A cura di Valentina Guerriero
Chi mi segue sa che Sorrentino non mi dispiace affatto.
Questa è la volta de L’amico di famiglia, film del 2006 e presentato in concorso al festival di Cannes, disponibile da qualche tempo su Netflix e che mi era stato consigliato già un paio d’anni fa. Il film è molto interessante, segue la storia di un usuraio interpretato da Giacomo Rizzo (Novecento di Bertolucci, Benvenuti al Sud, Benvenuti al Nord). È ambientato a Sabaudia, nel basso Lazio, e si potrebbe collocare in quel genere di film che vogliono fare un ritratto del degrado in cui versa la provincia romana e il Lazio in generale. Ne ho visti diversi di questo tipo: Favolacce (2020) con Elio Germano mostrava la crudeltà umana della vita a Spinaceto, immediatamente fuori Roma, con un’acutezza e una spietatezza che ricordava i film americani. Lo stesso Spinaceto discriminato e bullizzato da Nanni Moretti in Caro Diario (1993), in cui il regista domandava, con rabbia, ai cittadini romani di fascia medio-borghese, trasferiti dalla città in queste villette poste in mezzo al niente: “Ma perché avete lasciato Roma? Roma è bellissima.”
Un altro film, molto premiato, da collocarsi nello stesso elenco, è Dogman di Matteo Garrone (2018), dove si seguiva la storia di un toelettatore per cani. Presentato a Cannes, il soggetto è in parte degli stessi fratelli D’Innocenzo che sono alla regia di Favolacce.
Ma se vogliamo andare molto più indietro nel tempo, chi ha reso la provincia romana un teatro di camorra e delinquenza è stato insolitamente anche Tinto Brass, in un suo film poco noto, e nemmeno spiccatamente erotico (non sono le scene di sesso che ricordo, a distanza di anni, nemmeno una: dubito pure ci siano): Snack Bar Budapest, con Giancarlo Giannini, 1988, girato tra il Lido di Ostia e Castel Porziano. E se proprio vogliamo scomodare un maestro, a questo punto, parlando del lido di Ostia, impossibile non far ritornare alla mente la spiaggia ricoperta d’immondizia in cui passano uno dei primi giorni d’amore Mastroianni e Monica Vitti in Dramma della Gelosia (1970): l’ironia di Scola, leggera e profonda al tempo stesso, è qualcosa di incredibile e mai più eguagliata.
Invece, ne L’amico di famiglia di Sorrentino, da cui è partito questo excursus, siamo a Sabaudia, una città famosa per la sua architettura di stampo chiaramente fascista e comprendente molti territori del Parco del Circeo, quelli attribuiti alla leggenda della maga Circe, un luogo quindi in cui leggenda e moderno s’intrecciano (ma non troverete affatto del fascino leggendario nel film di Sorrentino). Sabaudia è una città nuova come poche, costruita nel 1933 da Benito Mussolini, insieme a Latina (di quest’ultima il primo nome fu Littoria, altisonante almeno quanto Sabaudia). Infatti durante il ventennio fascista l’agro pontino fu bonificato e città come Sabaudia sono espressione di una corrente architettonica detta razionalismo italiano (di cui troviamo esempi anche a Napoli, come il Palazzo delle Poste o la Stazione Marittima posta sul molo angioino, sede per anni di una defunta fiera del libro, la Galassia Gutenberg, che vidi l’ultima volta nel 2009 prima che si spegnesse definitivamente). Lo stesso Parco Nazionale del Circeo fu un’altra creazione fascista, il regime infatti si può fregiare, dopo la bonifica, di aver istituito, nel 1934, il terzo parco nazionale più antico d’Italia (preceduto solo da quello del Gran Paradiso e quello d’Abruzzo, Lazio e Molise; seguì poi nel 1935 il Parco dello Stelvio), dove per parco si intende un luogo naturale da proteggere e da tutelare, con la sua flora e la sua fauna.
