di Marilù Musto
«Sono state raccontate tante inesattezze, Rosario è stato descritto come un delinquente, invece è molto seguito in famiglia, qui lavoriamo tutti e siamo persone perbene, non capiamo come sia potuta accadere una cosa simile. È stato detto che voleva difendere l’onore della nonna, niente di più falso». Nella rivendita di auto di famiglia, ad Acerra, sabato mattina c’è il fratello maggiore di Rosario. A tre giorni dai fatti, il giovane consigliere comunale di Acerra di soli 22 anni, non sa come spiegare la reazione del fratello, il diciassettenne che ha sfregiato la prof di italiano dell’istituto «Majorana-Bachelet» di Santa Maria a Vico, Franca Di Blasio. Le ha tagliato il viso con un coltello a serramanico. E ora rischia una condanna.
«A casa c’è mia madre che piange, siamo distrutti», continua. E in sala da pranzo, nell’appartamento al primo piano di una palazzina nel cuore di Acerra, compare la mamma di Rosario. Maglia grigia, occhiali appannati e in mano un fazzoletto umido: «Chiedo scusa alle insegnanti, alla preside e a tutta la scuola, ora aiutate mio figlio», dice la donna. «L’avete vista? È uno straccio, non la smette di dolersi», spiega la cognata indicandola. «Lui ha compreso il gesto grave che ha compiuto, chiede in continuazione della sua insegnante, vuol sapere come sta, ma nessuno di noi può parlarci. In carcere cosa mai potrà capire? Per questo chiedo alle istituzioni una mano: mio figlio può essere salvato, dateci la possibilità di aiutarlo ad elaborare».
Lei, mamma protettiva con i suoi figli, al punto che non ha mai voluto mandare Rosario in gita con i compagni, spera in una decisione veloce della magistratura: «Mi rivolgo all’insegnante: perdoni mio figlio, non è un ragazzo dall’indole violenta. In famiglia non ci siamo accorti che stava soffrendo per le condizioni di salute della nonna che per lui è come una seconda mamma, qui ci sono tutti i messaggi che quotidianamente ci inviava, guardi». E sul telefono cellulare della madre sono decine gli sms che Rosario ha inviato durante i 20 giorni di degenza della nonna. Era in pena, tornava da scuola spesso piangendo e quando si allontanava da casa telefonava. «La settimana scorsa, arrabbiato, mi ha chiesto: mamma perché non hai risposto ai miei messaggi? Io ero al capezzale di mia suocera, all’ospedale Monaldi. Abbiamo sottovalutato il suo stato d’animo».
Giovedì Rosario non voleva andare a scuola, ma il padre fece la voce grossa: «Mi disse: papà, voglio venire in ospedale con te – spiega l’uomo – io, invece, mi sono imposto e gli ho detto che doveva andare per forza. Gli feci capire che avevo mille pensieri che mi passavano per la testa e che non doveva darmi ulteriori grattacapi. Sapevo che stava per terminare il quadrimestre e che c’erano gli scrutini, è come se lo avessi costretto. Con il senno di poi non lo avrei fatto, non so darmi pace per questo». E batte un pugno sul tavolo. «Forse siamo stati distratti, presi com’eravamo dalla malattia di mia madre e non ci siamo accorti che Rosario stava soffrendo, come tutti noi», interviene la zia.