Guida Sentimentale: dall’Osservatorio Vesuviano a Punta Nasone, scendendo per S. Maria al Castello

Guida Sentimentale: dall’Osservatorio Vesuviano a Punta Nasone, scendendo per S. Maria al Castello

di Valentina Guerriero

 “È mio fratello e mi ama, e vuole bene anche a te. Osservalo bene, dunque, e non disprezzare le sue blandizie. So che non farà niente che ti sia molesto, e se non vorrai rimanerci, ritornerai.” 

Guida Sentimentale: dall’Osservatorio Vesuviano a Punta Nasone, scendendo per S. Maria al Castello

In uno dei suo dialoghi, Giordano Bruno conversava con il Vesuvio, ma prima di recarvisi, aveva chiesto anche a Castel Cicala, la collina che gli aveva dato i natali e su cui si ergeva un castello normanno già ai tempi abbandonato, informazioni sul fratello Vesuvio, che il filosofo continuava ad osservare nelle sue passeggiate tra le colline nolane e che probabilmente vedeva anche dalla sua abitazione, posta a S.Giovanni del Cesco, un casale presso Nola. Conversare con le montagne pare che fosse una cosa ordinaria per Giordano Bruno, che di immaginazione ne aveva parecchia, e di questi dialoghi si può trovare traccia in De Immenso, dove ovviamente essi danno luogo anche a considerazioni filosofiche e non sono solo frutto di una indubbia vena poetica. E se proprio vogliamo parlare di poesia, lo stesso Leopardi, che al termine della sua vita risiedeva a Villa delle Ginestre, di proprietà dei Ranieri, presso Torre del Greco, alle falde del Vesuvio, fu ispirato dal vulcano e scrisse qui uno dei suoi più celebri componimenti, La Ginestra, che oltre ad essere una precisa descrizione del luogo ha un elevato contenuto concettuale e spirituale, in quanto questo fiore diviene simbolo di resistenza anche alle condizioni più ostili della vita.

Ma ritornando a Giordano Bruno, che da Nola continuava ad osservare questo minaccioso vulcano, chiedendosi, se ci fosse salito, cosa mai avrebbe potuto trovare lì sopra, bisogna riflettere che in effetti, a Nola, per chi vi abita come me, il Vesuvio è una costante del paesaggio locale. È visibile praticamente da ovunque, a patto di spostare il proprio sguardo un po’ più in alto dei palazzi che si ergono sempre più numerosi in questa città. Ma basta, per l’appunto, risalire di qualche metro, o anche di poco la collina di Cicala, per essere certi di vederlo.

A voler essere pignoli, però, ciò che è visibile da Nola non è esattamente il Vesuvio ma il Monte Somma, che per facilità di comprensione io approssimo a Vesuvio ai forestieri. Il complesso vulcanico di cui andiamo a parlare, quindi, porge ai nolani la sua faccia meno nota, il Monte Somma, che con la caratteristica Punta Nasone (dovrebbe ricordare, secondo alcuni, la forma di un naso) tocca i 1132m, poco meno dei 1281m del suo fratello famoso. Bazzecole, se paragonate alla maestosità dell’Etna (3357m), un altro vulcano del Sud Italia che è considerato meno pericoloso del nostro, caratterizzato da eruttività differente, il quale presenta comunque con il Vesuvio delle forti similitudini, ad esempio nella vegetazione, con la presenza della ginestra, la cui varietà dell’Etna (Genista aetnensis) è stata introdotta anche da noi.

Il Monte Somma, nel suo essere meno noto rispetto al Vesuvio (di cui si può considerare, in ogni caso, parte integrante, come due gemelli siamesi), mi ha spesso incuriosito, in particolare per le tradizioni popolari che caratterizzano la città di Somma, posta alla sua base, per le strane condizioni di vita di questi paesi costruiti lì dove non dovrebbero essere, nonché per la coltivazione di vitigni caratteristici.

