre far riferimento alla superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto ed idonea al movimento e, pertanto, occorre detrarre dalla complessiva superficie della cella non solo lo spazio destinato ai servizi igienici e quello occupato dagli arredi fissi ma anche lo spazio occupato dal letto a castello, costituendo quest’ultimo una struttura tendenzialmente fissa e comunque non facilmente amovibile. A stabilire questi principi, la significativa ordinanza 29323/17 della Cassazione civile pubblicata il 7 dicembre. Nella fattispecie, i giudici della dalla terza sezione civile hanno accolto il ricorso di un detenuto avverso il decreto del tribunale di Torino, che aveva agito per chiedere la condanna del ministero della Giustizia ad oltre 23 mila euro per essere stato ristretto in un più istituti di detenzione piemontesi in celle comuni dalle minuscole dimensioni. Con il primo motivo il ricorrente aveva lamentato che il Tribunale di Torino non avesse scomputato dalla superficie complessiva della cella l’ingombro del letto e ha sostenuto che ciò avrebbe determinato una notevole riduzione del computo dei giorni trascorsi negli istituti di pena di Torino e Asti in condizioni inumane e degradanti. La Suprema Corte ha ritenuto valida tale doglianza e ha ricordato che lo stesso collegio, in sede penale, ha più volte affermato che, «ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo inframurario, pari o superiore a tre metri quadrati, da assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, in base all’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte Edu in data 8 gennaio 2013 nel caso Torreggiani», il giudice deve detrarre dalla superficie lorda della cella l’area occupata dagli arredi. Ora, in tale prospettiva, si considera un ingombro anche il letto a castello, struttura «dal peso ordinariamente consistente, non amovibile, né fruibile per l’estrinsecazione della libertà di movimento nel corso della permanenza nella camera detentiva e, quindi, idonea a restringere, per la sua quota di incidenza, lo spazio vitale minimo all’interno della cella». Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, si tratta di una decisione che rende giustizia in materia di condizioni di detenzioni, che in Italia continuano ad essere purtroppo permanentemente inumane e degradanti in molteplici istituti carcerari sul territorio nazionale, così non garantendo il rispetto della funzione della pena che non è solo quella della sanzione, ma nel suo requisito costituzionalmente essenziale e primario è quella della rieducazione e riabilitazione del condannato. Per tali ragioni, continueremo ancora più convintamente ad agire per la tutela di tutti i detenuti che lamentano situazioni analoghe.