Nuovi appunti sull’Orto di Virgilio
di Valentina Guerriero
Sono passati alcuni anni da quando scrissi dell’Orto di Virgilio in questa rubrica, ma l’aver incontrato alcuni riferimenti ad esso nel libro Canti e tradizioni popolari della Campania di Roberto De Simone, mi spinge a parlarne nuovamente, al fine di appuntare e condividere alcune informazioni.
Nel testo, edito nel 1979 dalla casa editrice Lato Side, si analizza il culto di sette madonne, sei bianche e una nera, e quella nera è di esse la più importante: è la Madonna di Montevergine. Mi sono procurata questo libro, attualmente raro e scarsamente disponibile sul mercato, dopo essere stata alla festa della Madonna di Castello, a Somma Vesuviana, di cui qui si parla, ma ecco che il discorso ritorna sempre e molto facilmente sul Partenio.
Infatti, essendo il ruolo di Montevergine centrale fra le madonne, nella parte dedicata all’origine di tali canti tradizionali si parla di Virgilio Mago, una leggenda diffusa a Napoli che vedeva il poeta latino autore di molti incantesimi durante il periodo medievale e che avevano permesso di salvare la città. Tali aneddoti sono ritrovabili, come già detto in un mio precedente articolo, negli scritti di Matilde Serao, inoltre pare che Virgilio coltivasse le erbe officinali presso Campo Maggiore, tradizione poi proseguita dai monaci di Montevergine, che utilizzano le piante del bosco per produrre unguenti o liquori aromatici come il Partenio e l’Anthemis.
Ho trovato molto interessante, però, in aggiunta a quanto già non sappiamo della leggenda, ciò che trascrive De Simone:
Ed è Verginio (Virgilio) mago e poeta ad essere, nella favola di Ferdinando Zaccariello, contadino di Villa di Briano (Caserta), autore di molti canti popolari.
“Verginio stava sulla montagna di Montevergine e componeva i canti così come glieli ispirava una testa di morto che il mago-poeta teneva sempre con sé. Questa testa prediceva il futuro ed era la testa di una vecchia che gli aveva anche raccomandato di non andare mai per mare. Ma “Verginio”, innamorato di una femmina siciliana era partito su una nave ed era morto mentre cantava l’ultimo suo canto che è tuttora vivo nella tradizione:
Vurria addeventare pesce d’oro
dint’a lu mare me jesse a menare
Infatti, secondo questa leggenda, è Virgilio stesso l’autore di molti canti popolari, che avrebbe composto a Campo Maggiore, ritirato tra i boschi del Partenio. Quindi Montevergine non sarebbe il monte della Vergine, bensì di Virgilio.
Sempre secondo il contadino intervistato, questa ed altre canzoni sono scritte in un libro caduto in fondo al mare, perso evidentemente da Virgilio dopo il suo tragico epilogo. “Alcune persone le hanno imparate avvicinando all’orecchio una conchiglia e così le hanno insegnate agli altri.”
Per Maria Boccia di Boscoreale, invece, “l’autore d’e’ canzoni era Aniello“, un’altra figura che non c’entra con le nostre ambientazioni, ma si va a sovrapporre a quella di Orfeo (Orfeo scese negli Inferi per ritrovare la sua amata Euridice) al fine di sottolineare la potenza evocativa dei canti. Mentre la presenza di Virgilio mago tra i compositori ne evidenzia le componenti magiche. In entrambi i casi, però, le leggende spostano lo scenario dai monti al mare (Aniello era un pastore, Virgilio era sul Partenio), dove si consumano gli ultimi canti al fine di alleviare le pene d’amore.
La canzone di cui si parla in queste pagine, composta da Virgilio, è “La canzone del pescatore”, una villanella napoletana (per chi non lo sapesse, la villanella è un tipo componimento antico, diffuso intorno al XVI sec. tra le persone del popolo, e che perciò prende il nome da villano, contadino), e sarebbe stata l’ultima composta da Virgilio prima di morire. La canzone è stata ripresa dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare di De Simone. Tra gli autori dell’arrangiamento presente nell’antologia (per chi volesse ascoltarla, la trova facilmente lì), anche Peppe Barra.
Un’altra cosa su cui insiste molto De Simone è che Virgilio Mago, fino ad un certo periodo, era appartenuto alla tradizione cristiana ed era a capo delle Sibille, le quali erano sette e non una, come le sette Madonne della tradizione popolare. Virgilio era un profeta e insieme a queste profetesse annunciava l’avvento di Cristo. Quindi, la presenza di una leggenda su Virgilio (il quale, molto probabilmente, davvero era lì nell’antichità) in prossimità del santuario di Montevergine non sembra così strana, e non va affatto in conflitto con la cristianità.
A dare credito a questa teoria, c’è il fatto che spesso nelle chiese le sette sibille sono rappresentate insieme a Virgilio, ad esempio nel Duomo di Siena, ed una di queste sette sibille è nera. La Madonna di Montevergine sarebbe quindi una Sibilla? E se sì, quale?
Troviamo sibille, inoltre, negli affreschi dei Musei Vaticani, o nella chiesa di S.Angelo in Formis (Caserta), o Santa Trinita a Firenze.