Così, quando qualche tempo fa mi viene proposto di fare il sentiero n.3, detto “lungo i Cognoli”, mi butto a capofitto, col desiderio di realizzare una strana idea: salire da Ercolano e scendere a Somma, in concomitanza con la festa di S.Maria al Castello, idealmente facendo una traversata di due monti che mi avrebbe riportato a casa.

Dunque siamo partiti dall’Osservatorio Vesuviano intorno alle 9.30 di mattina, organizzati in autonomia, io ed altri quattro ragazzi del CAI Giovani, tra cui due tedesche, Maxie e Teresa, provenienti dalla Baviera e qui per motivi di studio in Italia. Il fine era di mostrare a Maxie e Teresa un po’ di scenari vesuviani, decisi a risalire il sentiero fino a Punta Nasone (1132m).

E ciò sarebbe avvenuto in concomitanza, casuale, con il Sabato dei Fuochi, una festa popolare che si svolge in onore della Madonna di S.Maria al Castello (frazione di Somma Vesuviana), il Sabato in Albis dopo la Pasqua, e di cui avevo sentito spesso parlare in passato.

Una Madonna di cui scoprirò molto, insieme ad altre sei, successivamente, tra le pagine di Canti e tradizioni popolari della Campania di Roberto De Simone, personaggio a cui in effetti già pensavo procedendo su e giù per i Cognoli, che altro non sono che delle cime relative e quindi danno luogo ad un saliscendi nel percorso (ci sono vari CognoliCognoli di S. Anastasia, Cognoli di Ottaviano, etc.). L’ultimo tratto, poco prima di arrivare alla punta, prevedeva infatti, molto ripido, di scendere aiutandosi con delle corde.

Guida Sentimentale: dall’Osservatorio Vesuviano a Punta Nasone, scendendo per S. Maria al Castello

Comunque, per farla breve e non disperdermi nel mare magnum di informazioni che ruotano intorno a questa escursione, c’è da dire che dopo 500 metri di dislivello e circa due ore e mezza di cammino io e gli altri ragazzi siamo giunti a Punta Nasone (questi 500 m non sono niente in confronto alla ripida salita che da S. Maria al Castello portava alla stessa cima, percorso scelto dai devoti), dove la festa era già in corso ed era presumibilmente iniziata all’alba. La tradizione vuole infatti che si inizino a sparare i fuochi alle prime luci del giorno, e da S. Maria al Castello i devoti salgano sulla montagna dove ci saranno i festeggiamenti fino al tramonto. A partecipare non sono solo le persone di Somma ma anche altre provenienti dal vesuviano, come da S. Sebastiano al Vesuvio o Pollena Trocchia, paesi che condividono tutti in qualche modo lo stesso destino.

In effetti, ci chiedevamo io e gli altri ragazzi, chissà cos’avranno pensato le nostre due amiche tedesche nel ritrovarsi in cima ad una montagna dove era presente questa strana festa, con canti e balli e nubi di fumo dovute sia ai fuochi (dei botti privi di colorazione, solo molto assordanti) che alle numerose pietanze in preparazione.

E dopo non molto mi ritrovo seduta, non volendo, alla lunga tavolata di legno organizzata delle paranze del sabato dei fuochi. Sono offerti, senza neanche necessità di chiedere, baccalà alla napoletana, paccheri al baccalà, gamberoni, formaggi, olive; al nostro arrivo un grande pentolone pieno di un’acqua giallognola ci guardava inquietante, era stato utilizzato per la cottura del polpo. I devoti ci spiegano che in questa festa si mangia solo pesce, la carne è proibita.