Compreso nel litorale tra Anzio e Terracina, a dare il nome a questo parco è il Monte Circeo, di soli 534 metri, che visto dal mare può essere confuso con un’isola (il lembo di terra che lo congiunge alla costa, visto da lontano, appare come sottilissimo) e che perciò si è reputato essere l’abitazione della maga Circe in cui s’imbatté Ulisse nell’Odissea nel suo peregrinare per tornare ad Itaca. La maga, residente su un’isola (non che le isole manchino nella zona: di fronte al Circeo ci sono le isole ponziane: Zannone, compresa nel parco, e poi Ponza, Palmarola, Santo Stefano, Ventotene, Gavi, eppure si reputa che Circe fosse sulla costa) aveva trasformato i compagni di Ulisse, mandati in esplorazione, in maiali e altri animali a seconda della loro personalità, dopo averli invitati a un banchetto. Lui, con la sua intelligenza, era riuscito a salvarli e a farsi amica la maga (la quale, più che una maga, era una semidea), tant’è vero che, innamorata di lui, non voleva lasciarlo più partire. Ulisse, determinato a tornare a casa, spezzò così, insieme ad altri, anche il cuore di Circe, e riparte. Alcune versioni della storia vogliono che da Circe e Ulisse nacque addirittura un figlio, Telegono.
Il personaggio di Circe viene ripreso e nominato anche nell’Eneide, in quanto Enea, ovviamente, attracca nel basso Lazio per fondare Roma, e i luoghi inizieranno ad essere descritti a partire da Gaeta, dove morirà la nutrice dell’eroe, il cui nome era Caieta.
Tutta la costa è intrisa di miti latini e greci: basti pensare anche agli Argonauti, gli eroi capitanati da Giasone che andavano alla ricerca del mitico vello d’oro, e all’omonima spiaggia posta tra Gaeta e Sperlonga.
Una scena di Fantozzi alla Riscossa (1990) in cui l’auto sprofonda nell’ultima palude scampata alle bonifiche pontine del ventennio fascista. Fonte immagine: il Davinotti.
Panorama scendendo da Campo di Spina, Mugnano del Cardinale: anche da qui, a tanti km di distanza, a destra, ingrandendo, è possibile vedere il promontorio del Circeo e in giorni con buona visibilità alcune delle sue misteriose isole.
Anche nel film giapponese “La città incantata” i genitori di Chihiro vengono trasformati in maiali dopo aver mangiato il cibo del posto, e la bambina dovrà spezzare l’incantesimo per salvarli. Esattamente come nell’Odissea.
Insomma, ammetto di aver divagato molto passando dalla fascista Sabaudia e dalla periferia romana descritta nel cinema, all’arrivo di Enea a Gaeta, in un salto indietro nel tempo di almeno tremila anni, dato che la guerra di Troia è datata intorno al 1300-1200 a.C. Lo stesso vale per Ulisse, che come Enea era di ritorno dalla guerra e si trovò ad incontrare Circe sul promontorio del Circeo. Ciò che è certo, nonostante i contrasti nelle descrizioni di queste città, è che il litorale pontino ha ancora grande fascino, con località esclusive e mete vacanziere della Roma bene. Non a caso, in un libro sul Parco del Ciceo che mi ritrovo, viene mostrata fra le immagini la foto di Moravia nella sua villa sul Circeo, ed il suo volto scavato, già vecchio, rimane impresso in chi lo guarda. Sì, indubbiamente, per comodità, è ovvio che i romani l’abbiano scelta, si tratta della costa più vicina a Roma: ma anche se non ha la complessità intellettuale di altri luoghi, o il fascino disturbante della costiera amalfitana, il litorale pontino porta con sé millenni di mito, mantiene ancora quella freddezza tipica dell’epos greco, privata di sentimento, che come una muraglia ha resistito ai cambi di scenari, alle speculazioni dell’uomo, al crescente sviluppo del tessuto industriale. Come un terreno che continua a far fiorire lo stesso tipo di vegetazione, così quel mare sembra attendere per sempre lo sbarco degli eroi.