De Simone, comunque, nel suo libro ragiona per “segni” (intesi come elementi della simbologia magica), e la Madonna Nera, non solo in Campania, risulta sempre collegata al segno della Montagna. Noi sappiamo che storicamente il culto della Madonna mise da parte quello di S.Guglielmo, ma più anticamente sulla montagna di Montevergine vi erano i templi di Diana e Cibele, e si parla della presenza, ai tempi, di un luogo di sabba magico, poi diventato sabba diabolico nel periodo dell’Inquisizione. E anche Cibele è una dea “Madre della Montagna“, associata alla natura. Come d’altronde, Artemide (Diana per i Romani).
La Madonna di Montevergine, quindi, associata al segno della Montagna e festeggiata in settembre, simboleggerebbe la stagione invernale, mentre le altre sei Madonne bianche, i mesi primaverili ed estivi. Si tratta di feste cristiane che sono andate a sostituire i culti delle divinità precedenti, e legate ai cicli delle stagioni e quindi al mondo contadino. Tuttora resistono, in esse, molti elementi in comune con i riti pagani presenti in precedenza, ad esempio l’abitudine dei pellegrini di passare la notte prima della festa dormendo e mangiando in chiesa, cosa che fino a prima del 1979 a Montevergine ancora si faceva (poi i monaci ne eliminarono la possibilità), allo stesso modo di come facevano i devoti al tempio della dea Cibele.
Ma senza voler scomodare quest’antichissima divinità anatolica, Cibele, importata in Grecia nel VI sec. a.C., facciamo un passo indietro e ritorniamo alla Madonna nera che è nera come la Sibilla nera, ricordando che la Sibilla è una “creazione” di Virgilio, un suo personaggio dell’Eneide, e che quindi è ovvio che nella fantasia popolare i due continuassero a viaggiare accostati.
Un’altra leggenda vuole che Virgilio si fosse ritirato a Montevergine a studiare il libro della Sibilla (ovvero il libro della Madonna?). Ma per Nicola Pucciariello, un pescatore di Bacoli di cui De Simone raccoglie la testimonianza, il libro della Sibilla è un libro di canti, nonché di tutte le cose passate e future (come l’oracolo cumano). Questa Sibilla, bella e vergine, fu punita poiché credeva di portare lei stessa in grembo il Salvatore1. Quindi Virgilio era lì per studiare un libro di canti (e forse di comporne di nuovi suoi), che altro non erano che canti per la Madonna che poi è la Sibilla ma non lo è davvero, nel suo carattere ambivalente di messaggera e messaggio in sé, di verità e menzogna, di abilità profetiche e potere negato.
Si tratta senza dubbio di una questione intricata, a cui difficilmente si potrà dare un ruolo preciso ai personaggi coinvolti, e in cui più miti si sovrappongono, ma ciò che è indubbio è il fascino della presenza di Virgilio fra i boschi, sulle sponde di un lago che conosciamo bene, e che, straziato d’amore, compone i suoi ultimi versi.
Che siano i perfetti versi latini delle Bucoliche e delle Georgiche, o villanelle del seicento, poco importa.
Vurria addeventare pesce d’oro,
Vurria addeventare pesce d’oro,
dint’a lu mare me jesse a menàre.
dint’a lu mare me jesse a menà,
jesse a menare.
Venesse ‘o piscatore e me pescasse,
dint”a ‘na chianelluccia me mettesse.
Venesse nenna mia e me comprasse,
dint’ a ‘na tielluccia me friesse.
Ho deciso
che è meglio soffrire nei boschi, tra le spelonche
delle fiere e la storia dei miei amori inciderla
sugli alberi giovani, che cresceranno e insieme a loro il mio amore.
Intanto percorrerò il Menalo assieme alle ninfe
o caccerò gli aspri cinghiali. Il freddo non mi impedirà di accerchiare
coi cani i boschi del Monte Partenio.
E già mi sembra di andare per le rocce e i boschi sonanti e mi piace scagliare con l’arco dei Parti le frecce cidonie, come se ciò possa essere rimedio alla mia follia o il dio possa imparare ad essere mite verso le sventure umane. Ma non mi piacciono più le Amadriadi e neanche i canti, e anche a voi boschi dico addio.
(Ecloga X, Bucoliche, Virgilio.)
Fonti:
Canti e tradizioni popolari della Campania – Roberto De Simone
Guida Sentimentale ai Monti di Avella: l’Orto di Virgilio –
https://www.binews.it/attualita/guida-sentimentale-ai-monti-di-avella-lorto-di-virgilio/
Leggende Napoletane – Matilde Serao
Virgilio – Bucoliche
Enciclopedia Treccani, Montevergine, per quanto riguarda la leggenda in cui Virgilio studia il libro della Sibilla.
La foto all’inizio dell’articolo mostra una distesa di orchidee fiorite a Campomaggiore nel mese di giugno 2023. La foto è presente nel calendario del CAI Napoli 2024.
Le Bucoliche sono composte da dieci ecloghe in versi esametri. Si tratta di componimenti in forma di dialogo ad ambientazione pastorale. Le Georgiche, invece, probabilmente anche queste ispirate in parte al Partenio, sono un poema didascalico che descrive lo svolgimento delle attività contadine e l’allevamento di alcuni animali.