di Antonio Fusco
Giordano Bruno, alla fine del Cap. I del libro “De immenso et innumerabilibus seu de universo et mundis”, dopo aver affermato che nello spazio etereo, oltre agli astri ed ai grandi mondi, esistono altri esseri viventi sotto forme di velocissime sfere ignee, chiamate dal volgo “travi di fuoco”, ci documenta, con inconfutabile evidenza di averne vista una da ragazzo, durante la sua permanenza a Nola, come si desume dall’esplicito testo del seguente periodo:
“Erat autem illa sphaera seu ut dicunt trabs, vere animal, quam ego semel vidi, recto enim motu cum quasi abraderet tecta Nolae urbis; debuisset in montem Cicadae [1] impingere, quem sublato corpore superavit” ( Era invero una sfera o, come la chiamano tutti, una trave, un vero essere vivente, quella che io infatti vidi una volta quasi abradere con un moto rettilineo i tetti della città di Nola; avrebbe dovuto urtare contro la collina di Cicala, che superò dopo aver sollevato in alto il suo corpo).
L’oggetto volante, osservato dal filosofo nolano e da lui considerato senza ombra di dubbio un essere animato in grado di effettuare movimenti autonomi e spostamenti razionali (vere animal ), dopo aver quasi toccato nel suo moto rettilineo radente i tetti della città di Nola, per evitare la collisione con il colle di Cicala, fu costretto a correggere la rotta orizzontale, sollevandosi verticalmente (sublato corpore ) superando l’improvviso ostacolo rappresentato dal modesto rilievo.
Non sappiamo se gli ufologi siano a conoscenza di questa eloquente citazione, che testimonia l’avvistamento di un Unidentified flying object, un oggetto volante non identificato o UFO, neologismo formato con le iniziali delle tre parole inglesi.
La descrizione che ci fornisce il filosofo risulta sorprendentemente conforme alle testimonianze oculari riportate nella moderna letteratura ufologica, che assegna a questi strani e velocissimi corpi una forma tondeggiante (sphaera ) oppure affusolata come un sigaro (trabs ); questi, inoltre, secondo quelli che dicono di averli visti, si sposterebbero seguendo un moto rettilineo (recto motu), con virate laterali e verticali, a linea spezzata, proprio come fa l’oggetto misterioso avvistato dal Bruno, che di sicuro non è da identificare con un meteorite, il quale, quando precipita sulla terra, presenta un moto parabolico dall’alto in basso, lascia una lunga traccia luminosa, non si sposta orizzontalmente e non corregge la sua rotta in un movimento verticale ascendente per evitare collisioni con le alture.
Dal contesto si arguisce anche che il fenomeno, proprio come succede ai giorni nostri, non doveva essere insolito se i contemporanei del Filosofo erano soliti chiamare (ut dicunt) questi corpi volanti travi di fuoco, vedendo in essi una sagoma allungata a sigaro (trabs).
In relazione al pensiero del filosofo, l’inequivocabile periodo latino, riportato testualmente, ci offre un’interessante notizia, dal momento che l’avvistamento della singolare quanto razionale sfera volante, deve avergli suggerito l’esistenza di altri esseri intelligenti, che vivrebbero nello spazio cosmico e capaci di pilotare macchine volanti.
Bruno non ci dice quanti anni aveva quando avvistò il misterioso oggetto guidato razionalmente, né da che posto lo vide. Per quanto riguarda l’età non poteva avere più di quattordici anni, quando partì alla volta di Napoli e non fece più ritorno nella città natia; quindi doveva essere fanciullo o appena ragazzo. L’avvistamento avvenne di giorno e da una posizione elevata se, come afferma, riusciva a vedere i tetti della città di Nola e tutto il costone del colle di Cicala. Come abbiamo verificato, la visione contemporanea dei tetti di Nola e dell’intero colle, oltre che da Sant’ Angelo in Palco, poteva essere possibile anche dalla limitata zona elevata di villa Montanara, prima che le lunghe fabbriche terrazzate del Convento dei Cappuccini, ostacolassero in quella direzione la vista di tutto il declivio della collina.
La falesia calcarea su cui sorgono il Convento dei Cappuccini e la villa Montanara faceva parte ai tempi del Bruno di un villaggio, chiamato San Giovanni del Cesco, formato da una manciata di povere case dislocate sopra il costone roccioso e lungo l’erta stradina, in parte a gradoni, che dall’attuale Via Arno conduce al piazzale elevato del Convento francescano. Nel dialetto nolano nel passato era chiamato “cesco” uno strapiombo o un alto burrone.
Gli storici hanno accertato che la casa natia del Filosofo era ubicata proprio nella contrada Cesco, ma, nonostante siano stati notati nel passato ruderi murari affioranti [2] in qualche punto, non ne hanno potuto fissare con estrema sicurezza l’esatta ubicazione.
Volendo supporre che Bruno abbia visto l’Ufo dai paraggi della casa paterna questa, nei ristretti limiti geografici della borgata del Cesco, doveva occupare una posizione elevata, presso due chiese: l’antichissima cappella intitolata alla Santa Croce, abbattuta e riedificata nelle fabbriche del Convento Francescano, e quella di San Giovanni, costruita presso il ciglio del precipizio.
(Rielaborazione ridotta di un testo già pubblicato sul quotidiano di Avellino Opinione Irpinia Oggi, 9 agosto 1996, e riproposto sul mensile Il Meridiano, anno IX, n. 5/26, maggio 2002).
————————————————————————
[1] Si tratta del colle di Cicala che si innalza ad oriente della città di Nola.
[2] Cfr. Ammirati – Bruno redento, pag. 41 e segg., Ist. Anselmi, Marigliano 1997.