Guida Sentimentale: dall’Osservatorio Vesuviano a Punta Nasone, scendendo per S. Maria al Castello

Nel frattempo gli altri ragazzi del CAI Vesuvio, con cui ero partita, temporeggiavano, senza fare nomi, alcuni di loro non volevano assolutamente ripartire senza aver mangiato prima i gamberoni che erano in preparazione, così abbiamo passiamo l’attesa spolpando dei pomodorini del piennolo che ci guardavano lì appesi in una delle costruzioni di legno, e a ripensarci la cosa fu piuttosto strana. Io ero ancora indecisa sul da farsi, se abbandonare i compagni con cui ero partita o proseguire per la mia strada. Alla fine loro ritorneranno nel pomeriggio per la stessa strada dei Cognoli. Io opto, come avevo già immaginato, di restare ancora alla festa per poi scendere la sera a Somma, più vicina, d’altronde, alla mia città di residenza, Nola, forte anche del fatto di aver trovato lì alla festa una mia amica del Mandamento, insieme ad altre persone che conoscevo, tutti iscritti al CAI di Caserta.

La discesa avviene come da prassi al tramonto, in una miriade di luci, in quello splendido panorama che si può vedere dalla montagna, e la festa prosegue a Santa Maria al Castello, con la messa delle 20 e l’accensione degli ultimi falò.

Ma questa è solo una descrizione più o meno secca dello svolgimento della festa, in realtà ci sarebbe molto altro da scrivere perché questo è stato solo il punto di partenza per l’approfondimento di quello che è un misterioso rito millenario, simile a molti altri nella zona di Somma, e che mi hanno sempre affascinato, forse proprio per non essere mai riuscita a viverli dall’interno, se non per sporadici momenti.

Ma, si sa, il dionisiaco è comprensibile solo a chi è già stato invaso dal dionisiaco stesso, visto dal di fuori non ha significato alcuno, questo volendo utilizzare i concetti ben spiegati da Nietzsche ne La Nascita della Tragedia, in cui giustifica la perfezione della tragedia greca come equilibrio perfetto di questi due spiriti, l’apollineo e il dionisiaco; uno intellettuale, colto, legato alla conoscenza e all’armonia delle forme, ed un altro rozzo, istintivo, primordiale, disarmonico, fatto di valori assoluti e di contrasti, di vita, morte, distruzione e creazione, in un modo proprio della natura quando ha il permesso di esprimersi senza i rigidi confini della conoscenza. E qui, diciamocelo, di apollineo ce n’è ben poco. Anzi, non ce n’è affatto.

Questa festa di Somma contiene sicuramente molti elementi in comune con i baccanalia romani, le festività dedicate al dio Bacco che per i greci è Dioniso e che si svolgevano in primavera. E in questo libro che già vi ho nominato di De SimoneCanti e tradizioni popolari della Campania, si trova conferma di come si intreccino paganesimo e cristianesimo in questa festa. Il testo, edito da Lato Side nel 1979, risulta difficilmente reperibile (il mercato librario napoletano se ne approfitta) ma sono riuscita comunque a reperirlo e leggerlo in seguito alla festa ed esso parla, tra le varie cose, proprio nel dettaglio della Madonna di Castello.

Il libro, realizzato da De Simone insieme ad altri studiosi, era di ausilio ad una serie di sette lp di registrazioni di canti popolari, e analizza il culto di sette Madonne, di cui sei belle e una brutta perché nera, mamma Schiavona (ovvero la Madonna di Montevergine) e che proprio per questa è considerata la più bella, concetti già accennati in Che ci faceva Virgilio a Montevergine?.

De Simone fa risalire le radici di queste feste, ancora molto sentite, al mondo contadino che già esisteva migliaia di anni fa. Queste feste sono sopravvissute ai cambi di religione e in esse paganesimo e cristianesimo si intrecciano (infatti, spesso in questa giornata si celebra una messa senza prete, a meno che un vero sacerdote non sia presente, e la cosa ha un ché di blasfemo; si celebra, inoltre, uno strano rito del battesimo).

Probabilmente in origine la festa serviva a celebrare il dio della Montagna, poi sostituito con la Madonna, e i botti, che sono un segno di fuoco (chi potrà leggere il libro vedrà come De Simone ragioni per segni, ovvero simboli magici) sono necessari ad esorcizzare la paura delle eruzioni, un pericolo da sempre presente nel territorio. I santuari, in generale, non venivano disposti in modo casuale, ma in corrispondenza dei segni, e i segni erano necessari ad avvicinare i fedeli alle divinità: i principali sono il segno della montagna, del fuoco, della grotta, del mare.

