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di Gianni Amodeo
Un percorso lineare, quasi previsto e prevedibile, com’ era congenito e congeniale all’essenza del suo stile di vita, intessuto di forti sentimenti religiosi, docilità e innata benevolenza verso tutti, quello compiuto da Francesco Tulino – per familiari, amici e conoscenti Franceschino, semplicemente e tout court- per approdare gradualmente al diaconato e alla professione dei voti sacerdotali al servizio del prossimo e della Chiesa. Un percorso di vocazione e fede verso Dio, che integrava e arricchiva quello già condotto nell’operosa vita laica vissuta in famiglia con la figlia Giulia – aveva sposato Elena De Luca, di cui era restato vedovo- e come diligente funzionario dell’amministrazione statale del Ministero del Lavoro, a Napoli, senza far mai registrare un’assenza da quell’ufficio, in cui aveva cominciato a lavorare poco più che ventenne, facendosi carico e riferimento con mamma Santina e da primogenito di otto, tra fratelli e sorelle, dopo la prematura morte del padre Raffaele.
… E, quando chi scrive, gli chiese di poter continuare a chiamarlo come al solito Franceschino, anziché far ricorso all’ormai ricorrente e comune don Francesco, sia per la missione diaconale che per quella sacerdotale che- tredici anni fa- aveva fatta propria, potendo officiare la celebrazione eucaristica,n’ebbe risoluta ed oltremodo incoraggiante risposta favorevole. La nostra, d’altro canto, è stata un’amicizia stretta e di lunga data; e l’uso del ”don Francesco” con tutta franchezza appariva- a chi scrive- troppo ridondante, finendo per far velo e quasi distacco verso la dimestichezza e la consuetudine dei rapporti che, inalterati e costanti si sono conservati fino ai giorni correnti; rapporti, che risalivano a cavallo degli anni ’40 e ‘50 del secolo scorso, ancorati a quel piccolo grande mondo che per tanti di noi delle generazioni degli anni ’30, ’40 e ’50 è stata l’Azione cattolica della comunità parrocchiale di Santo Stefano.
Era il nostrano piccolo grande mondo, che viveva, nel tempo libero dallo studio o dal lavoro, in larga parte e tutti i giorni negli accoglienti spazi del primo piano della Casa canonica della Chiesa dedicata al Protomartire della cristianità; spazi, che ospitavano due magnifici e ottimi tavoli di ping-pong, sia per la qualità del rimbalzo assicurata alla pallina, sia per farle imprimere traiettorie imprevedibili e curvilinee con colpi soft di racchetta ad “effetto” che disorientavano l’avversario. E il tavolo che occupava il bel “salone centrale” era stato realizzato a regola d’arte da un eccellente falegname del tempo, Pasquale Barbarisi, nonno del caro amico Pasquale, mentre l’altro era stato allestito con il laborioso ed ingegnoso “fai da te”, utilizzando ben stagionate tavole di castagno -donate dall’imprenditore Salvatore Boccieri, che gestiva il vicino sito per lo stoccaggio e la commercializzazione di legnami pregiati, e fratello del parroco Stefano– la giusta dose di stucco da applicare per garantire l’uniforme tenuta dell’impianto del tavolo, calibrati morsetti a tenuta rigida, vernice verde spalmata ad arte sulla nostra “opera”, delimitata da uniformi strisce di bianca vernice. E un po’ tutti eravamo giocatori di veloce e buona caratura -nel singolo e nel doppio- di tennis da tavolo, formando ben assortiti e solidi team spesso impegnati in prolungati e spettacolari Tornei a Nola, in cui si fronteggiavano le migliori formazioni dei Circoli della Gioventù d’Azione cattolica -in sigla Giac– dell’area diocesana. E davvero super per tecnica erano i team di San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, Marigliano, Nola e, noblesse oblige, dell’indomabile e indomita Giac–Baiano.
Con il ping-pong “Re” di quel piccolo grande mondo fungevano da … improbabili campi di calcio, non solo un mini rettangolo di suolo retrostante la Casa canonica e l’intero “rustico in tufo e parzialmente abitato” di quello che doveva essere un … Ospedale, ma anche la strada-viale in pendio, ‘o stradone che immette sul sagrato della Chiesa parrocchiale; improbabili campi di calcio per partite giocate allo … stremo delle energie, ma che per noi valevano ben più del “Bellofatto” teatro di scena delle imprese del Baiano, specie degli Zanolla–boys, o del “Vomero” in cui brillava il Napoli d’epoca che contava nella comunità cittadina “tifosi” in gran numero. Come ora
Del nostrano piccolo grande mondo il lievito per noi appena adolescenti che s’affacciavano all’età giovanile, era costituito a cadenza settimanale da incontri e discussioni aperte su temi cultura religiosa, attualità e modalità organizzativa di iniziative e manifestazioni in cui venivamo direttamente coinvolti, con la coordinazione dall’assistente spirituale di turno, nel quadro, per dir così, della pedagogia per il laicato cattolico, ispirata dalla dottrina sociale cristiana; un ruolo, esercitato nel corso degli anni da giovani sacerdoti di spiccata formazione culturale e buone letture, tra cui don Ennio Pulcrano, don Antonio Esposito, don Luigi Cacciapuoti don Pasquale Vivolo e don Pasqualino Sepe.
Una realtà, di cui Franceschino era per molti versi era anima e artefice nello stesso tempo, combinandosi con Stefano Scotto, ch’è stato un buon insegnante di Scuola elementare ed onesto pubblico amministratore, scomparso una decina di anni fa. Venivano chiamati i “comparielli” ed avevano sposato due sorelle, Franceschino, come ricordato, Elena, e Stefano, Gilda De Luca, anch’ella insegnante bemn preparata e meticolosa. Un duo assortito al meglio, contrassegnato dall’appartenenza alla stessa generazione metà anni-30, a cui si associava Aldo Conte, Alduccio, eclettico per dialettica e perspicace dalla battuta ironica facile, anch’egli ben stimato insegnante di Scuola elementare.
Poi, la svolta degli anni ’70, per i tanti di noi che avevano vissuto quel piccolo grande mondo urgevano altre esigenze familiari e responsabilità di vita e sociali. E l’Azione cattolica, com’era giusto che fosse,alla luce del Concilio Vaticano II, delle visioni di Giovanni XXIII e di Paolo VI era chiamata ad interpretare e a rappresentare altre istanze. Quel piccolo grande mondo s’è dissolto,per naturale divenire delle umane cose; e in chi lo ha vissuto ha impresso tracce indelebili. Senza nostalgia.
Franceschino ha proseguito l’itinerario intrapreso con la bussola d’orientamento di sempre. Da sacerdote, al passo con i tempi. Con l’umiltà e la semplicità immutate del suo stile di vita e comportamento.