23 maggio 1992: Giovanni Falcone sconfigge la mafia sacrificando la sua vita. 24 anni fa chi ha vissuto questa tragedia ricorda le immagini per televisione: macchine accartocciate, detriti stradali dappertutto, carabinieri e polizia intenti a cercare tra quelle carcasse un indizio, ma il colpevole era palese agli occhi di tutti: la Mafia, Cosa Nostra. Solo loro avrebbero potuto fare una cosa del genere, togliere di mezzo un avversario troppo scomodo che stava seriamente convincendo tutti che la Mafia si poteva sconfiggere. Giovanni Falcone per questo è stato ucciso, per un ideale. Odiato da vivo, amato da morto. Si, il magistrato di Palermo è stato odiato da vivo, ha ricevuto mille insulti, mille sconfitte da parte di un sistema e di una società che non voleva guardare in faccia la realtà, sistema e società da lui definiti “la macchina del fango”, che giudicava in malo modo tutto ciò che si faceva; ma lui non ha mollato, anzi, ha continuato a lottare insieme a Paolo Borsellino, ucciso successivamente nella strage di Via d’Amelia precisamente il 19 luglio nel 1992. Giovanni Falcone ha portato avanti la sua idea nonostante avesse tutti contro, sapendo di essere “un morto che cammina”, come lui spesso si definiva, perché era convinto che qualcosa di buono si potesse fare ed è per questo che ha sconfitto la Mafia, perché la sua idea sta camminando con me gambe di altre persone. Falcone diceva: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.” Si è sacrificato per una giusta causa che poi è diventata il suo centro di vita. Giovanni Falcone, l’eroe tanto odiato da vivo che da morto è riuscito a sconfiggere la mafia. (Antonio D’Arco)