Dunque a Somma sono presenti almeno due segni, quello della montagna (il santuario di S.Maria al Castello è situato in alto, su una montagna) e del fuoco, trattandosi di un sito eruttivo. Inoltre una cappelletta con una seconda Madonna è stata eretta proprio lì in alto a Punta Nasone.

Il discorso è indubbiamente ricco e complesso, e a dare conferma di quanto sia intricato c’è anche il fatto che in questa zona sia stata ritrovata una villa detta impropriamente di Augusto e provvista di enormi contenitori per la conservazione del vino, al suo interno vi è stato il ritrovamento di una statua di Dioniso (custodita nel museo di Nola) con cucciolo di pantera. Fin dall’antichità la zona era adibita alla produzione del vino (il quale scorre a fiumi al Sabato dei Fuochi, perlopiù piedirosso e catalanesca), sede di antiche feste e tradizioni a cui De Simone attinse abbondantemente nel suo lavoro di ricerca e riscoperta delle canzoni del passato.

Ed è qui che per me l’anello si congiunge. Anni fa, quando scrivevo del Dioniso di Nola, ad un concerto di Eugenio Bennato al castello di Baia mi furono insegnati alcuni passi di tarantella e mi dissero che le feste più importanti si svolgevano a Somma. Mi parlarono inoltre dell’allevamento delle api, e ciò mi riportò alle Georgiche di Virgilio, dove un capitolo è dedicato a questi piccoli insetti.

Roberto De Simone sapeva che il dionisiaco non poteva essere spiegato e perciò, per capire queste feste, occorre per forza essere presenti, al di là di tante letture. È per questo, infatti, che nel suo lavoro ha registrato i canti popolari solo nei giorni di festa o in prossimità immediata ad essi, altrimenti i canti non avrebbero avuto alcun valore. E dovevano essere eseguiti solo dai migliori musicisti locali: non sarebbe stati intrisi della stessa animosità se fossero stati registrati in periodi diversi dell’anno o da persone che non “sentivano” l’evento. Avendo risieduto nella zona, spostato da Napoli a Somma per trovare rifugio insieme alla sua famiglia durante la seconda guerra mondiale, De Simone fu forse il primo a rendersi conto in modo conscio di quanta ricchezza culturale fosse invece nascosta in una festa primitiva ed istintiva, nonché di nicchia, come questa di S.Maria al Castello; la quale, proprio perché istintiva risulta anche colta, volendo far nostra la filosofia degli opposti che combaciano di cui si parla proprio all’inizio del libro.

Tutto ciò perché in fondo le cose sono tre: la madre, il sesso e la morte ed entrano l’una nell’altra e si scambiano e sono la stessa cosa in un modo o in un altro oppure così:

La Madre = La Morte = Il Sesso
La Morte = Il Sesso = La Madre
Il Sesso = La Madre = La Morte

Non credo di essere riuscita a dirvi tutto, ma mi accontento. E poi, anche se riuscissi a dirvi tutto, secondo questa filosofia il tutto è niente, si annulla nella sua complessità, come un mondo che già esiste ed è esistito e in fondo noi tutti, me compresa, avremmo dovuto dare per scontato. E invece non l’ho fatto.

A volte si cerca una spiegazione in ciò che è naturale, ma in fondo non serve spiegazione alcuna. Come per la vita stessa.

Fonti e libri consigliati:

Che ci faceva Virgilio a Montevergine?

La pantera è a Nola: nel museo archeologico. Lapantera di Dioniso, tra storia e leggenda, che ha viaggiato tra Tokyo, SommaVesuviana e Nola

Bruno e Nola, 1899, Vincenzo Spampanato
Giordano Bruno – Levergeois
De Immenso – Giordano Bruno
Canti e tradizioni popolari della Campania – Roberto De Simone
Flora illustrata del Vesuvio – Massimo Ricciardi
La ragazza di Lesbo – Silvia Romani