Una donna svizzera che assumeva il Depakin fin dall’adolescenza, un farmaco usato dalla fine degli anni ’60 per la cura dell’epilessia e per il disturbo bipolare, prodotto dalla multinazionale Sanofi, ha comunicato attraverso il suo legale, di aver denunciato per lesioni gravi il Centro ospedaliero universitario vodese (CHUV), i propri medici e la società farmaceutica. La denuncia partirebbe dall’assunto che la donna non fosse stata informata dei rischi per i feti che deriverebbero dall’assunzione del medicinale durante le due gravidanze nel 2002 e nel 2004 che avevano visto nascere entrambi i suoi bambini affetti da gravi disturbi cognitivi ed autismo, tanto da dover anche seguire una formazione scolastica specializzata. Si tratterebbe, secondo la stampa elevtica, della prima azione legale di questo tipo nell’ambito di uno scandalo che sarebbe legato all’antiepilettico. L’avvocato della signora ha riferito che la sua cliente assumeva il Depakin fin dall’adolescenza e che “nessuno aveva evocato un possibile legame fra questo farmaco e le malformazioni”. Peraltro, nel corso di una delle due gravidanze, il personale medico aveva menzionato possibili anomalie quali il labbro leporino e la spina bifida, ma, dopo l’ecografia dei tre mesi, aveva rassicurato la donna sull’assenza di difetti del feto. E per assurdo, il neurologo avrebbe addirittura “ben pensato” di aumentare la dose del farmaco, aggravandone così i rischi. La struttura ospedaliera CHUV che si era occupata del monitoraggio ginecologico durante la gestazione, non avrebbe ancora rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale. La denuncia sarebbe comunque estesa anche ai medici che avevano seguito la donna, l’ospedale Rivera-Chablais dove ha partorito e la filiale di Meyrin (Ginevra) dell’azienda Sanofi, che produce il medicamento “incriminato”. Vale la pena ricordare che contro la casa farmaceutica, alla fine del 2016, è stata già avviata in Francia una “class action” da un’associazione nata appositamente per tutelare quelle che si definiscono “vittime del Depakin”, allo scopo di ottenere risarcimenti per le decine di migliaia di bambini che sarebbero interessate dallo scandalo. Secondo l’associazione in questione, Sanofi non avrebbe messo al corrente dei rischi per i feti del principio attivo, il sodio valproato, nonostante fossero evidenti addirittura sin dagli anni ’80. Al contrario, in Italia, della questione non se n’è parlato nonostante l’ampia discussione avviata all’estero sui rischi per la salute dei nascituri che ha portato all’avvio di azioni legali.