Fresca di restauro, la Residenza è abitata adesso da due suore, Nunzia e Debora, ed è accompagnata da un’antica chiesetta, nella quale, ci spiegano, è già possibile recarsi per pregare. Ad esempio, alle 7 ci sono le Odi.
Le Odi. In questa valle così religiosa, che ha costruito la sua storia sotto la Commenda di Montevergine.
Quando ci rechiamo qui, oramai l’inverno scorso, le suore ci comunicano che a breve sarebbe partita anche la possibilità di dare ospitalità ai fedeli, che potrebbero al mattino ripercorrere a piedi il sentiero per Montevergine che da Mugnanosale attraverso le montagne, aggirando la canonica strada che si fa in auto per il passo di Monteforte.
Poi, dopo questa breve sosta, siamo saliti, dopo anni ed anni di assenza, al Litto. Era da tempo che evitavamo alcuni posti per i motivi che saranno chiari in seguito. E quindi, com’è che quel giorno ci siamo ritrovati di nuovo al Litto?
Ci ripenso. Ero nella mia stanza.
Il cielo azzurro era così fastidioso dall’interno di una stanza in cui non c’era da fare. I raggi entravano obliqui e torturavano gli occhi, e alla fine non si poteva che scappare. Le montagne innevate si mostravano in fila, come una cintura alle spalle dei paesi che scorrevano a turno come soldati, come plotoni, come spaccati a metà dalla strada che percorrevamo. Asfalto grigio, sprazzi di neve, montagne d’argento e cielo che s’intorbidiva e poi proseguiva e andava avanti nella sua missione di mostrarsi azzurro. Alcune nuvole erano raffinate, si stendevano come frecce e puntali in mezzo al cielo, e comunque senza neanche troppo accorgercene ben presto ci ritrovammo a salire al Litto.
Si susseguivano gli ulivi in curve ariose prima che ci fermassimo alla prima tappa, la Residenza di Gesù e Maria. Un pozzo bianco su erba verdissima catturò la mia attenzione ma ben presto il vento ghiacciato s’infilò al di sotto del cappotto, tra le gambe come un gatto, tra le caviglie come anguille. Ci accolse una suora e da lontano un piccolo cane bianco a macchie marroni guardava. Le Odi, l’ospitalità, i percorsi fino a Montevergine, la neve alta da spalare, il camino, i termosifoni, i lavori, i discorsi.
Sembrava di stare a casa.
Risalimmo in macchina e salimmo ancora. Gli alberi ora non erano più verdi, ma bagnati e color d’autunno; iniziavano ad apparire pochi segni a terra dell’inverno, neve sporca sulla strada, fino alla fontana del Litto.
Nel Medioevo al Litto vi era un villaggio sorto intorno alla fontana e di cui adesso è rimasto poco e niente. Andando più avanti si salirebbe al Campo di Spina. Ancora, attraverso le montagne, facendo un po’ di strada, si potrebbe proseguire fino a Montevergine, senza incontrare mai nessun paese. Ci vorrebbe un po’, ma poi si arriverebbe davvero a Montevergine.
Solo che, non c’è niente di vergine nella strada per Montevergine. Le persone lasciano pezzi del loro passato ovunque gli capiti. Così, iniziò a far freddo e andammo via. Il cielo non era più bello. Il Litto è perduto. Non per sempre, ma di sicuro ancora per molto.
(Valentina Guerriero)