Perché vi sia alienazione genitoriale servono du elementi: “indottrinamento” del figlio, da parte di un genitore a pregiudizio dell’altro, e l’adesione acritica (e inconsapevole) del figlio alla posizione del genitore alienante.
“Chiedilo a tuo padre perché ci ha abbandonati“. “E’ colpa di tua madre se quest’anno non potrai più frequentare il corso di nuoto“. “Se domani non te la senti di andare con lui dai nonni, diciamo a tuo padre che hai l’influenza“. “Se mamma ti sgrida, registrala con il cellulare, sarà un segreto tra noi”. Queste sono solo alcune, peraltro tra le più innocue, manifestazioni di quella odiosa ma dilagante forma di irresponsabile coinvolgimento dei figli nel conflitto genitoriale.
Tra una rivendicazione economica e una domanda di addebito, infatti, capita troppo spesso che i minori vengano coinvolti, anzi travolti, dalle insane dinamiche che un amore finito lascia dietro di sé. In men che non si dica, i bambini cambiano ruolo: da spettatori inermi delle quotidiane e reciproche recriminazioni tra mamma e papà, ad attori protagonisti della scena del crimine. Piccoli strumenti nelle mani sapienti dell’uno, potentissime armi scagliate contro l’altro, costretti a portare sulle loro piccole spalle il peso insopportabile del conflitto di lealtà. A scegliere da quale parte stare.
E’ così che, silenziosa e subdola, l’alienazione di un genitore per mano dell’altro si insinua fra le mura domestiche e, in uno stillicidio quotidiano e programmatico, contamina i pensieri dei figli, ne sovverte gli equilibri, ne sgretola le certezze, ne lacera i sentimenti. Queste dinamiche vengono comunemente ricondotte al fenomeno dell’alienazione genitoriale: un vero e proprio abuso da parte di un genitore, accecato dallo spirito di rivalsa sull’altro, con buona pace del diritto dei figli alla bigenitorialità, che imporrebbe, invece, di preservare l’altra figura genitoriale e di garantire un rapporto costante e sereno con i figli.
Le forme nelle quali può attuarsi e manifestarsi l’alienazione genitoriale sono così tante che sfuggono a una precisa elencazione e descrizione. Quelle più gravi – che, tramite un vero e proprio “arruolamento” del minore a difesa di un genitore, portano alla radicale emarginazione dell’altro – degenerano nella c.d. PAS (sindrome di alienazione parentale), ancora non del tutto scientificamente delineata e oggetto di accesi dibattiti in ambito psico-forense.
Affinché si possa parlare di alienazione genitoriale, in ogni caso, è necessaria l’esistenza di due elementi essenziali, correlati fra loro da uno stretto rapporto di causa/effetto: l'”indottrinamento” del figlio, da parte di un genitore a pregiudizio dell’altro, e l’adesione acritica (e inconsapevole) del figlio alla posizione del genitore alienante, del quale diventa, suo malgrado, il complice ideale. Così il bambino, in un’indebita sovrapposizione di ruoli, di età e di vissuti, si sente in dovere di schierarsi e si associa alla campagna denigratoria del papà contro la mamma, o della mamma contro il papà.
Questo allarmante fenomeno è del tutto trasversale, non guarda né all’estrazione sociale, né al titolo di studio, né alla provenienza geografica dei genitori, e va affrontato in modo serio e consapevole dagli “operatori del settore”: avvocati, psicologi, giudici, consulenti tecnici, insegnanti, che hanno il dovere di informarsi, di responsabilizzarsi, di riconoscere per tempo i segnali di un’alienazione genitoriale in atto, e, soprattutto, di disincentivare il genitore responsabile. Anche a costo di rinunciare a un incarico o di fare un passo indietro nel conflitto giudiziario. Perché questa guerra, dove le armi sono proprio loro, infligge ai minori ferite invisibili che si porteranno dentro per il resto della loro vita, anche quando le rivalse tra papà e mamma scemeranno, anche quando le pretese economiche saranno soddisfatte, anche quando, e questo è il pericolo nel pericolo, saranno a loro volta genitori.