Vi propongo oggi un estratto dal libro su Avella del 1888 di Francesco Guerriero, in cui si parla di una Fata del Ciglioche trae in inganno un cacciatore. La Fata del Ciglio è qui una figura con un comportamento molto simile a quello di una sirena, che, stupenda, richiama il cacciatore o altri avventori con cenni di saluto. La fata riposa, come dice il suo stesso nome, sul Ciglio, ovvero sulla sommità delle montagne di Avella, “oasi incantata fra le rocce brulle”, potremmo immaginarla stesa sul profilo dei monti. Nonostante la Fata si mostri gentile al prossimo, chi si avvicina a lei viene immediatamente attaccato da una sentinella degli spiriti, incaricata di proteggerla, e proprio a causa di questo guardiano quando inizia a piovere il cacciatore viene ingoiato in un burrone.
In questa favola risulta evidente la duplice faccia della montagna, che pur bellissima e docile nei giorni di sole, si ricorda che non bisogna in realtà mai fidarsi di essa. I nostri antenati lo sapevano bene: la montagna è traditrice. A temporale finito, la Fata piange per quanto accaduto, le sue lacrime scorrono e diventano il fiume Clanio. Sensi di colpa? Solitudine per non essere stata raggiunta dal cacciatore? Esattamente come una principessa in cima ad una torre, la Fata è sul Ciglio sempre da sola ed è difficile arrivare a lei, simboleggia la ricchezza e la bellezza della montagna che il cacciatore vorrebbe possedere e che gli costa la vita.
Nonostante l’epilogo negativo per il cacciatore, le lacrime-pioggia della Fata vanno ad alimentare i numerosi corsi d’acqua della Valle delle Fontanelle, e quindi queste lacrime rendono splendenti i raccolti e diventano la ricchezza della terra di Avella. Ancora una volta la doppia faccia di una medaglia, stavolta riferita agli eventi naturali: da un lato l’insidia della montagna, e dall’altro non solo la bellezza, ma anche l’abbondanza che da ne consegue dai suoi stessi pericoli. Dei monti che in fondo non vanno turbati, e di cui bisogna raccogliere i frutti solo “a valle”, senza addentrarsi nei luoghi più difficili. Interessante l’ultima frase in cui si parla di fieno che “raccolto dalle contadine, fan le fiche alla fata con i loro amori alla macchia”. In questa fiaba le contadine possono amare, mentre la Fata no.
Non so bene se questa storia sia una vera leggenda tramandata negli anni o nasca solo dalla fantasia di Francesco Guerriero, ma una cosa è certa: Avella ha sempre avuto le sue fiabe personalizzate e adattate agli usi e costumi del paese (qualcuno di voi forse ne ricorderà qualcuna) e interrogando gli anziani sicuramente si risalirebbe ad una complessa e molto più organizzata rete di “leggende di montagna“. Non dimentichiamoci infatti il Dente della Fata nella Valle delle Fontanelle o il tesoro nascosto dai briganti sotto il Ciesco della Rosa. Splendide anche le leggende che riguardano il Castello di Avella, che riguardano spesso un serpente (che rappresenta il diavolo) nascosto nei sotterranei a protezione di un tesoro, che si troverebbe ancora lì.
Il testo originale in cui si parla della Fata del Ciglio, di Francesco Guerriero:
“E si sale ancora, e gli occhi brillano di luce vivissima, abbracciando d’uno sguardo, quasi convulso, la lunga catena di montagne, che superbe poc’anzi, diventano piccine piccine, e vi si stringono d’intorno, le une vicino alle altre, come per rendere omaggio a voi, che avete dimostrato quanta sia la forza dell’uomo di fronte all’asprezza della natura. In mezzo è il Ciglio – oasi incantata fra le rocce brulle – dove, dicono, riposa la fata dei monti, che stesa sull’erba – grande ara alla splendente natura – guarda in alto, fra l’azzurro purissimo, i falchi innamorati, che svolazzano in larghi giri, inseguendosi con molli ondulamenti d’ala, come se sentissero nell’aria, tiepida e profumata di timo, la voluttà della vita. Le sue vesti splendono come rugiada del mattino e, in sua difesa, stanno intorno spiritelli bianchi, armati di lance cristalline.
Il cacciatore che osa avvicinarsi al trono della regina, rimane affascinato dalla fata e dai suoi cenni di saluto, avvicinandosi ad essa viene attaccato dalla sentinella degli spiriti, il tuono risuona, il monte trema ed il burrone ingoia il povero cacciatore.
Quando la calma ritorna, la fata è sempre lì stesa sull’erba e piange. Piange e singhiozza, e per il dolore si contorce le mani e piange. Piange e singhiozza, le sue lacrime scorrono senza fine giù fino al morbido muschio. Da quelle lagrime è infiammato il fieno, che cresce e raccolto dalle contadine, fan le fiche alla fata coi loro amori alla macchia.”
(La Fata del Ciglio – Francesco Guerriero, Avella)
Da sempre l’uomo immagina che i monti siano abitati da animali e creature fantastiche. Un contadino sorpreso da un drago della Valle di Saas, in Svizzera. Le varie specie di Dracones Helvetici che abitano le Alpi sono descritti negli Itinera di Iacopo Scheuchzer, 1723.