Di origini antichissime, l’ideazione della pastiera di grano risalirebbe al periodo dei riti pagani per celebrare l’arrivo della primavera, in effetti i suoi ingredienti, fiori d’arancio, ricotta, grano e uova, rappresentano tutti simboli di fecondità. Una delle leggende più suggestive ed affascinanti è quella legata alla sirena Partenope, raccontata dalla scrittrice Loredana Limone in un libro dedicato alla tradizioni culinarie napoletane; la leggenda narra che la sirena scelse come sua dimora il golfo di Napoli e che ad ogni primavera emergesse dalle acque per salutare gli abitanti del posto allietandoli con canti d’amore e di gioia, la gente così per ringraziarla le fece trovare sette doni, ognuno dei quali con un significato: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, simbolo di riproduzione; il grano cotto nel latte, simbolo della fusione del regno animale e di quello vegetale; i fiori d’arancio, profumo della terra campana; le spezie, omaggio di tutti i popoli; lo zucchero per acclamare la dolcezza del canto della sirena. Nel raccogliere i doni la sirena li mescolò e quello che venne fuori fu un dolce profumato e così divenne l’inconsapevole autrice della pastiera.
La versione attuale, invece, fu inventata probabilmente all’interno di un monastero napoletano dove una suora nella ricerca di un dolce che rappresentasse il simbolo della Resurrezione, mescolò la bianca ricotta, le uova (simbolo di “nuova vita”) ed una manciata di grano; sicuramente nell’antico convento di San Gregorio Armeno a Napoli le suore erano reputate maestre nella realizzazione della pastiera e ne confezionavano un gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.
Un’altra storia sulla pastiera napoletana riguarda la regina Maria Teresa d’Austria, moglie del re Ferdinando II di Borbone, soprannominata “la Regina che non sorrideva mai”, grazie alle insistenze del marito assaggiò una fetta del dolce e nel farlo sorrise per la prima volta in pubblico, questo suscitò grande sorpresa nel re che esclamò “Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.
La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Giovedì Santo per dare agio a tutti gli ingredienti di amalgamarsi in un unico e inconfondibile sapore e che sia riposta in particolari teglie di alluminio, dette “ruoti”, e che in esse venga venduta e servita, in quanto molto delicata per sformarla si rischierebbe di spappolarla irrimediabilmente. La preparazione è lunga e laboriosa e la cottura, in forno a legna, deve essere dolce e prolungata arrivando anche alle tre/ quattro ore per ottenere la giusta consistenza; una volta cotta si termina la lavorazione con una spolverata di zucchero a velo, poi viene messa a riposo fino alla domenica quando la Pastiera sarà pronta per essere gustata!
(CHIARA SINISCALCHI)